E’ ben difficile dire cosa avesse capito di preciso Giulio II da tutto il lavoro progettuale compiuto da Bramante. L’unica cosa che gli era chiare riguardava il fatto che l’architetto avesse recepito sia alcune osservazioni di Sangallo, sia la sua richiesta, di preservare il più possibile dei lavori eseguiti nel Quattrocento.
Per cui, possiamo ben intuire le perplessità del Papa dinanzi all’inizio dei lavori, quando si rese conto di le sue idee e aspirazioni fossero ben distanti da quelli di Bramante.
L’architetto si era concentrato sulla costruzione dei quattro piloni centrali: nel caso le valutazioni di Sangallo fossero state giuste e questi fossero rimasti in piedi, averebbe provveduto a raccordarli con grandi archi e avendo sufficiente tempo, a coprirli con tamburo e cupola.
Giulio II aveva un’altra mira: la sua Cappella Julia, cioè il coro e lo voleva subito, a costi minimi, e ciò significava tenersi sul groppone i vincoli imposti dal progetto del Rossellino. Il problema è che non si poteva avere la botte piena, il nuovo progetto di Bramante, e la moglie ubriaca, il coro di Niccolò V.
Tutti mesi persi a riflettere, avevano mostrato come le sue esigenze fossero tra loro autoescludenti. Per l’effetto visivo dell’interno, in qualche modo si sarebbe arrangiato, comprimendo lo schema delle tribune fino alle misure del coro corto; in pianta, invece, i sistemi erano incompatibili. Non c’era soluzione, se non rinunciare a tutto quanto finora escogitato e tornare alle linee generali del progetto quattrocentesco. Di fronte a questa alternativa, Bramante fu fermo, il che conoscendo il pessimo carattere di Giulio II, fu un’impresa non da poco, di cui era stato capace un testone come Michelangelo, non certo un artista noto per il carattere amabile e accomodante.
Ovviamente, anche il Papa fu irremovibile: per uscire da questo stallo, fu applicata una bieca soluzione all’italiana. Furono contemporaneamente sia costruiti i quattro piloni, sia ripresi i lavori del coro quattrocentesco. Che le due porzioni della nuova San Pietro fossero tra loro incompatibili, poco male: sarebbe stato un problema che avrebbero risolto i posteri, se ne avrebbero avuto capacità e voglia…
Cosa per cui, dopo la sua morte, si beccò le ben meritate maledizioni da parte di tutti gli architetti che presero il suo posto nella direzione dei lavori: nel 1586 fu deciso finalmente di risolvere il problema alla radice, demolendo quell’ormai maledetto coro del Rossellino. Bramante aveva così ottenuto la sua vittoria postuma su Giulio II.
E non era l’unico problema che Bramante aveva lasciato aperto: per lui la navata aveva rappresentato una questione da risolvere, ma non un impegno da affrontare. L’artista sapeva bene che né lui stesso né Giulio II sarebbero vissuti abbastanza a lungo per vederla costruita. Così poteva lasciare imperfetto il suo modello anche nella parte anteriore, senza stabilirne la lunghezza definitiva. Per elaborare il sistema, bastava la prima campata; al momento giusto, si sarebbe potuto ripeterla a piacere. E ancora più libero Bramante si sentì di fronte alla questione della facciata. A giudicare dai disegni, non se ne occupò affatto; pare che, nel momento della fondazione, non avesse ancora preso una decisione.
Di conseguenza, da Raffaello in poi, gli architetti papali si sarebbero scannati con sommo impegno sul decidere la lunghezza della navata e sul proporre una facciata dignitosa, che non avesse ostacolato la vista della cupola e che fosse facilmente costruibile… Ma questi sarebbero stati problemi di una progettazione a lungo termine.
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