Assai poco nota, alla maggior parte dei romani, è la chiesa di San Sisto Vecchio, a Piazza Numa Pompilio: eppure, la sua origine è antichissima, dato che la prima citazione che appare nel Liber Pontificalis risale ai tempi di papa Anastasio I, grande amico di San Girolamo e Sant’Agostino, tra il 399 e il 400 d.C.
Nella sua biografia, appare questa frase
fecit autem et basilicam, quae dicitur “Crescentiana” in regione II, via Mamurtini, in urbe Roma
dove la via Mamurtini, l’attuale via Druso, è l’erede del Vicus Mamertinus dell’antica Urbe, dove si apriva il Balneum Mamertini, terme private di proprietà di Marco Petronio Mamertino prefetto del pretorio dal 139 al 143 d.C., mentre il riferimento a Crescenziana è forse legato alla matrona che ne finanziò la costruzione.
La denominazione di titulus Crescentianae compare ancora nel 499 mentre a partire dal 595 assunse il nome San Sisto, in onore del Papa martirizzato dall’impero Valeriano assieme al diacono San Lorenzo. Il contemporaneo San Cipriano cosi racconta la morte di Sisto in una sua lettera
Vi comunico che Sisto ha subito il martirio con quattro diaconi il 6 agosto, mentre si trovava nella zona del cimitero. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali cristiani, debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell’erario imperiale
I resti di Sisto furono traslati nella cripta papale del vicino cimitero di San Callisto. Dietro la sua tomba, in un reliquiario, fu posta la sedia macchiata di sangue sulla quale era stato decapitato; fu Gregorio I, dato il degrado della catacomba, a trasferire le reliquie nella Basilica Crescenziana.
La basilica paleocristiana (sec. IV) era a tre navate divise da arcate poggianti su ventiquattro colonne, di cui sei (di granito bigio con capitelli a foglie d’acqua e pulvini) sono ancora in situ; altre colonne e capitelli sono state riadoperate nel monastero; la chiesa primitiva aveva il pavimento in opus sectile a m. 3,45 sotto l’attuale e misurava m. 47,40 x 17,80. La navata centrale, alta m. 13,25, era illuminata da dodici finestre per parte. L’antica abside, priva di calotta, era coperta a tetto e vi erano praticate tre finestre. La facciata, preceduta da un quadriportico, era costituita da una trifora sormontata da tre finestre ma fu modificata al tempo di Adriano I (772‐795)
La chiesa ebbe importanti donazioni al tempo di Leone III (802‐806) e Gregorio IV (827‐844), ma da quel momento in poi, a causa del progressivo abbandono dell’area, che era all’estrema periferia della Roma dell’Alto Medioevo, cominciò la sua decadenza.
Fu Innocenzo III a intervenire con decisione, per recuperare l’antica chiesa: per prima cosa, avviò una serie di lavori di restauro. L’edificio paleocristiano, parzialmente interrata, fu ricostruito a livello più alto (oltre due metri) ad unica navata e i proporzioni più piccole; dell’antico edificio si conservò soltanto l’abside (che fu decorata con importanti affreschi ancor oggi visibili) e si eresse ex novo il campanile.
Poi, per evitare che il complesso fosse di nuovo abbandonato, vi associò un monastero, che doveva essere universale coenobium sottoposto a rigida clausura di tutte le comunità religiose femminili di Roma. A partire dal sec. XIII, la storia di San Sisto si intreccia con quella del vicino monastero di Santa Maria in Tempulo, di cui parlerò in maniera più approfondita la prossima settimana.
Onorio III nel 1219 tolse la chiesa all’Ordine dei Canonici Regolari di Sempringham e la affidò a San Domenico di Guzman e all’Ordine da lui fondato, i Domenicani, i quali vi rimasero però soltanto due anni, dopodiché si trasferirono nella chiesa di Santa Sabina.
Per non lasciare deserto il monastero, San Domenico decise di usarlo come sede del suo ordine religioso di clausura: il problema però, era la mancanza di monache. Per risolverlo, il santo spagnolo le prese quasi a forza dal vicino Monasterium Tempuli. Le suore tempoline così condussero con loro ingenti ricchezze,la famosa icona di San Maria in Tempulo, proveniente da Costantinopoli e gli usi liturgici greci seguiti dalla comunità fin dalle sue origini, come la recita per cento volte al giorno per tutto l’anno del Kirie elison e del Kristi eleison, tradizione che proseguì fino al 1793. A queste monache, poi si aggiunsero quelle provenienti da Santa Bibiana.
Il monastero, grazie ai miracoli di San Domenico, tra cui la risurrezione di un bambino e una sorta di moltiplicazione dei pani, divenne rapidamente famoso come luogo di culto. In particolare,le monache erano sottoposte ad una stretta clausura, non avevano contatti con il mondo esterno e la loro esistenza era assicurata da quanti vivevano “alle porte del monastero” al loro servizio e da un grande patrimonio, ed era proprio l’entità del patrimonio che condizionava l’accettazione delle fedeli che volevano vivere in clausura. Queste monache non facevano il voto di povertà e quando venivano accettate nella comunità il loro patrimonio o l’eredità andava a confluire nel patrimonio del monastero.
Di conseguenza, da una parte il monastero divenne ricchissimo, dall’altra le sue oblate appartenevano alle famiglie più facoltose dell’aristocrazia romana.Il complesso, nonostante fosse stato restaurato sotto Sisto IV (1471-84), nel 1575, a causa del carattere malsano del luogo, infestato dalla malaria, venne abbandonato anche dalle Suore Domenicane, le quali si trasferirono nella nuova chiesa dei Santi Domenico e Sisto, nel rione Monti: da questo momento in poi San Sisto venne denominata Vecchio per distinguerla dalla chiesa dei Sant Domenico e Sisto, a sua volta detta Sisto Nuovo. Tra il 1725 ed il 1727 il complesso, oramai caduto in rovina, venne ristrutturato per volontà di papa Benedetto XIII dall’architetto Filippo Raguzzini, il famoso architetto rococò, il quale edificò l’attuale facciata ed un nuovo chiostro, in sostituzione di quello medioevale.
Nel 1873 il monastero venne confiscato dallo Stato Italiano ed adibito a deposito di materiale ed a rimessa di carri funebri. Nel 1893 fu una terziaria domenicana, Suor Maria Antonia Lalia, ad ottenere nuovamente i locali della chiesa, ai quali non soltanto riuscì a ridare lustro e decoro ma, grazie alla nuova Congregazione di Suore Domenicane che qui fondò, trasformò nella sede di una scuola privata.
La facciata della chiesa è sovrastata dall’ elegante campanile romanico, uno tra i più interessanti di Roma, tornato nel 1938 al suo antico splendore. Non è molto alto (circa 13 m.) è a tre piani sui quali si aprono armoniose trifore sorrette da colonnine di marmo bianco con capitelli del tipo detto mensoliforme. Alla base del campanile è possibile vedere ancor oggi una meridiana. Possiede una sola campana di modeste proporzioni della fonderia Lucenti risalente al 1817.
Al centro vi è un bel portale, sormontato da un timpano triangolare, agli angoli del quale sono posti due draghi, simboli araldici di Filippo Boncompagni, restauratore della chiesa nel XVI secolo. Il portale, risalente proprio a questo restauro, sostituì l’antico portale quattrocentesco del cardinale Pietro Ferrici, reimpiegato come porta laterale della chiesa, in via delle Terme di Caracalla, sul quale è ben visibile lo stemma del porporato e la seguente iscrizione:
“PETRI T T S SIXTI CARD TIRASONENSIS MCCCCLXXVIII”
ossia
“(Opera) di Pietro del Titolo di S.Sisto cardinale di Tarazona (in Spagna e sede episcopale del cardinale prima della sua nomina cardinalizia) 1478”.
L’interno, anticamente a tre navate, oggi è a navata unica, illuminata da 12 finestre per ognuno dei lati e tutta decorata a stucchi. Un importante ciclo di affreschi è stato individuato nella stretta intercapedine tra l’abside dell’epoca di Innocenzo III e quella creata nel corso degli interventi quattrocenteschi.
Gli affreschi sono divisi in due parti dall’inserimento dell’abside posteriore. Nella parte sinistra dell’abside sono malamente visibili una serie di Santi e un pannello con angeli oranti; segue una Pentecoste e una duplice scena relativa alla Vita di santa Caterina da Siena con accanto un santo martire e due santi giovani. Nella parte destra sono una mezza figura di santo, una Presentazione della Vergine al Tempio, rappresentazioni di quattro santi. Le scene della Vita di santa Caterina e queste ultime rappresentazioni di Santi sono da ascrivere ad un maestro che ha operato tra la fine del sec. XIV e l’inizio del successivo, mentre tutti gli altri affreschi risalgono alla prima metà del sec. XIV: in particolare gli angeli oranti sono stati datati ai primi anni del secolo, mentre agli anni intorno al 1320 dovrebbero risalire i santi e i due pannelli della Presentazione al tempio e della Pentecoste che si collocano nell’ambito della bottega di Pietro Cavallini
Notevole il chiostro, a pianta quadrata, con lati di sei arcate a tutto sesto rette da pilastri.La stessa divisione si ripete anche nel secondo ordine dove le arcate, tamponate, sono occupate da finestre moderne. Le pareti delle gallerie hanno le lunette decorate con “Storie della vita di S.Domenico”, realizzate da Andrea Casale nel Settecento. Il cortile interno è tenuto a giardino e nel centro vi è posto un caratteristico pozzo. Dal chiostro si passa alla alla Sala Capitolare con portale e due finestre a bifora e al Refettorio, un’immensa sala con la volta a botte che misura m. 33,60 di lunghezza nella prima parte e m. 9 nella seconda, che ha la volta a crociera, e m. 8 di lunghezza.
L’area dove un tempo era situato l’orto delle suore Domenicane oggi è occupata dal Semenzaio Comunale, un’istituzione che provvede al rifornimento di alberi, piante e fiori per le “aree verdi” della città. In quest’area, inoltre, si possono osservare due torrette medioevali, prive di merlatura e con ingresso sopraelevato: si tratta delle fortificazioni costruite sulle due mole (a difesa, quindi, delle attrezzature e delle granaglie conservatevi all’interno), qui poste per utilizzare la forza motrice di un fiumicello, oggi scomparso, che qui transitava, ossia l’acqua Mariana.
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