Giochi da tavolo nell’Antica Roma

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Mettiamola così: dopo quasi un mese rintanati giustamente a casa, una delle sfide più importanti è sopravvivere alla noia. Un grosso contributo, oltre alla lettura, a Netflix e a Disney+, lo stanno dando i giochi da tavolo.

Può sembrare strano, perché è una cosa citata di sfuggita nei libri di testo, ma anche gli antichi romani, che li chiamavano tabulae lusoriae, proprio perché realizzati su una scacchiera, ne erano grandi appassionati: cosa che, per una volta, tendeva a superare anche le differenze religiose. Le tavole potevano essere di poco valore, come quelle ricavate dalla corteccia di alberi o scavate sul marmo, mentre quelle appartenenti alla popolazione più ricca, potevano essere dei veri e propri tesori, di cui ci parla anche Plinio il Vecchio.

Amanti di questa tipologia di giochi erano sia i pagani, sia i cristiani, tanto che San Cipriano, che aveva condannato il gioco d’azzardo basato sui dati in trattato teologico intitolato De aleatoribus, scrisse dei manuali, purtroppo perduti, dedicati alle principali tabulae lusoriae dell’epoca.

Molte testimonianze, sui tabelloni dei giochi da tavola degli antichi romani, provengono proprio dal Foro Romano, in particolare dalla Basilica Iulia, cominciata da Giulio Cesare e terminata da Augusto, in cui aveva sede il tribunale dei centumviri, in cui si dibattevano cause relative a dispute sulla di proprietà, servitù ed eredità. Clienti e avvocati, a quanto pare, ammazzavano il tempo tra un’udienza e l’altra giocando.

Come facessero a concentrarsi sulle strategie, è un mistero: da quanto raccontano gli storici latini, tramezzi in legno o tende dividevano dividevano la basilica in settori che venivano utilizzati da quattro tribunali contemporaneamente. Per cui, era facile immaginare la confusione…

Spesso su queste tabulae agli elementi decorativi si sono sostituite delle iscrizioni che riguardano la mutevole sorte del gioco, o la bravura o poca abilità dei giocatori. Le frasi venivano disposte su tre file parallele, una lettera per ogni casella.

Alcune tabulae, specie le più tarde, fanno allusioni ad eventi storici o politici. Un esempio eloquente in tal senso è costituito da un’epigrafe ritrovata nella catacomba di Priscilla, sempre a testimonianza di come la passione per i giochi da tavolo fosse interreligiosa, che recita

“Sconfitti i nemici, l’Italia è felice, divertitevi Romani”.

Si pensa che questo testo si riferisca alla vittoria riportata sugli Alemanni a Fano nel 271 d.C. ad opera dell’imperatore Aureliano, oppure alla vittoria conseguita da Claudio II il Gotico nel 268 d.C. sulla stessa popolazione.

Altre volte il linguaggio usato diventa allegorico, paragonando i giocatori più abili ai cacciatori e i più sprovveduti alle prede; non mancano inoltre le invocazioni alla fortuna e alle divinità affinché venissero in soccorso ai giocatori.

In ambito cristiano, nella catacomba dei santi Pietro e Marcellino è stata ad esempio trovata una tabula, che presenta all’interno delle caselle le raffigurazioni del buon pastore e di Noè nell’atto di accogliere la colomba col ramoscello di olivo.

Un’ altra lapide è stata scoperta all’interno della basilica di Damus el-Karita a Cartagine, dove è iscritta una croce monogrammatica; infine dal complesso cultuale di san Lorenzo fuori le mura romane ne proviene un’altra, che contiene all’interno dei cerchietti mediani i nomi dei quattro fiumi paradisiaci (Geon, Fison, Tigri ed Eufrate).

Ma a cosa giocavano, di preciso, gli antichi romani ? Dalle fonti e dagli scavi archeologici, le principali tabulae lusoriae erano: Terni lapilli, Tria, Parvi foraminis, Duodecim scripta, Quadrati boves e Latrunculi.

Terni Lapilli e Tria, detto fra noi, si giocano ancora oggi: il primo è il nostro tris, anche se spesso gli antichi romani preferivano usare griglie circolari rispetto a quelle quadrate, il secondo è il notissimo Filetto.

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Parvi foraminis, buchette, era una loro strana variante. Nella Basilica Iulia ne troviamo ben cinque, delle loro tabulae lusoriae, formate da file di concavità praticate nella pietra. Alcune di queste sono sovrastate da un lungo rettangolo, mentre altre sono circondate da linee che delimitano lo spazio di gioco.

Le tabulae variano sia per disposizione che per numero di buche: alcune ne hanno solo 8 (una fila da 5 e una da 3), altre ne hanno 12, altre ancora, invece, sono disposte a cerchio. Nella Basilica Iulia troviamo una tabula delle fossette simile a quella incisa nel Foro Vecchio di Leptis Magna e chiamata dalla Rieche “mulino tondo”. Questa tabula è diversa dalle altre, in quanto costituita da due cerchi concentrici, divisi in otto settori regolari da otto diametri.

Come si giocava a Parvi foraminis ? Come accennavo, era una sorta di mix tra Filetto e gioco delle biglie. I giocatori dovevano creare i loro tris, cercando di lanciare delle palline di vetro nelle buche.

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Più complessi, concettualmente, erano gli altri tre giochi, di cui, secono gli storici latini, era grande appassionato l’imperatore Claudio. Duodecim scripta era una sorta i versione latina del nostro backgammon e si giocava con una scacchiera e 15 pedine per ciascun partecipante, un giocatore prendeva quelle bianche e l’altro quelle nere; venivano utilizzati, durante il gioco, anche due dadi.

Si cominciava col gettare gli appositi dadi, per decretare il primo giocatore (ovviamente iniziava colui che, una volta tirati i dati, avesse ottenuto il numero più alto). Una volta tirati i dadi, il giocatore poteva posizionare la sua pedina in una casella considerata «libera», ovvero non occupata dall’avversario, in base al numero uscito. Si consideravano perciò bloccate quelle caselle in cui uno dei due giocatori avesse già piazzato almeno una delle due pedine. La partita veniva considerata conclusa solo quando uno dei due giocatori riusciva a far compiere a tutte le sue pedine l’apposito percorso.

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Quadrati boves è il nostro Alquerque, gioco che risale almeno faraone Ramses I (XIV sec. a.C.), la più celebre incisione di questo periodo si trova sulle pietre di copertura del tempio di Kurna opera probabilmente dei muratori che lavoravano alla costruzione. Il gioco ebbe grande diffusione tra le popolazioni arabe, presso le quali ancora oggi viene giocato, e viene menzionato con il nome di El-quirkat (il quadrato) in un manoscritto arabo del X sec. Un’altra incisione famosa è quella di Gerusalemme, su una delle pietre del posto di guardia nella porta di Damasco, l’incisione viene attribuita all’epoca della dominazione romana della Palestina (II sec. d.C.). Per cui, è probabile fosse il passatempo preferito di qualche Apostolo e dei suoi ascoltatori.

Successivamente venne introdotto in Spagna durante la dominazione araba e descritto nel “Libro de los juegos” durante il regno di Alfonso X di Castiglia (1251-1282), da cui sono state tratte le regole standard. Al proprio turno, il giocatore sposta uno qualsiasi dei propri pezzi in una casella adiacente vuota. Un pezzo può saltare un pezzo avversario, mangiandolo, se quel pezzo è adiacente e la casella successiva è vuota (come nella dama). Sono permesse (e obbligatorie, se possibili) catture multiple. Se un giocatore non esegue una cattura avendone la possibilità, il suo pezzo viene “soffiato” (ovvero eliminato dal gioco). Vince chi elimina tutti i pezzi avversari.

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Infine, il gioco Ludus latrunculorum, o più semplicemente dei Latrunculi (briganti, mercenari), era un gioco da tavolo in voga nell’antica Roma, forse una variante della petteia (gioco praticato nell’Antica Grecia), forse simile ai moderni scacchi o dama. Le pedine, e occasionalmente il gioco stesso, erano chiamati calculi (“sassolini”); delle pedine è noto che avevano diversi compiti: c’erano le mandrae, i milites e i bellatores (di queste ultime due non si è certi se fossero le stesse chiamate con nomi diversi). Da quanto siamo riusciti a ricostruire, la tavola da gioco dei latruncoli era divisa probabilmente in 96 quadrati, tutti dello stesso colore.

Ai due estremi venivano schierati gli eserciti di pedine. Non sappiamo il numero esatto dei pezzi per partecipante: le ricostruzioni più accreditate ipotizzano dodici pedine, ma anche sedici o trenta. A queste va aggiunto il dux o bellator, una sorta di “re”. Ancora per analogia con gli scacchi, le singole pedine sono da noi chiamate a volte “pedoni”, altrimenti milites. Tutti i pezzi sulla tabula lusoria potevano muoversi ortogonalmente e di quante caselle vogliono. Un miles o pedone venivano “mangiato” se affiancato dalle pedine dell’avversario su due lati, ad esempio a destra e sinistra o in alto e in basso. Per questo motivo era importante muovere sempre una pedina a copertura dell’altra. Il dux o bellator, invece, era mangiato se è accerchiato da tutti e quattro i lati. Di fatto le regole erano simili all’ Hnefatafl vichingo, con la differenza, che come i nostri scacchi, il gioco era simmetrico, avendo i due contendenti lo stesso scopo, catturare il re avversario.

Così, il buon Ovidio, descrive nei Tristia tale gioco

Sunt aliis scriptae, quibus alea luditur, artes –
hoc est ad nostros non leve crimen avos –,
quid valeant tali, quo possis plurima iactu
fingere, damnosos effugiasque canes;
tessera quos habeat numeros, distante vocato
mittere quo deceat, quo dare missa modo;
discolor ut recto grassetur limite miles,
cum medius gemino calculus hoste perit,
ut bellare sequens sciat et revocare priorem,
nec tuto fugiens incomitatus eat;
parva sit ut ternis instructa tabella lapillis,
in qua vicisse est continuasse suos;
quique alii lusus – neque enim nunc persequar omnes –
perdere, rem caram, tempora nostra solent.

Ossia, tradotto in italiano

Altri hanno scritto sull’arte di giocare ai dadi – che non è lieve colpa presso i nostri antenati -, quale sia il valore degli astragali, con quale lancio si possa segnare il massimo dei punti o evitare i dannosi cani, quali le combinazioni dei dadi, come lanciare chiamando il numero che manca, come muovere in accordo coi lanci, come avanzi in linea retta il soldato di diverso colore, quando un pezzo è minacciato in mezzo a due nemici, come un pezzo che segue sappia combattere e richiamare un pezzo avanzato e ritirandosi in sicurezza non si muova senza un compagno, come su una piccola tavola si dispongano tre pezzi per giocatore, e vince chi ha messo in fila i suoi sulla medesima linea, e gli altri giochi – né ora potrei ricordarli tutti – che sogliono sciupare, cosa preziosa, il nostro tempo

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