Accanto a San Cesareo de Appia vi è una villa rinascimentale, poco nota al grande pubblico e quasi mai aperta, che condivide molto della storia della chiesa: si tratta della cosiddetta Casina del Cardinal Bessarione.
La villa sorge in luogo ricco di vestigia romane- due grandi sepolcri quadrangolari e i resti di un grande edificio – venuti alla luce nel corso degli scavi condotti nel 1983. I due sepolcri, databili al I secolo a. C., sono disposti parallelamente a via di Porta S. Sebastiano; all’epoca della loro costruzione essi erano in zona extraurbana, trovandosi all’esterno della Porta Capena, rispettando quando previsto dalla Legge delle XII Tavole.
Solo dopo la costruzione delle Mura di Aureliano, la zona venne a trovarsi all’interno del nucleo urbano. Entrambi i sepolcri (di circa m. 5,40 per lato) presentano un grande nucleo in opera cementizia e parte del rivestimento in blocchi squadrati di peperino.
Alle spalle dei sepolcri sorse nella prima età imperiale un edificio che ebbe almeno tre fasi costruttive. Alla prima spettano i resti di una fondazione in opera a sacco. Alla seconda sono riferibili due ambienti (di cui uno pavimentato in opus spicatum, l’altro comunicante con un cortile in basolato) e due lunghi muri (di cui uno nell’area del giardino): gli ambienti e i due muri sono stati interpretati come i resti di tabernae. Alla terza fase (databile presumibilmente alla prima metà del sec. II d.C.) corrisponde un generale innalzamento del livello di occupazione e la costruzione di due unità abitative (a cui vanno riferiti i mosaici a disegno geometrico in bianco e nero tuttora visibili) secondo una planimetria a specchio, con gli ambienti distribuiti ai due lati di un asse generatore costituito dal muro in opera mista distinguibile nel piano seminterrato della casina.
Su cosa possa essere stato questo edificio, vi sono due ipotesi contrastanti: la prima, è che siano resti di locali di servizio delle Terme Commodiane, la seconda è che sia una sorta di condominio di lusso, analogo alle case a giardino di Ostia Antica. La fase medievale, individuabile nella parte sud-ovest, si riferisce alla destinazione dell’antico edificio quale sede ospedaliera, ai primi del XIV secolo gestita, secondo quanto riportato in una bolla papale riguardante la vicina chiesa di S.Cesareo, dai “fratres cruciferi” e poi dalle monache benedettine di San Sisto Vecchio.
Nel 1439, papa Eugenio IV sfrattò le monache e l’ospedale-convento fu per un paio d’anni abbandonato a se stesso: le cose cambiarono nel 1442… La sede suburbicaria di Tuscolo era stata vacante per un paio d’anni, dato che il Papa l’aveva tolta nel 1440 al cardinale Ugo di Lusignano si era schierato dalla parte dell’antipapa Felice V, ossia il duca di Savoia Amedeo VIII, che aveva organizzato il fidanzamento tra il figlio Luigi e Anna di Lusignano… Tra l’altro, proprio a causa di tale legame, i Savoia adottano il titolo di re di Cipro e di Gerusalemme.
Ora, dato che Tuscolo, nonostante fosse andata distrutta, fosse associata a un titolo di prestigio, Eugenio IV la concesse come titolo cardinalizio a Luigi di Lussemburgo, impegnato a mediare nelle difficili trattative di pace della Guerra dei Cento Anni. Luigi, non avendo una sede di rappresentanza romana, convinse il papa a concedergli l’ex ospedale dei cruciferi, per poi intraprendere i relativi lavori di ristrutturazione, trasformando il tutto in una villa suburbana, un incunabolo di quelle che diventeranno le grandi residenze extraurbane del Cinquecento e del Seicento.
Qualche anno, dopo vi dimorò probabilmente il cardinal Bessarione, da cui la Casina prenderà il nome, che possedeva una vigna dalle parti di San Sisto Vecchio… Ma chi era costui ? Teologo e umanista, nacque a Trebisonda nel 1403. Morì a Ravenna nel 1472. Monaco basiliano, fu al servizio di Giovanni VIII di Costantinopoli e di Teodoro II Porfirogenito. Arcivescovo di Nicea, partecipò al concilio di Ferrara – Firenze per l’unione della Chiesa greca con quella latina, in qualità di oratore principale dei Greci; nell’esito felice, anche se non duraturo del concilio, ebbe gran parte. Creato da Eugenio IV cardinale dei Santi Apostoli – basilica che ospita la sua straordinaria cappella funebre e che ristrutturò, in una sintesi tra arte paleologa e rinascimentale, che ispirò Bramante e che fu causa delle tante paturnie di Giulio II relative alla sua tomba – nel 1439, fu chiamato in Curia dal papa e nel 1449 trasferito alla sede vescovile di Sabina e poco dopo a quella di Tuscolo. Legato pontificio a Bologna, fu candidato all’elezione papale nel conclave del 1455. Nel 1463 divenne vescovo di Negroponte e poi patriarca di Costantinopoli. Contribuì alla diffusione in Italia del greco e specialmente della filosofia platonica. Tradusse in latino la “Metafisica” di Platone.
Era, dunque, un sublime uomo di cultura. Così scrisse in una lettera:
“Non c’è oggetto più prezioso, non c’è tesoro più utile e bello di un libro. I libri sono pieni delle voci dei sapienti, vivono, dialogano, conversano con noi, ci informano, ci educano, ci consolano, ci dimostrano che le cose del passato più remoto sono in realtà presenti, ce le mettono sotto gli occhi. Senza i libri saremmo tutti dei bruti”
Alla morte del Bessarione, la casina divenne dimora del cardinal Piccolomini, personaggio assai bizzarro, dotto storico e sagace autore di satire, che fu, assieme a Cesare Borgia, amante della bella cortigiana Fiammetta.
Alla morte, il cardinal Piccolomini lasciò tutti i suoi bene, Casina compresa alla sua
damigella di singolare beltà, per amore di Dio e per provvederla di una dote
Sisto IV, per evitare lo scandalo, decise di invalidare il testamento, ma dinanzi alle proteste della lobby dei clienti di Fiammetta, ossia gran parte della Curia, istituì una commissione, che, per chiudere la vicenda con un compromesso, donò alla donzella una vigna presso il belvedere Vaticano e tre case (una in via dei Coronari, una in via degli Acquasparta, una con torre nello scomparso vicolo della Palma.
Così la Casina toccò al cardinale Giovan Battista Zen, tanto corrotto quanto amante dell’arte e della cultura, grande appassionato di esoterismo, di cabala ed alchimia. Il cardinale fu probabilmente avvelenato dai Borgia, desiderosi di appropriarsi delle sue smisurate ricchezze, frutto delle sue malversazioni: ma ahimè, rimasero con un pugno di mosche, dato che Zen lasciò nel testamento 200.000 ducati alla Serenissima Repubblica a condizione che ogni anno si celebrasse una solenne messa per la sua anima e 50.000 scudi per opere di bene.
Così Alessandro IV, per tentare di raccattare un poco d’oro dalla salma del cardinale, dovette vendere all’asta la Casina. In una pianta del 1551 questa appare come vinea del Cardinale Marcello Crescenzi, il cui stemma di famiglia è in effetti affrescato nella loggia della casina. Nel 1600 Clemente VIII concesse i due edifici contigui, casa e chiesa, al Collegio Clementino, da lui fondato nel 1594 e affidato ai Padri Somaschi, e la villa divenne luogo di incontri conviviali legati all’attività del Collegio.
Tra il 1860 e il 1870, la torre che si accompagnava alla Casina, che appariva nelle mappe dell’area sino a metà Ottocento, fu demolita. Soppresso il Collegio Clementino nel 1870, l’edificio fu affidato al Convitto Nazionale. Ben presto tuttavia la villa cadde in abbandono e sul finire del secolo venne trasformata in osteria di campagna tramite una serie di interventi che la modificarono radicalmente: vennero chiusi gli archi della loggia; i soffitti e le pareti affrescate furono imbiancate; le sale, suddivise in più vani con dei tramezzi, vennero utilizzate come camere da letto o come depositi di attrezzi e prodotti agricoli.
Solo negli anni del Governatorato la casina tornò alla sua antica dignità. Espropriata nel 1926, essa venne fatta oggetto di ingenti restauri affidati all’Ufficio Antichità e Belle Arti e diretti dall’ingegner Adolfo Pernier, che definì la progettazione nel 1928. Un nuovo restauro avvenne s tra il 1951 ed il 1969, quando la Casina fu arredata con mobili e suppellettili rinascimentali.
Ma cosa ammirare della Casina del Cardinal Bessarione ? All’esterno, l’occhio è per prima cosa colpito dalla loggia, costruita con colonnette di spoglio a capitelli alternativamente dorici e ionici, graziosa nelle proporzioni e nella decorazione campestre e raccolta nella bellissima finestra a croce guelfa.
Di fatto ha lo stesso ruolo del cortile della casa medioevale o dell’impluvium o nel loggiato della casa romana, il confine tra la dimensione pubblica e di rappresentanza e di quella privata, legame reale e ideale tra il giardino esterno e il salone interno, momento di trapasso luministico e coloristico, tra la luce viva e la penombra interna, i colori della natura e la decorazione ad affresco delle sale.
A livello della loggia, accessibile per mezzo di una scala, è il piano nobile, per valorizzare il quale la casa non si conformò su due piani, bensì in un piano seminterrato (destinato ai servizi) e uno rialzato (per gli appartamenti del Cardinale). Sul lato rivolto alla via Appia, la fronte si arricchisce di due belle e imponenti finestre a croce guelfa, che anticipano molte soluzioni del Quattrocento romano, come la Casa dei Cavalieri di Rodi, Palazzo di Venezia o Palazzo dei Penitenzieri
Ai lati delle finestre si sviluppa un graffito a finto bugnato regolare; questo a differenza della croce guelfa non fu motivo derivato dall’ambiente toscano dove si preferirono i rivestimenti in lastre o conci di pietra. Differenze si riscontrano anche nelle proporzioni d’insieme; se infatti nei palazzetti toscani si ritrova un costante ricorso alle forme simmetriche, a Roma si preferirono le linee longitudinali e le forme allungate, che moltiplicano i punti di vista. L’obiettivo di Firenze è convincere la ragione, mentre quello di Roma è sorprendere lo sguardo.
Entrando nel salone principale, la Sala Regia, lo sguardo si posa subito su uno dei pochi resti della decorazione rimasti di quanto la Casina era un ospedale, un affresco, risalente alla seconda metà del Trecento, in stile gotico, che rappresenta Santa Margherita di Antiochia, Santa Caterina d’Alessandria forse Sant’Acacio, rappresentato barbuto, tre dei quattordici ausiliatori, i santi che vengono invocati nelle malattie o comunque in situazioni delicate.
Per cui è ipotizzabile, che ai tempi dell’Ospedale, in quel punto vi fosse una cappella: i cardinali di Tuscolo, pur demolendola per costruire il salone della loro villa, decisero, per devozione, di salvarne parte della decorazione.
La rimanente decorazione della Sala Regia è costituita da un fregio a stemmi e girali d’acanto; a una serie di finte mensole marmoree dipinte si annodano panoplie, nastri, fontane e coppe. Decorazione, antecedente alla diffusione della grottesca, che ricordiamo è figlia della riscoperta nel 1480 della Domus Aurea, che è una reinterpretazione tardo gotica dei fregi antichi che si intravedevano nei Fori, equivalente pittorico dei fregi scultorei di Isaia da Pisa e di Paolo Romano
Passando alla Loggia, sopra un parapetto dipinto, si innalzano dei finti pilastri, al di là dei quali si scorge un paesaggio continuo che sembra proseguire il giardino che circonda la casa, per mediare il passaggio tra il Giardino, il dominio della Natura e dell’attività quotidiana, e la Sala Regia, il dominio della Cultura e della Meditazione.
Contrapposizione accentuata anche dalle pitture presenti: da una piccola chiesa con campanile posta su una collina, da cui discende un fiume, simbolo della vita contemplativa, da cui discende la Grazia divina ; a destra una conigliera sotto una città turrita, riferimento alla Vita Attiva, con i suoi infiniti affanni, che cerca di realizzare il Regno di Dio in Terra.
Tornando all’interno della Casina, è affascinante ammirare la stanza che custodì parte della straordinaria biblioteca del Cardinal Bessarione, che divenne il nucleo base della Marciana, e il cubiculum, la camera da letto, decorata con girali d’acanto con al centro dei melograni aperti, simbolo del martirio di Cristo, che genera il “corpo mistico” della Chiesa, la quale racchiude in sé il popolo salvato e sparso nel mondo, seme santo e santificatore.
Decorazione che si estende anche al seminterrato, che poteva svolgere, a seconda delle inclinazioni del cardinale proprietario, sia il ruolo di coenatio estiva, dove nei giorni di eccessivo caldo il padrone potesse far servire la cena per sé e per i suoi invitati, sia quello di eremo per la meditazione sul rapporto tra Dio e il Mondo.
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