Pochi lo sanno, ma il duomo di Gardiagrele, intitolato a Santa Maria Maggiore, paesino in provincia di Chieti, è uno scrigno che custodisce opere di grande importanza nell’elaborazione del linguaggio rinascimentale. La chiesa, tra l’altro, ha una storia alquanto complicata.
Secondo la tradizione locale, la chiesa fu costruita nel 430, riadattando un tempio pagano; in realtà, probabilmente deriva da una chiesa cimiteriale del XIII secolo, collocata fuori dalle mura del castrum. A causa della crescita economica che l’Abruzzo ebbe nel 1200, Guardiagrele cominciò ad espandersi oltre il perimetro delle mura longobarde, in direzione del vecchio cimitero, che fu trasferito quindi nelle vicinanze della chiesetta di san Siro, l’attuale chiesa di san Francesco d’Assisi, mentre Santa Maria Maggiore si ritrovò così nella nuovo centro cittadino.
Nel XVI furono effettuate le principali modifiche in stile gotico alla chiesa, come la costruzione della torre campanaria e il porticato settentrionale, mentre nel secolo successivo ci fu una parziale ristrutturazione in stile rinascimentale.
Dell’edificio originale è sopravvissuto solo il prospetto sotto il portico meridionale, seppur con diverse aggiunte, come il secondo portale. Inserito nel 1578, quest’ultimo fu probabilmente ricavato da un blocco che in origine doveva essere un altare ed è caratterizzato da ricche decorazioni a treccia, grottesche e motivi floreali.
Il portico fu prolungato nel 1882 oltre via dei Cavalieri, così da coprire gli stemmi delle famiglie guardiesi più importanti affissi sul muro.
A causa del disastroso terremoto del 1706, il duomo fu parzialmente distrutto: crollò il campanile e il tetto della navata principale della chiesa. Il primo fu ricostruito in stile barocco e al contempo, fu deciso di ampliare la vecchia chiesa; per questo si provvide a sopraelevare la navata, prolungandola poi sino alla chiesa della Madonna del Riparo, situata sul lato opposto della strada. Fu ricavato un ampio e luminoso interno a navata unica, a cui si poteva accedere tramite un’ampia gradinata, mentre la navata originale, divenne una cripta chiusa al pubblico.
La chiesa fu ulteriormente danneggiata dai bombardamenti alleati del 1943, che distrussero il campanile, la facciata gotica e il tetto, il tutto progressivamente restaurato nel dopo guerra. Nonostante queste traversie, la chiesa conserva il il gigantesco affresco del 1473 raffigurante San Cristoforo, realizzato da Andrea De Litio (unica opera firmata e datata dall’artista), che mostra il santo nell’atto di attraversare un corso d’acqua gremito di pesci sorreggendo sulle spalle il bambino Gesù, che a sua volta innalza un globo sul quale sono scritte le lettere A A E (iniziali dei tre continenti conosciuti allora).
Andrea, anche se non viene citato nei manuali scolastici, ha un ruolo fondamentale nella storia della pittura del Quattrocento in Centro italia. Fu allievo di Masolino, collaborò con il misterioso Galasso Galassi, il fondatore della scuola ferrarese e con Jacopo Bellini, essendo quindi uno dei primi a introdurre, in verità con scarso seguito, lo stile rinascimentale a Venezia.
Nel 1445 eseguì a Roma un San Pietro, probabilmente a San Pietro in Vincoli, per diventare poi pittore di corte degli Acquaviva ad Atri, dove dipinse i suoi capolavori. Nonostante l’incarico, Andrea non smise di viaggiare. All’Aquila collaborò con Saturnino Gatti e ogni tanto fece capolino a Firenze, per aggiornarsi sulle novità locali.
Se Masolino pensa in stile rinascimentale e parla in gotico, Andrea fa esattamente il contrario. La sua pittura è caratterizzata è caratterizzata infatti da una narrazione fiabesca, ricca di garbo e di particolari eccentrici, che non sfigurerebbero in un quadro di Pisanello, però rappresentati con una lucida razionalità prospettica.
Inoltre Santa Maria Maggiore, nonostante le ruberie subite nei secoli, conserva uno straordinario patrimonio di arredi sacri, conservati nel museo del Duomo. Questo fu inaugurato nel 1987, proprio nella cripta ottenuta dalla ristrutturazione settecentesca del Duomo, grazie all’impegno del parroco don Domenico Grossi con lo scopo di salvaguardare, valorizzare e rendere maggiormente fruibile un patrimonio che prima si trovava sparso per le chiese marsicane ed era spesso oggetto di furto.
Museo che si articola in tre sale: nella prima, denominata sala dei paramenti sacri, sono esposti un piviale in taffetas del Settecento, pianete ricamate con fili d’oro e d’argento risalenti al XVIII e al XIX secolo, una tonacella d’inizio Novecento con ricami in stile Liberty. Nello stesso ambiente si trovano sette sculture del XVIII secolo: 4 busti-reliquiari d’influenza napoletana, un reliquario del Santissimo Salvatore, una statua di San Nicola Greco e l’Immacolata concezione che schiaccia il demonio, rappresentato sotto forma di drago.
La seconda sala, invece è dedicata a un alto dei protagonisti del Rinascimento abruzzese, Nicola da Guardiagrele. La sua opera può essere suddivisa in tre periodi stilistici: il primo precedente al viaggio a Firenze in cui spunti personali e innovativi si mescolano con la tradizione gotica, il secondo periodo coincidente con il viaggio fiorentino e un sostanziale cambio del linguaggio, influenzato dallo stile del Ghiberti, il terzo, in cui il raffinato ed elegante umanesimo di estrazione fiorentina è messo in crisi da una tensione espressionistica, influenzato sia da Raffaello, sia dal Gotico tedesco. Paradossalmente, proprio questa tensione, fu la basa del successo di Nicola, che entrò al servizio della corte pontificia, che premiò il suo pietismo, con una serie di commissioni prestigiose, come la croce processionale di San Giovanni in Laterano e in In collaborazione con Paolo Romano e con Pietro Paolo da Todi aveva realizzato i dodici apostoli d’argento che si trovavano sopra l’altare della cappella papale prima del sacco di Roma del 6 maggio 1527.
La sala ospita i frammenti della croce processionale in argento realizzata da Nicola, firmata e datata al 1431, fortunatamente in parte recuperati dopo il furto del 1979, e il gruppo scultoreo dell’Incoronazione della Vergine, ospitato fino a qualche anno fa nella lunetta del portale e considerato il capolavoro dell’arte scultorea regionale: in occasione della importante mostra del 2008 dedicata a Nicola, l’opera gli è stata definitivamente attribuita.
Al centro della sala troneggia la Madonna dell’Aiuto, statua lignea dipinta e dorata risalente al XV secolo, tra le teche contenenti due pregevoli corali miniati trecenteschi, rubati anch’essi insieme alla croce e solo di recente tornati a far parte del patrimonio artistico cittadino.
La terza sala, denominata Arte del XIV secolo, conserva un prezioso cofanetto del Trecento decorato con scene di corte e animali fantastici, la croce reliquiario di scuola umbra proveniente dalla chiesa di San Nicola Greco e una raccolta di ostensori, calici, turiboli e pissidi in argento di manifattura napoletana. Completa la collezione un braccio reliquario di scuola sulmonese, destinata ad ospitare le reliquie di San Nicola Greco, patrono guardiese.