Finalmente, con il terzo progetto, Bramante ebbe un poco di pace, sia da parte di Giulio II, sia da parte di Giuliano da Sangallo: per cui, sicuro di non perdere il posto, diede finalmente, nell’aprile 1506, l’avvio ai lavori, che paradossalmente, poco avevano a che fare con quanto proposto al Papa sino a quel momento: a quanto sappiamo, rispetto alle proposte precedenti, le misure sono ridotte e il braccio occidentale corrisponde in pieno alle fondamenta quattrocentesche, a contorno poligonale e senza ambulacro.
Questo fatto ha scatenato la fantasia di critici e storici dell’arte, impegnati nel disperato tentativo di capire cosa passasse per la testa a Bramante, partendo dalla una pianta conservata nel cosiddetto Codice Coner, opera di Bernardo della Volpaia, personaggio alquanto peculiare.
Bernardo, nato nel 1475 a Firenze, era uno dei rampolli di un’assai nota famiglia di orologiai dell’epoca: per motivi che noi ignoriamo a inizio Cinquecento, prese baracche e burattini, e si trasferì a Roma, dove, invece di dedicarsi all’attività di famiglia, sfruttando la sua esperienza e le sue competenze meccaniche, decise di diventare ingegnere.
Ossia, per farla breve, cominciò a progettare e costruire macchine edilizie e a dirigere cantieri: cosa che lo rese un preziosissimo collaboratore di Bramante, Raffaello e Antonio da Sangallo e discretamente ricco, tanto da permettersi un palazzetto a Borgo, adiacente a quello del cardinal Giulio de’ Medici. Il frequentare Bramante, fece venire a Bernardo la passione per il rilievo architettonico, i cui disegni furono raccolti proprio nel Codice Coner.
Da una parte Bernardo vi raffigurò con precisione molti particolari quotati di architetture antiche, raggruppati per tipi ed ordini (per esempio ponendo di seguito tutte le trabeazioni doriche) formando un vero trattato figurato sull’architettura antica, dall’altra mise su carta le intuizioni di Bramante. Grazie a lui, ad esempio, dei progetti originari di San Biagio della Pagnotta, di San Celso, palazzo Castellesi e ahimé, come accennato una pianta di San Pietro.
Nel cercare di capire come interpretarla, Metternich, combinandola con le piante longitudinali di Giuliano da Sangallo, arrivava a un progetto simile all’attuale basilica, con un corpo longitudinale a tre navate e cinque campate. Frommel, invece, l’ha utilizzate per ricostruire un un progetto di dimensioni ridotte, simile a quelli disegnati del Peruzzi dopo il sacco di Roma, che solamente sotto Leone X sarebbe stato sostituito da quello grande.
Probabilmente, però, la pianta Corner, più che un progetto vero proprio, era una sorta di studio di fattibilità, usato da Bramante, per cercare di capire come uscire dal vicolo cieco in cui si era infilato per dare retta a Giulio II.
Il problema del Terzo Progetto, era il passaggio dal sistema centrale, a quincunx, a quello longitudinale, a navate e campate: la forma dei sostegni cambia, e la sequenza degli spazi perde il suo ritmo, o peggio non viene più elaborata, come avviene nella nave minore, in cui Bramante non sapeva che pesci pigliare su come portarla a termine.
Continuandola con una serie di cupole minori, si avrebbe una struttura di dimensioni mostruose, irrealizzabile per tempi costi; rinunciando a tali cupole, la navata degraderebbe a un muro annesso del corpo centrale, alquanto bruttarello. Così la desiderata integrazione fra pianta centrale e longitudinale appare irraggiungibile.
Bisognava prendere il coraggio a quattro mani, buttare tutto e ricominciare da capo, a costo di affrontare l’ira di Giulio II. Ed è ciò che fece Bramante con la Pianta Coner, che rispetto ai progetti precedenti presenta due novità: la prima riguarda il diametro delle cupole minori. Nelle altre piante, ammontava sempre alla metà di quello della cupola maggiore; qui è ridotto a poco più di un terzo. Con ciò la forma dei rispettivi vani cambia dall’ottagono al quadrato, con un lato uguale, o quasi, al diametro delle arcate dei bracci di croce.
In tal modo questi vani si prestavano a esser ripetuti nelle navi minori: i sistemi spaziali centrale e longitudinale ormai si intrecciano a vicenda, senza frattura alcuna. E lo stesso vale per la struttura portante. Qui la trovata decisiva, quella del contropilastro, formato da un blocco rettangolare, la cui facciata rivolta verso la nave di mezzo corrisponde esattamente a quella del pilone centrale: tutte e due sono articolate con gli stessi gruppi parasta-nicchia-parasta, che solo adesso si uniscono attraverso l’arcata nella famosa travata ritmica del San Pietro Bramantesco, ripetuta identica in tutto l’edificio.
Purtroppo, il progetto derivato dalla studio di fattibilità della pianta Corner è andato perduto: tuttavia, abbiamo un’idea abbastanza chiara di cosa prevedesse, grazie a xilografia a corredo de il Terzo libro, nel quale si figurano e si descrivono le antiquità di Roma, de I Sette Libri dell’architettura di Sebastiano Serlio, che l’autore così introdusse
il qual Bramante al suo tempo dette principio alla stupenda fabrica del tempio di S. Pietro a Roma: ma interrotto dalla morte lasciò non solamente la fabrica imperfetta, ma ancora il modello rimase imperfetto in alcune parti: per il che diversi ingegni si affaticarono intorno a tal cosa: et fra li altri Raffaello da Urbino pittore, et ancho inteligente nel architettura, seguitando però i vestigi di Bramante, fece questo disegno.
La sua pianta mostra uno schema planimetrico puro e indisturbato: un disegno a scacchiera, formato da piloni e vani voltati a cupola, a botte e a crociera, in cui la figura a trifoglio dei bracci di croce occidentali si scioglie senza lasciar resto; il tutto rinchiuso in un blocco unico, rettangolare, da cui solamente le absidi emergono con grandi curve a segmento.E’ la sintesi perfetta fra tempio centrale e basilica.
Tuttavia, la pianta del Serlio pone il grosso problema delle misure. Quanto alle misure, il Serlio afferma come la sua figura sia ben proporzionata, cosicché da una parte delle misure si potrà trarre il tutto. Basta uno sguardo, però; per capire che ciò non è vero, e anche i numeri riportati sono sbagliati. Ma il disegno in sé non è tanto rozzo come forse appare, né è stato deformato in modo arbitrario. Infatti l’autore si è servito dello stesso metodo di generalizzazione per mezzo di una rete quadrata, che Bramante aveva impiegato nei suoi progetti; solo che qui la rete è molto più larga: un quadretto corrisponde a 30 palmi, invece dei 5 palmi di Bramante.
Questo metodo permetteva senz’altro di mettere in rilievo l’innovazione più importante di quel progetto: il diametro della cupola maggiore ha sei quadretti, quello delle cupole minori ne ha due. Altrettanto chiaramente si delinea la normalizzazione del sistema strutturale di piloni e contro-piloni. Altre relazioni, come quella fra cupola maggiore e navata, appaiono invece deformate, in quanto la navata risulta troppo larga; ma se il disegnatore voleva attenersi alla rete di 30 palmi, non c’era via di scampo.
In genere si può osservare che, in caso di conflitto, si è deciso di far prevalere i vuoti sopra i pieni; il che conferisce a questa figura quel certo che di leggerezza e serenità che incantava gli studiosi d’altri tempi. Quel che conta per noi è che le singole deviazioni si compensano a vicenda; l’effetto totale è; virtualmente corretto.