Magna Mater

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Nel 204 a.C. il Senato decise di introdurre a Roma un nuovo culto, associato alla dea anatolica Cibele, versione locale della Potnia Theron, che simboleggiava la forza creatrice e distruttrice della Natura. Decisione motivata da un’insieme di fattori: mettere pace tra Patrizi e Plebei, sovrapponendo ai loro culti gentilizi di Cerere e Flora, le cui feste spesso degeneravano in tumulti, uno meno divisivo, basato su una figura divina analoga e super partes.

A questo tentativo di costruire un’identità civica comune, ancora più necessaria data la presenza di Annibale in Italia, si associavano esigenze di politica estera, la giustificazione ideologica all’espansione verso l’oriente anatolico, il luogo da cui Roma, con la costruzione della leggenda di Enea come ecista, faceva derivare le proprie origini; infine costituiva un pegno dell’alleanza del regno pergameno con Roma in funzione anti-macedone, dato che Filippo V si era schierato con Cartagine.

Attalo di Pergamo non aveva nessun problema a trasferire da Pessinunte a Roma il simbolo della dea, una pietra nera di forma conica, forse un meteorite, ma temeva la protesta dei fedeli locali: per vincere la loro opposizione, gli ambasciatori romani inventarono una sceneggiata, degna di Totò e Peppino o di Fra Cipolla, in cui fecero ehm “parlare” durante un sacrificio il simulacro di Cibele, ovviamente affermando il suo desiderio di trasferirsi nell’Urbe.

Quando il 4 aprile il simulacro giunse a Ostia venne affidato a Nasica, un rappresentate della famiglia degli Scipioni, che lo trasportò a Roma dove in attesa che venisse costruito un opportuno tempio, fu provvisoriamente posizionato al tempio della Vittoria. Il motivo era duplice: da una parte ribadire il connubio tra le origini mitiche di Roma e la sua propensione al dominio, richiamando nuovamente l’esaltazione di un nuovo ordine politico e la giustificazione religiosa all’espansionismo attraverso la vittoria militare, dall’altra dimostrare come Cibele non fosse un corpo estraneo nel pantheon latino.

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Di fatto, anche se marginale rispetto all’Ellade, anche tra i Prisci Latini vi era un culto della Potnia Theron, nella figura di Iuno Sospita, ossia “propizia”, la cui statua era ricoperto di un vello di capra. Il suo culto era estremamente arcaico: il buon Properzio racconta come nel suo tempio di Lanuvio si svolgesse ogni primavera un particolarissimo rito propiziatorio per l’agricoltura, durante il quale un gruppo di fanciulle vergini doveva offrire focacce ad un grosso serpente, che si trovava dentro un antro. Se il serpente accettava il dono, si prospettavano raccolti fruttuosi; se lo rifiutava, una fanciulla impura, cioè colei che aveva perduto la verginità, veniva sacrificata per scongiurare la carestia.

Tornando a Cibele, l’anno dopo l’arrivo a Roma della sua pietra sacra, Annibale se ne tornò in Africa: ciò spinse, almeno così racconta Livio, censori Livio Salinatore e Claudio Nerone a iniziare i lavori per un suo tempio, per grazia ricevuta, proprio accanto alla Casa Romuli. I lavori terminarono il 191 a.C., quando fu inaugurato dal pretore pretore Giunio Bruto. Per fare digerire il tutto alla fazione più conservatrice del Senato, il pretore non dedicò il tempio a Cibele, ma a un suo attributo, la Grande Madre, latinizzato in Magna Mater.

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Il tempio, probabilmente dotato di una pianta pseudodiptera, in cui le colonne perimetrali erano sostituite da semi-colonne addossate al muro della cella, era costruito in opera quadrata ed emergeva da un ampio podio, preceduto da una scalinata alta e larga quanto il fronte, che lo metteva in comunicazione anche con una vasca quadrangolare posta nell’angolo sud-est. L’altezza della scalinata di dimensioni eccezionali nel panorama dei templi contemporanei e anche della successiva età repubblicana, era dovuta sia al livello più basso della platea antistante al podio, sia a una caratteristica del culto della dea, di cui parlerò poi.

Durante il consolato di Publio Scipione e Lucio Calpurnio, un incendio distrusse il tempio della Magna Mater e parte dell’area circostante. Sulle informazioni fornite da un passo di Ovidio si può attribuire la ricostruzione ex manubis, suggellata da una nuova dedica nel 101 a.C., ad opera di Cecilio Metello Caprario, console nel 113 a.C., che festeggiò il trionfo sui Scordisci ex Thracia nel 111 a.C. Una seconda ipotesi su chi si impegnò nella ricostruzione del tempio di Cibele, più attendibile rispetto a quella di Caprario, identifica il benefattore in Metello Numidico, console nel 109 a.C. e trionfatore nella guerra giugurtina del 106 a.C., poi censore nel 102 a.C. insieme a Caprario.

I lavori di rifacimento, successivi all’incendio, assunsero caratteri architettonici monumentali e non si limitarono al solo tempio della Magna Mater, che ebbe una ricostruzione delle fondazioni in opera cementizia del podio, ma riguardarono anche il limitrofo tempio della Vittoria e il cosiddetto Auguratorium,il luogo dove i sacerdoti incaricati di prendere gli auspici prima di un importante evento (auguri) osservano il volo degli uccelli, stando rivolti verso sud-est.

Il nuovo tempio della Magna Mater (17,10 x 34,30 m) si presentava con una pianta periptera e sine postico, con doppio colonnato esastilo sul fronte e con nove colonne sui fianchi più i pilastri alle estremità del muro di fondo. Era stato eretto secondo modelli che fondevano le tradizioni dell’architettura medio-italica nell’alto podio e quella greco-ellenistica nella pianta, il cui rapporto tra il pronao e la cella era 1 : 2. Il podio era rivestito con lastre di peperino ed era distinto in due parti: una grande struttura perimetrale a forma di rettangolo allungato, entro cui ne era iscritta un’altra corrispondente al perimetro interno della cella e funzionale al sostentamento del basamento di un colonnato su tre lati.

Il nuovo edificio venne direttamente sovrapposto alle strutture della prima fase edilizia sopravvissute all’incendio consistenti in una serie di grandi terrazze comunicanti tra loro e sviluppate in successione da ovest verso est, che non furono rimosse, sulla cui sommità si ergeva il podio del tempio originario. Anche i settori sud e ovest del santuario furono ristrutturati integralmente e la gradinata di accesso al tempio della Magna Mater fu demolita e in parte obliterata.

Parte integrante del tempio, sia nella prima che nella seconda fase, fu inoltre la presenza di una vasca per scopi rituali. Nella prima fase del santuario era collocata nell’angolo sud-est della scalinata, incuneata tra l’angolo a sud-ovest del podio del tempio della Vittoria e l’estremità orientale della scalinata della Magna Mater. Nella seconda fase con la ridefinizione architettonica, la vasca in opera quadrata e le relative scale di accesso furono obliterate.

Al centro del lato di fondo spiccava il basamento della statua di culto in cui una pietra nera era stata inserita al posto della testa. La statua, seduta su un trono, manca della testa e delle braccia, che reggevano gli attributi. Veste un chitone e un mantello che ricopre il braccio sinistro e la parte superiore delle gambe, sotto il seno presenta una cintura. La parte posteriore è liscia mentre il tronco è lavorato, e due grandi fori sulla schiena indicano la presenza dei tenoni destinati ad ancorarla alla parete retrostante. Il modello figurativo più vicino a questa statua di culto è stato identificato in un’altra scultura di Cibele proveniente da Pergamo, la cui cronologia è fissata al II secolo a.C.

Fu obliterata anche la gradinata inferiore di accesso al tempio, risalente alla prima fase, mentre il clivius Victoriae e la zona a sud vennero abbassati di livello per poter collocare le sostruzioni della nuova platea, antistante agli edifici di culto. Questo percorso fu trasformato in una vera e propria via tecta, per una lunghezza di 40 m, di cui a nord si avevano ambienti ortogonali e a sud un ambulacro. L’aspetto del santuario palatino fu marcatamente ridefinito, e ciò che più lo caratterizzava era la sopraelevazione della platea, trasformata in un’ampia piazza aperta di fronte ai templi.

Il tempio della Magna Mater subì un nuovo, anche se parziale, restauro in epoca augustea, quando il culto divenne ufficiale e pubblico, conclusosi nel 3 d.C., quando fu nuovamente dedicato. I lavori interessarono parte dell’elevato della cella, le colonne, i capitelli, la decorazione architettonica e il tetto. Anche durante l’epoca augustea il tempio conservò il suo aspetto tradizionale, ovvero prostilo, esastilo con due colonne sui fianchi del pronao, piuttosto ampio, essendo di poco più piccolo della cella. Come è noto dal rilievo di Villa Medici, nel frontone non era rappresentata direttamente la Magna Mater ma il suo trono con una corona turrita, in modo da richiamare la dea nella sua accezione di protettrice dell’Urbe.

Nella prima fase del tratto sud erano presenti vasche tardorepubblicane, poi occultate durante la costruzione del colonnato del portico, in un progetto che prevedeva il rialzamento dell’area destinata al portico e alla corte fra questo e il tempio. Questa fase probabilmente è da attribuirsi all’epoca augustea. Il restringimento della lunghezza del portico, terminante a sud con un braccio allineato sulla divisione tra cella e il pronao del tempio, è da datare invece in epoca severiana. Gli ultimi interventi edilizi del santuario sono costituiti da un’ulteriore trasformazione degli ambienti limitrofi alla via tecta, che a partire dal III secolo furono la sede di piccole vasche, probabilmente fullonicae a nord e un impianto termale a sud, che ben si prestava ad ospitare un balneum.

Una peculiarità del culto di Cibele alias Magna Mater erano i ludi scaenici recitati in occasione della festa della Megalesia, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia della letteratura romana, dato che vi esordirono molte commedie di Plauto e Terenzio. Gli spettatori assistevano alle rappresentazioni teatrali seduti sulla scalinata del tempio, utilizzandola come cavea di un teatro, e probabilmente anche negli spazi laterali. Proprio per soddisfare tale esigenza, era stata sovradimensionata: tenendo in considerazione l’articolazione in due rampe della scalinata e dei posti negli spazi laterali si è calcolato che la struttura poteva ospitare un numero di circa 1500 spettatori e un centinaio di tubicinarii, i suonatori di trombe. Può sembrare strano, ma le commedie latine erano più simili a un nostro musical, che a uno spettacolo di prosa.

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In questi giorni, poi, vi era la grande festa in onore di Cibele e di suo figlio Attis. Le celebrazioni iniziavano il 15 marzo, quando una processione, detta Canna intrat (“Entra la canna”), raggiungeva il tempio di Cibele sul Palatino. I partecipanti erano i “cannofori”, che portavano al tempio fusti di canne, allo scopo di commemorare l’esposizione di Attis bambino in un canneto. Si ritiene che questa cerimonia sia collegata ad antichi rituali propiziatori della pioggia di àmbito agricolo.

I sette giorni seguenti la Canna intrat venivano considerati di espiazione, ed erano noti come Castus Matris (“Digiuno della Madre”). Il 22 marzo avveniva la processione dell’Arbor intrat (“Entra l’albero”), celebrante la morte di Attis. Quel giorno si tagliava il pino, simbolo del dio, se ne fasciava il tronco con sacre bende di lana rossa, lo si ornava di viole e strumenti musicali e sulla sua sommità si ponevano le effigi del dio giovanetto. L’albero veniva portato dai “dendrofori” fino al tempio di Cibele, dove avveniva la commemorazione funebre di Attis.

Il 24 marzo era il Sanguem, o anche Dies Sanguinis: iniziavano le cerimonie funebri e i fedeli culminavano il compianto per la morte di Attis. L’arcigallo, il gran sacerdote, si tagliava le carni con cocci e si lacerava la pelle con pugnali per spargere sull’albero-sacro il sangue che usciva dalle ferite, in ricordo del sangue versato dal dio da cui nacquero le viole. Il gesto veniva imitato dagli altri sacerdoti, poi gli uomini che seguivano la scena iniziavano una danza frenetica e nell’eccitazione sguainavano le spade per ferirsi. Il pino decorato veniva chiuso nel sotterraneo del tempio, da cui sarebbe stato rimosso l’anno successivo. La notte era poi passata nella veglia.

Il giorno seguente, 25 marzo, il dio era risorto: si celebravano allora le feste chiamate Hilaria e per le strade vi erano cortei gioiosi. In epoca imperiale le celebrazioni prevedevano una processione della statua di Cibele. La particolarità di questo giorno di festa era il permesso di dare vita a qualsiasi forma di scherzo o gioco, con la predilezione per il mascheramento. Ad ognuno era permesso assumere l’identità e l’aspetto di ciascuno, persino di appartenenti ad alte cariche pubbliche come i magistrati.

Erodiano narra di un complotto preparato da Annia Lucilla, sorella di Commodo, con l’aiuto del prefetto Tarrutenio Materno contro l’Imperatore proprio durante queste festività. Secondo Erodiano il complotto prevedeva che Materno ed i suoi seguaci si travestissero da membri della Guardia Pretoriana per poi mescolarsi a quella vera e propria, fino ad arrivare alle stanze di Commodo ed ucciderlo. Ma uno dei complici di Materno rivelò anzitempo il complotto, “preferendo un imperatore legittimo ad un tiranno usurpatore”, secondo le parole di Erodiano. Il giorno degli Hilaria tutti i cospiratori furono catturati e l’Imperatore Commodo sacrificò alla dea Cibele affinché non fosse più minacciato da cospirazioni.

Dopo un giorno di riposo, il Requetio, il 27 marzo giungeva il momento della Lavatio (“Abluzione”) della statua di Cibele. La statua della dea, che recava incastonata nella testa la pietra giunta da Megalesia nel 204 a.C., veniva messa su un carro e portata fino al fiume Almone e spinta nel fiume: qui l’arcigallo lavava la statua, asciugandola e cospargendola di cenere. Canti e danze riaccompagnavano la statua al Palatino.

L’Initium Caiani era la cerimonia di iniziazione ai misteri di Attis, che veniva praticata il 28 marzo. L’iniziazione veniva praticata in un santuario frigio situato sul colle Vaticano, fuori dalle mura cittadine. Gli iniziandi consumavano un pasto negli strumenti musicali, cimbali e timpani. Poi veniva una processione, in cui veniva portato il “kernos”, un cratere contenente dei lumi. Infine avveniva una ierogamia, in cui gli iniziati, identificandosi con Attis, celebravano le nozze mistiche con la dea Cibele.

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