Bramante, Peruzzi e il Duomo di Carpi

Carpi

Come accennato la settimana scorsa, abbiamo un’indicazione di massima sulle idee che Bramante aveva elaborato per soddisfare le manie di grandezza di Leone X, grazie al Duomo di Carpi, progettato da Peruzzi nel convulso periodo tra l’inverno del 1514 e la primavera del 1515, ossia tra la morte di Giulio II e quella di Donato. Duomo che, nonostante le alterne vicende di cui stato soggetto, mantiene ancora all’interno l’impostazione spaziale concepita dall’architetto senese.

Peruzzi, ispirato dal dibattito che si era sviluppato tra Bramante, Giuliano da Sangallo e Fra Giocondo, concepì un edificio che a prima vista potrebbe apparire come una una basilica a tre navate con croce latina inscritta e crociera voltata a cupola, ma che, a uno sguardo più attento, risulta essere scomposto in due sezione distinte, ma tra loro correlate: il presbiterio, concepito come uno spazio centralizzato con una cupola principale e quattro ambienti minori sulle diagonali, il famigerato quincunx, e la zona basilicale, con tre navate divise da binati di pilastri e con due file esterne di cappelle laterali. Ossia, una versione ridotta del famigerato quarto progetto bramantesco, dato che l’architetto senese, a differenza di Donato, aveva stringenti vincoli di costi e di tempi realizzativi e non poteva lasciare ai posti eventuali patate bollenti.

Tuttavia, nell’osservare l’edificio del Peruzzi, possiamo intuire come Bramante avesse intenzione, nella sua San Pietro, di far dialogare questi due elementi distinti, dando così all’osservatore l’illusione di rapportarsi con uno spazio unico.

Il presbiterio, a prima vista, apparirebbe come un’entità autonoma e autoreferente, grazie al vano quadrato su cui si imposta la cupola, che pur essendo all’incrocio tra la navata ed il transetto, ha il lato maggiore della loro identica larghezza; tuttavia, grazie allo smusso dei quattro piloni che reggono il tamburo, questo si espande in tutto lo spazio, diventando il centro irradiante della basilica.

I due bracci laterali del transetto e la cappella maggiore, inoltre, terminano con tre absidi, a sottolineare la presenza di un impianto centralizzato, ma il braccio della cappella maggiore è più lungo di una campata, sia per poter assorbire la larghezza del vano adiacente dei due ottagoni delle sagrestie, imitando quanto proposto da Giuliano di Sangallo per San Pietro, sia come retaggio dell’annosa vicenda della Cappella Julia.

L’interconnessione tra i due spazi è poi affidata all’ordine architettonico e al sistema delle coperture. Da una parte, infatti, un unico ordine di lesene avvolge, proporziona e unifica visivamente tutte le pareti interne del Duomo. Dall’altra, il sistema di copertura intende sottolineare come gli spazi fluiscano con coerenza l’uno nell’altro, in un sistema però fortemente gerarchizzato.

Lo spazio delle volte a botte della navata centrale e del transetto si espande improvvisamente nel loro punto di intersezione, generando il tamburo e la cupola: al contrario, sui due lati della navata centrale, la grande volta, ispirandosi alle riflessioni di fra Giocondo, in una sorta di modello frattale, genera un sistema di archi, volte a vela e controvolte a botte, che si conclude nelle cappelle laterali, agendo “in diminuendo” dal centro della navata maggiore alla periferia.

Rispetto al quarto progetto di Bramante, però Peruzzi introduce significative varianti, ispirate dalle precedenti proposte di Donato, quelle rifiutate da Giulio II, a cominciare dal sistema di sostegno della cupola, basato su su sostegni disposti radialmente, come nel secondo e terzo progetto, dove viene sperimentato (e verificato in pianta e con piccoli studi prospettici) sotto forma di colonne libere, disposte di volta in volta a tholos o semplicemente addossate ai pilastri angolari.

Questa soluzione, naturalmente, mantiene il suo significato anche variando la forma del sostegno, tanto da venire ripresa sotto forma di semicolonna nel progetto di Giulio Romano per San Giovanni dei Fiorentini e in quello elaborato nel 1520 circa da Antonio da Sangallo il Giovane per la chiesa di San Marco a Firenze.

La corona di colonne a sostegno del tamburo, che a Bramante serviva per rendere la crociera predominante rispetto alle navate e a isolare la Cappella Julia, nelle mani di Peruzzi, aiuta ad accentuare la gerarchia spaziale dell’edificio, imitando una soluzione sperimentata più volte da Brunelleschi nel Quattrocento. Soluzione meditata più volte da Peruzzi, come nel progetto ideale per una cupola ellittica per il Duomo di Siena

Nel progetto per Carpi, però, l’adozione di lesene giganti a sostegno della cupola non è comprensibile se non alla luce della particolare conformazione dei pilastri angolari cui sono addossate. La curvatura convessa dei pilastri riprende, sovvertendolo, il tema dei pilastri smussati adottati da Bramante per la cupola di San Pietro.

Si tratta di una soluzione spaziale al problema del vano cupolato che viene immediatamente ripresa da Raffaello in Sant’Eligio agli Orefici e da Antonio da Sangallo il Giovane nel progetto per Sant’Egidio in Cellere. Peruzzi, in questo caso, riflette su due esempi antichi di organismi a spazi convessi, ossia Oratorio della Croce in Laterano e la sala maggiore della Piazza d’Oro in Villa Adriana.

A Carpi, Peruzzi sperimenta come tutti questi elementi, utilizzati come parte di un’unica strategia progettuale, possano concorrere alla creazione di uno spazio assolutamente inedito nell’architettura del Rinascimento. Infatti, l’ordine gigante di supporto alla cupola la isola, esaltandola, rispetto al resto dello spazio della chiesa; questo stesso spazio, compresso dai pilastri convessi, appare come introiettato verso il centro della cupola, creando una tensione dinamica tra due spinte contrapposte.

In entrambi i modelli antichi utilizzati da Peruzzi per i pilastri convessi, inoltre, lo spazio mistilineo centrale genera spazi ausiliari disposti sulle diagonali: esagonali nel caso dell’Oratorio, circolari nel caso di Villa Adriana. L’uso da parte di Bramante di spazi centrici accessori (cappelle, sagrestie, campanili) situati concentricamente sulle diagonali del quincunx era già stata sperimentata nel Santuario di Loreto (dove dagli anni Sessanta del Quattrocento lavorano, tra gli altri, Giuliano da Maiano e Giuliano da Sangallo) e nel Duomo di Pavia (anni Novanta del Quattrocento).

Il tema degli ambienti secondari disposti radialmente è di origine antica, affrontato ad esempio nelle Terme di Diocleziano, era stato indagato da Francesco di Giorgio e successivamente dallo stesso Leonardo, ed aveva trovato la più approfondita sperimentazione nei progetti bramanteschi per San Pietro. Nel passaggio però da uno schema prevalentemente centralizzato ad uno misto, Bramante semplicemente
elimina due dei quattro ambienti periferici.

Il tema diventa di scottante attualità proprio nel 1515,quando, con la morte di Bramante, il dibattito sulla prosecuzione del cantiere vede Giuliano da Sangallo opporre alla soluzione adottata da Raffaello, dove i due ambienti sono spostati verso gli spigoli dell’edificio, due varianti del quarto progetto, in cui le due sagrestie centriche sono risolte come ambienti parzialmente estradossati rispetto al corpo dell’edificio.

Nel progetto per Carpi, Peruzzi risolve il problema in modo interlocutorio: la sopravvivenza e la posizione delle due sagrestie è il risultato di un adattamento di un impianto centrico ad uno basilicale; eliminando due dei quattro ambienti virtualmente irradianti dal centro della crociera, i due superstiti impongono l’allungamento di una campata del braccio del coro cui sono addossati, una soluzione che a San Pietro, nell’ipotesi del mantenimento del vecchio coro di Rossellino non avrebbe potuto essere adottata. Gli ambienti delle sagrestie di Carpi, d’altronde, mantengono una loro autonomia spaziale, sottolineata dalla loro facies antichizzante, con il richiamo a spazi centralizzati a doppio livello come, per esempio, il Mausoleo di Sant’Elena sulla via Labicana.

Se il quarto progetto Bramante rimane il modello di base per il Duomo di Carpi, le varianti sono significativamente basate proprio sul riuso dell’antico. La riduzione delle cappelle laterali a semplici nicchie rettangolari e la mancata adozione dei deambulatori nelle absidi riconduce tutto il fianco laterale della chiesa ad una planimetria molto vicina a quella della basilica di Massenzio

Tale soluzione, che combina la coerenza complessiva dell’impianto con una monumentale semplicità e un esplicito richiamo al modello antico; per questo, avrà una grande influenza sull’architettura successiva, particolarmente negli impianti chiesastici raffigurati da Serlio nel Terzo Libro e nell’opera di Andrea Palladio che, con la chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia ne farà un modello tipologico per l’architettura ecclesiastica della Controriforma.

Anche la soluzione adottata per la facciata, ricostruibile in modo attendibile grazie alla veduta di Nasi e alla testimonianza pittorica di Ludovico Carracci risente del dibattito su San Pietro. Il tema del doppio campanile, che fin dal “piano di pergamena” evidenzia la sua derivazione dal modello tardo antico di San Lorenzo Maggiore a Milano, rimarrà una costante dei progetti bramanteschi per San Pietro come un sistema di inquadramento visivo della cupola a grande distanza.

Nel disegno U5A, associato da Frommel ad una idea bramantesca risalente al 1506, i campanili delimitano un portico di accesso alla chiesa secondo un sistema che era già stato proposto per il santuario di Loreto, per la piazza di Vigevano e per quella fiorentina della Santissima Annunziata. Il richiamo è quello del foro all’antica, ma la sistemazione medievale di piazza San Marco a Venezia e il quadriportico con la facciata tra due campanili di Sant’Ambrogio a Milano erano due esempi più recenti e ben visibili.

L’adozione, da parte di Peruzzi, di un portico potrebbe anche essere un’implicita critica alla soluzione del pronao in facciata, che Raffaello adotta per San Pietro nel 1515 e Serlio raffigura nel 1540; la sua preferenza a questo sistema di accesso alla chiesa sarebbe anche testimoniata nei progetti per San Pietro nel 1531-34, quando l’architetto senese sarà chiamato a dirigerne il cantiere.

2 pensieri su “Bramante, Peruzzi e il Duomo di Carpi

    • Sul metodo progettuale nei disegni di Bramante, Raffaello e Antonio da Sangallo il Giovane per San Pietro
      Frommel, Christoph Luitpold. (2018) – In: Annali di architettura vol. 30 (2018) p. 123-136

      San Pietro: storia, genesi, ricostruzione.
      Frommel, Christoph Luitpold. (2015) – In: La basilica di San Pietro (2015) p. 43-89

      Il Duomo di Carpi:
      uso dei modelli e sperimentazione progettuale
      Guidarelli

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