La Chiesa di San Domenico a Palermo (Parte III)

Ovviamente, a causa della sua lunga e complessa storia e per il fatto che dal 1840, per iniziativa di Agostino Gallo, collezionista e letterato, San Domenico svolge il ruolo di Pantheon dei siciliani illustri, la chiesa è ricchissima d’opere d’arte.

La nostra visita comincia dalla controfacciata, due magnifiche acquasantiere decorate con due rilievi marmorei che rappresentano “l’ingresso dei domenicani a Palermo” e “la benedizione della chiesa”, vicende che, date tutte le traversie passate, meritavano senza dubbio di essere celebrate, e sormontate da due tele attribuite a Vito D’Anna, “l’Elemosina del Beato Geremia”, che dovrebbe essere seppellito sotto l’altare maggiore, e “l’Angelo Custode”.

Nella prima cappella della navata destra, intitolata al Santo Rosario troviamo un gruppo scultoreo ligneo policromo raffigurante la Madonna col bambino in braccio e San Domenico, oggetto di forte devozione popolare: lo splendido simulacro fu realizzato agli inizi del XVIII Sec. da Girolamo Bagnasco, scultore e intagliatore esponente del tardo barocco e classicismo, noto in Sicilia per le immagini sacre, di fatto protagoniste delle principali processioni di Palermo, e per i suoi presepi. Invece la decorazione pittorica dovrebbe essere stata eseguita da Giuseppe Velasco, il decoratore della Palazzina Cinese e della scuola del Giardino Botanico Reale di Palermo.

Segue poi una cappella dedicata alla alla Madonna di Lourdes, custodisce il monumento sepolcrale di Francesco Maria Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, storico ed erudito palermitano realizzato dallo scultore Leonardo Pennino nel 1802.

La terza cappella è dedicata a San Tommaso d’Aquino e custodisce un Crocifisso dipinto da Giovanni Paolo Fondulli, detto il Cremonese, data la sua origine; allievo di Antonio Campi, non trovando molto lavoro nella Lombardia dei Borromeo, accettò nel 1568 l’invito a Palermo del Viceré di Sicilia Francisco Fernandez d’Avalos, marchese di Pescara, dove ebbe, un discreto successo, specie nell’ambito delle commissioni delle ricche confraternite locali. Nella cappella vi è il monumento funebre di Giuseppina Turrisi Colonna, poetessa e traduttrice locale, realizzato da Valerio Villareale, scultore locale che, a un certo punto della sua carriera, divenne un ottimo “copista” dello stile di Canova… Come risultato, in alcune guide, le sue opere in San Domenico sono attribuite al suo più famoso contemporaneo.

Di seguito, uno dei gioielli del Barocco siciliano, ricca di marmi mischi, la Cappella di San Giuseppe, patrocinata da don Giovanni Stefano Oneto, duca di Sperlinga e progettata da Gaspare Guercio, uno degli autori della facciata di San Matteo dei Miserrimi, della ricostruzione della chiesa della Gancia e del Teatro Marmoreo, in collaborazione con Gaspare Serpotta, il papà di Giacomo. Entrambi, diciamola tutta, diedero fondo alla loro fantasia e al loro amore per lo sfarzo.

La statua raffigurante San Giuseppe sull’altare è cinquecentesca opera di Antonello Gagini e proviene proveniente dall’oratorio del chiostro patrocinato dalla famiglia Marini, patrocinio in seguito assunto dalla famiglia dei Duchi di Terranova. Può sembrare strano, ma la cappella rimase incompleta sino a fine Ottocento, quando la decorazione fu conclusa in pieno stile liberty: i i due medaglioni alle pareti sono opera dello scultore Antonio Ugo, uno dei designer per i mobili per la ditta Ducrot di Palermo, mentre la volta è stata eseguita nel 1898 da Ernesto Basile.

Nel bellissimo altare della cappella successiva, dedicata a Sant’Anna, troviamo una pregevole tela seicentesca di Rosalia Novelli, figlia di Pietro, che rappresenta Sant’Anna con Maria bambina e i Santi Gioacchino e Agnese di Montepulciano; a sinistra il monumento funebre della nobile siciliana Caterina Perdicaro.

Subito dopo, vi è l’ingresso murato da via Meli. L’ambiente ospita il monumento commemorativo dedicato al giurista Emerico Amari ritratto sulla sua cattedra di diritto penale. Di fronte, nel 2015 vi è stata inumata la bara con il corpo del giudice Giovanni Falcone, proveniente dalla tomba di famiglia nel cimitero di Sant’Orsola. Anche ai parenti del giudice Paolo Borsellino è stata proposta la traslazione in questo luogo dell’illustre congiunto, ma hanno rifiutato. Tra l’altro, la data di nascita sulla lapide di Falcone è diversa da quella che si trova di solito sulle altre fonti.

L’ultima cappella della navata destra è dedicata a San Vincenzo Ferrer, con il quadro rappresentante il santo dipinto da Giuseppe Velasco; nella parete sinistra si trova il monumento funebre in marmi mischi di Troiano Parisi, Barone di Milocco, grande studioso di lingue orientali, eseguito nel 1637 dai marmorari della famiglia Scuto, mentre, a destra, troviamo il monumento a Paolo Anzalone, tesoriere del regno. Addossato ai pilastri il bassorilievo commemorativo del beato Giuliano Majali, benedettino, morto nel 1470, fondatore dell’Ospedale Civico o Ospedale Grande e Nuovo.

Nella navata di Sinistra, superata la cappella di San Giuseppe, si trova quella dedicata Santa Rosalia con una pala d’altare dedicata della Santuzza del trapanese Andrea Carreca e il monumento funebre realizzato da Valerio Villareale che ricorda il poeta dialettale Giovanni Meli primo, nel 1853, fra i personaggi illustri ad essere tumulato nella chiesa. A sinistra il monumento di Gabriele Lancellotti scolpito dal neoclassico Leonardo Pennino nel 1813.

Segue poi la cappella dedicata a Cappella di Santa Caterina da Siena, in cui è presente bella statua della vergine senese, rara terracotta di scuola siciliana della metà del XVI secolo d’autore ignoto.

La quarta cappella, ora ingresso del chiosco, di cui parlerò nella prossima puntata, è dedicato Beato Giacomo Salomoni, domenicano di origine veneziana, noto per la sua carità e per la scarsa propensione a bruciare gli eretici. Nelle parete destra è conservata la statua di Santa Caterina d’Alessandria, scolpita nel 1527 da Antonello Gagini con storie della martire sul basamento. La scultura è proveniente dalla Cappella Maddalena, monumento funebre commissionato da Giacomo Maddalena, segretario regio, opera documentata nel primitivo edificio come altare addossato alle colonne. La nicchia a sinistra ospita la statua di fattura gaginesca raffigurante Santa Barbara prima collocata nella cappella eponima.

La cappella successiva è intitolata a San Raimondo da Penafort custodisce la tela che raffigura un episodio miracoloso del Santo (il Santo attraversa il mare usando il suo mantello come vela) di Gaspare Vazzano, lo Zoppo di Gangi, pittore manierista; a destra è collocato il monumento funebre di Rosolino Pilo, uno degli organizzatori della rivolta siciliana che diede il via all’impresa dei Mille, opera di Valerio Villareale, e a sinistra il monumento a Giovanni Denti di Piraino.

Dopo il vestibolo si giunge alla Cappella di Santa Rosa da Lima. Ambiente dedicato alla prima donna dell’Ordine domenicano canonizzata in Sud America, la tela raffigurante Santa Rosa da Lima è opera di Girolamo di Fiandra pittore del XVII secolo. Segue la sepoltura dei fratelli palermitani Salvatore, Pasquale e Raffaele De Benedetto, patrioti risorgimentali.

Passando al transetto destro, Cappellone di San Domenico di Guzmán, con lo scenografico altare barocco, in cui spicca il dipinto raffigurante l’estasi del santo eponimo, opera dello Zoppo di Gangi. L’altare è quasi gemello a quello della Madonna del Rosario posto nel transetto sinistro, da cui differisce per pochi dettagli, come lo stemma, per le pose delle figure per il pregevole tabernacolo e ovviamente, per la pala, che in questo caso rappresenta il Mistero della Madonna del Rosario ed è dipinta da Vincenzo degli Azani, un pavese allievo di Raffaello

Il transetto destro custodisce poi il monumento funebre di Guglielmo Ramondetta del 1691 disegnato da Paolo Amato, con figure ideate dal buon Giacomo Serpotta e realizzate dagli scultori palermitani appartenenti alla famiglia di Francesco Scuto, opera del XV secolo sull’altare conosciuta come Madonna di Monserrato. E’ poi presente un monumento scolpito nel 1904 da Giovanni Nicolini in memoria di Francesco Crispi. Accanto, vi è la cappellina dedicata a San Giacinto di Polonia, con accanto il sarcofago di Ruggero Settimo capo del governo rivoluzionario palermitano del 1848.

Invece nel transetto sinistro sono presenti il monumento di monsignor Michele Schiavo, vescovo di Mazara, morto nel 1771, e quello canonico della cattedrale e giurista Domenico Schiavo morto nel 1773 con opere di Ignazio Marabitti provenienti dalla distrutta chiesa di San Giuliano edificata ove sorge il teatro Massimo.

Nell’absidiola di destra, è presente la cappella del Santissimo Crocefisso, con sculture di Antonello Gagini e il il cenotafio di Annetta Turrisi Colonna, poetessa come la sorella, sempre opera di Valerio Villareale e sempre scambiato per scultura del Canova. Appena fuori la medesima cappella si apre sul pavimento l’ingresso all’ampia cripta chiusa da griglie, dedicata a Francesco Crispi, uomo politico e statista italiano, qui tumulato nel gennaio del 1905.

Nell’absidiola di sinistra, tra le decorazioni del Gagini, vi sono le tombe di tre grandi intellettuali. Si comincia il sarcofago di Michele Amari, il grane studioso della cultura araba in Sicilia, per poi passare monumento del domenicano Luigi Di Maggio istitutore in San Domenico della sede Società Siciliana per la Storia Patria, per finire con la tomba Giuseppe Pitrè, il fondatore della scienza folkloristica in Italia.

L’altare maggiore è in marmi mischi con modanature in rame. nel transetto della chiesa è stato posto il nuovo altare di bronzo rivolto al popolo realizzato nel 1987 dallo scultore Sebastiano Milluzzo, con smalti colorati su argento, pregevole opera del frate domenicano Leonardo Gristina, raffiguranti scene evangeliche e santi domenicani.

Preziosi e pregevoli i due organi posti ai lati dell’abside e del raffinato pulpito dello stesso periodo. Collocati su due identiche cantorie, racchiusi in casse lignee con prospetto a tre campate, ricchi di sculture e dorature in oro zecchino. L’organo in «cornu Evangelii» (a sinistra) fu costruito nel 1768-1774 da Domenico Del Piano, quello in «cornu Epistulae» nel 1781 dal palermitano Giacomo Andronico e completamente rifatto da Pacifico Inzoli nel 1898.

Dietro l’altare, nell’area del coro, è collocato un grande coro in noce del 1700 eseguito su disegno del domenicano Giovanni Battista Ondars, dello stesso autore il pulpito in noce realizzato da intagliatori ignoti nel 1732 con raffinata finezza di intagli e con le figure di cinque santi e beati domenicani: beato Giovanni Liccio, san Vincenzo Ferreri, san Tommaso d’Aquino, san Antonino Pierozzi, beato Giacomo Salomoni.

Prima di terminare il post, è interessante ricordare il rito de la calata ‘a tila, che si svolge a San Domenico, come in tante altre chiese siciliana, tra la Quaresima e la Settimana Santa. In particolare, nella chiesa è montata durante la Quaresima a tila, un tessuto esteso alto 30 metri e largo quanto l’arco absidale in tessuto di canapa, riproducente pitture molto intense sulla morte e deposizione di Cristo su fondo azzurrognolo. Durante la celebrazione della notte di Pasqua “a tila” al Gloria, cade liberamente svelando l’altare maggiore, annunciando visivamente “il Cristo risorto”.

Può sembrare strano, ma questa consuetudine è presente anche in Germania: è probabile che fu introdotta a Palermo dai cavalieri dell’ordine Teutonico, che avevano la loro casa generalizia nella chiesa della Magione…

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