La coesistenza tra diversi popoli e culture nella Mediolanum romana, di cui ho parlato la settimana scorsa, si è evidenziata anche nello sviluppo dell’edilizia privata. Ai tempi della fondazione del municipium, a differenza delle città dell’Italia e della Magna Grecia, anche a causa anche della predominanza dell’elemento celtico e della carenza di pietra, i materiali di costruzioni più usati erano la paglia e il legno.
Con lo sviluppo economico della città, le cose cambiarono progressivamente: da una parte la presenza di liberti e di immigrati provenienti dal Mediterraneo Orientale, portò alla necessità di realizzare una sorta di edilizia intensiva, con le insule, equivalenti ai nostri condomini. Ovviamente, non essendoci i problemi di sovrappopolazione che affliggevano la Roma dell’epoca, in cui fu addirittura realizzato una sorta di grattacielo, l’insula Felicles (citata anche dall’apologeta Tertulliano), che attirava l’attenzione di tutti, per la sua maestosità, a fianco del Pantheon e della Colonna Aurelia, questi edifici a Mediolanum era di altezza contenuta.
Considerando come termine di paragone i resti trovati in altre città delle Gallie, le insule di Mediolanum erano caseggiati di 70 m x 80 m che avevano un’altezza massima, consentita dal piano regolatore di Augusto, di 33 m, corrispondenti a 5-6 piani fuori terra.
Dall’altra, la nascita di una borghesia di imprenditori, portò alla anche alla costruzione di una serie di domus, meno ricche e grandi rispetto a quelle del resto d’Italia, erano paragonabili alle nostre villette a due piani, ma con specifiche peculiarità, legate alla condizioni ambientali. Pur essendo fornite di atrio, dotato al centro di una vasca e/o di un pozzo per la raccolta dell’acqua piovana, il peristilio, il giardino associato alla casa, non risultava essere molto diffuso.
In compenso, era diffusissimo il riscaldamento centralizzato, realizzato tramite il sistema ad ipocausto, costituito da un forno associato al praefurnium, un canale che convogliava il calore al di sotto del pavimento dell’ambiente da riscaldare, che, a sua volta, era tenuto sollevato da terra da una serie di pilastrini in laterizi, quadrati o circolari (pilae). L’aria calda poteva essere convogliata anche nell’alzato attraverso un’intercapedine tra parete e muro, in cui venivano inseriti dei tubuli.
I muri, per la carenza di pietra, erano costruiti con filari alternati di ciottoli di fiume e laterizi legati da malta, oppure secondo la tecnica “a sacco”: il nucleo interno in conglomerato di ciottoli e malta era rivestito da un paramento esterno a filari di laterizi e/o ciottoli. In più a causa del terreno paludoso, era utilizzata una particolare tecnica per realizzare le fondazioni, con un sistema di bonifica detto “trincea a strati”, formato appunto da strati pressati ed alternati di limo, ghiaia con frammenti di intonaco, malta e frammenti laterizi, allo scopo di consolidare il terreno e tenere lontana l’umidità.
Quale sono, per quello le principali domus più o meno visitabili di Milano, oltre quella da poco inaugurata sotto il Policlinico ? Comincio da quella che visitai in occasione delle giornate di Primavera del FAI, quando feci da guida volontaria (sì, è un manicomio, per l’italica incapacità di comprendere il concetto di fila e tempi contingentati)
Tra il 2002 e il 2003 è stato portato alla luce una domus al di sotto di Palazzo Carmagnola, in via Broletto 7, dove è il Piccolo, luogo che pare pulluli di fantasmi, in un’area che anticamente era in prossimità delle mura.
L’abitazione, orientata secondo il tracciato del cardo massimo (nordest/sud-ovest), venne costruita in età augustea ed era dotata di almeno cinque ambienti con pavimentazioni e pareti decorate: di un vano si sono conservate le tracce del pavimento realizzato creando uno strato di calce e scaglie di pietra bianche, lisciato e abbellito da tessere nere disposte a formare un disegno geometrico. Successivi interventi e diverse modiche indicano che la casa venne utilizzata sino all’età tardoantica.
Dalle vetrate nel cortile di Palazzo Carmagnola sono visibili i vani musealizzati nei sotterranei. Si può osservare la presenza di un ambiente più grande, riferibile al I secolo d.C., con il pavimento in tessere bianche e nere, di cui accennavo prima. Ad esso si affianca un secondo vano, verso sud, riscaldato a ipocausto, di cui si conservano ancora le pilae.
Ad esso era collegato il praefurnium, tramite un archetto, poi crollato, che lasciava spazio al condotto per l’aria calda: si possono osservare le tracce nere della combustione. Il riscaldamento si estendeva anche alle pareti dell’ambiente tramite tubuli. Nel secondo vano si trova una canaletta di scarico relativa all’ipocausto, realizzata con frammenti di mattoni sesquipedali.
Una seconda domus è visibile all’interno del Civico Museo Archeologico: essendo via Magenta una delle principali strade commerciali della Mediolanum romana, le dimore borghesi tendevano a concentrarsi in quell’area.
Nella domus del Museo, sono stati riconosciuti tre diversi momenti di realizzazione, a partire dalla metà del I secolo d.C.: gli ambienti della domus più antica erano di dimensioni ridotte, con lati lunghi tra i 2 e i 4 metri. Poco è rimasto della decorazione pavimentale del vano settentrionale, costituita da uno strato di malta lisciata rosa (colore dovuto all’abbondanza di elementi fittili nella matrice di malta).
Sono stati ritrovati inoltre alcuni frammenti di pittura policroma con tracce di disegni geometrici e vegetali che, insieme ai reperti ceramici, inquadrano l’uso di tali ambienti ad età flavia. Alla fine del I secolo d.C. l’abitazione fu profondamente ristrutturata. L’ambiente musealizzato nei giardini del Museo si distingue per le maggiori dimensioni (di almeno 4 x 5 metri) e per la decorazione del pavimento bianco, ottenuto con l’uso di scaglie di calcare bianco mescolate a calce e abbellito da un reticolo di tessere nere. Oltre al pavimento, al momento dello scavo venne trovata ancora in situ la decorazione parietale, uno dei rarissimi esempi per Milano.
L’ultimo periodo di vita dell’abitazione è noto attraverso i resti di due ambienti risalenti agli inizi del III secolo d.C. Resti dei pavimenti e delle decorazioni parietali sono stati recuperati negli strati di distruzione: si tratta di frammenti di cementizio rosso decorato da crocette bicrome (bianche e nere) e da lacerti di intonaci colorati, lastrine marmoree e stucchi dipinti.
Nell’area di via Morigi, poi sono stati rintracciati muri e pavimenti di case di età romana: facevano parte di un quartiere abitativo di alto livello, poi sostituito dal palazzo imperiale. Uno degli ambienti ritrovati era riscaldato col sistema ad ipocausto, con pilae di sostegno (via Morigi 13). Un altro vano, ritrovato in via Morigi 2A nel 1949 e nel 1954, conserva un raffinato pavimento costituito da uno strato di calce e scaglie di pietra pressati (cementizio), decorato in superficie da inserti di pietre colorate, inquadrati lungo i bordi da una cornice a tessere bianche e nere. Nell’allestimento del mosaico è stata ricomposta anche la preparazione, in cui si riconosce il vespaio con ciottoli di fiume. Il vano e la domus a cui apparteneva erano orientati secondo l’andamento di una strada secondaria di età romana. L’edificio può essere datato al I secolo a.C-inizio I secolo d.C.
Negli anni Settanta in via Olmetto-vicolo San Fermo furono portati in luce alcuni ambienti di una ricca domus, decorati da pavimentazioni, alcune delle quali sono oggi musealizzate in un vano sotterraneo accessibile da via Amedei 4, sotto Palazzo Majnoni d’Intignano. È stata riconosciuta una casa risalente alla fine del I secolo a.C. o agli inizi di quello successivo, con vani decorati da mosaici in bianco e nero, di cui due frammenti sono esposti nel vano sotterraneo: uno di essi ha un prezioso bordo che rappresenta le mura e le torri di una città. Nello stesso quartiere sono stati messi in evidenza diversi ambienti riferibili a questo periodo e che potrebbero appartenere ad un unico edificio o ad un’unica insula.
Per circa tre secoli gli ambienti furono mantenuti in uso, fino a quando nel IV secolo d.C. venne costruita una nuova e grande domus. Di un ampio ambiente (24 x 6 metri), si conserva parte di un mosaico, ricollocato nel sotterraneo moderno rispettando l’orientamento originale. Attigua vi è un’autorimessa che, tra l’altro, venne interessata da un incendio nel 2002, lasciando fortunatamente incolume il mosaico.
Il mosaico costituisce uno dei rari esempi di soggetto figurato ritrovato a Milano. La decorazione musiva permette di comprendere come fosse distribuito internamente lo spazio, suddiviso in tre settori o pannelli.
Il primo rappresenta due cerbiatti, uno in piedi e l’altro accovacciato, affrontati e separati da ciuffi d’erba; gli animali sono racchiusi in un elegante riquadro e di certo vi si trovavano, intorno, altri elementi. Il secondo presenta una decorazione geometrica interrotta al centro da una scena con amorini alati raffigurati mentre pescano in un mare pieno di pesci. L’ultimo invece consiste in un grande tappeto musivo in cui prevalgono motivi geometrici; vi si individuano una serie di otto ottagoni e quadrati, che contengono elementi ad intreccio, Nodi di Salomone, ma anche un fiore a quattro petali ed una ulteriore gamma di soggetti dalla possibile valenza simbolica, oltre che meramente decorativa; tra ottagoni e quadrati si interpongono croci intrecciate.
L’ambiente è stato interpretato in due modi distinti: l’ipotesi tradizionale è che si tratti di una sala da banchetti. Negli ultimi anni, vista l’utilizzo di simboli cristiani e la somiglianza della decorazione con quella della prima basilica patriarcale di Aquileia, ha fatto sospettare che si tratti di una sorta di ambiente privato per lo svolgimento delle assemblee liturgiche cristiane.
A questi mosaici, si affiancano, altri lacerti di mosaico provenienti da scavi della stessa zona: quello proveniente da via Amedei 8 è realizzato interamente a tessere bianche disposte a filari rettilinei. Due mosaici da piazza Borromeo appartengono a due strutture differenti: il primo a tessere bianche e nere abbelliva il vano di una domus di I secolo d.C., obliterata tra ne III e inizio IV secolo d.C. dalpalazzo imperiale. A quest’ultimo è invece da riferire il secondo mosaico a motivo geometrico policromo
Infine, nella prima metà del I secolo d.C. non lontana cinta muraria venne edificata una domus i cui resti sono musealizzati sotto Piazza Duomo in prossimità dell’ingresso sotterraneo del Museo del Novecento. In base a quanto portato in luce durante gli scavi del 2008-09, gli ambienti erano disposti attorno ad un cortile con vasca interrata, rivestita da malta idraulica per renderla impermeabile. Un particolare accorgimento è da notare nella tecnica delle fondazioni dotate di un nucleo (composto da frammenti di mattoni e ciottoli legati da malta) e di un paramento a corsi regolari di ciottoli, alternati a rare file di laterizi.
L’alzato era invece interamente in mattoni. La casa subì diversi rifacimenti tra II e III secolo d.C., dei quali sono testimonianza nuove murature, pavimentazioni e resti di intonaci. In età tetrarchica venne tamponata una soglia che metteva in comunicazione due vani: la tamponatura presenta una tecnica tipica a partire da questo periodo, con filari di laterizi disposti normalmente di costa, alternati a filari a spina di pesce. Si venne così a creare un ambiente isolato, riscaldato col sistema di suspensurae a “T” (cioè con pilastrini circolari e quadrangolari), ben conservato in situ.
Della decorazione del pavimento soprastante rimangono alcune impronte nella malta di allettamento: si tratta di una composizione geometrica in opus sectile con quadrati alternati a rombi. Alle pareti si sviluppava invece una pittura con zoccolo a imitazione del marmo giallo, chiamato appunto “giallo antico”