San Pietro alla morte di Raffaello

La Fabbrica di San Pietro

Trovato l’accordo tra Raffaello e Antonio da Sangallo, fu però necessario convincere Leone X della scelta di abbandonare le paraste giganti di Bramante, a favore della nuova articolazione dello spazio basato sulle colonne alte nove piedi romani. Per cui, i due artisti dovettero completare il progetto con il disegno della nuova facciata e degli altri fronti esterni, anche per giustificare l’aumento dei costi di costruzione, rispetto all’ipotesi di utilizzare colonne ben più piccole.

Essendo Raffaello, sempre frustrato nel suo sogno di imitare Bramante, abbandonare la pittura per dedicarsi completamente all’architettura, impelagato nel dipingere uno sproposito di dipinti e coordinare la sua spropositata bottega nella decorazione delle Logge Vaticane, la progettazione di dettaglio fu affidata per di più ad Antonio da Sangallo; per nostra fortuna, riusciamo a ricostruire gran parte del suo processo creativo, con i suoi numerosi schizzi dedicati alle porte e alla facciata e i modelli relativi alle basi delle colonne e ai loro piedistalli, disegnati per fornire un’indicazione precisa agli scalpellini romani, alcuni appartenenti alla mia famiglia, che pur non essendo indisciplinati come quelli lombardi, avevano l’abitudine di interpretare a modo loro le indicazioni degli architetti.

Purtroppo, nel concreto si è conservato ben poco di tutto di questa fase, nell’attuale San Pietro: il piedistallo andò distrutto nella elevazione del pavimento avvenuta dopo il 1540. Si è conservato soltanto l’unica base corinzia messa in opera sotto la direzione di Raffaello in una posizione leggermente più alta di quella originale.

Nella primavera 1519 la progettazione dei deambulatori, idea che era stata proposta in origine da fra Giocondo era conclusa; lo si deduce dal fatto che il sistema adottato nella loro articolazione esterna ritorna in due progetti coevi: in quello del cortile circolare di villa Madama, altro progetto comune tra Raffaello e Sangallo, e in uno dei progetti di quest’ultimo per San Giovanni dei Fiorentini.

Chiesa quest’ultima, che avuta una costruzione tanto complicata quanto quella di San Pietro: dopo l’apertura di via Giulia, Bramante, impegnato nei lavori del nuovo Palazzo dei Tribunali, ne presentò primo progetto a pianta centrale, allo scopo forse di utilizzare San Giovanni dei Fiorentini come una sorta di ambiente di test, su cui provare le soluzioni da applicare nel più grande e prestigioso cantiere del Vaticano.

Dal primo progetto irrealizzato si arrivò ad un concorso, voluto da Leone X, per l’effettiva realizzazione con il coinvolgimento dei più grandi artisti dell’epoca: Jacopo Sansovino, Raffaello Sanzio, Antonio da Sangallo e Baldassarre Peruzzi. Il vincitore, Jacopo Sansovino, principiò così la costruzione nel 1519 su base centrale, incontrando subito i primi problemi, in quanto la chiesa si era immaginata, essendo dedicata al Battista, con la zona absidale edificata nel letto del fiume Tevere.

Proprio i problemi delle forti sostruzioni da edificare nelle sabbie del fiume e il sospetto che i fondi destinati ai lavori finissero invece nelle tasche dell’architetto, provocarono l’allontanamento del Sansovino e la commissione dell’opera ad Antonio da Sangallo il Giovane, che per la sua esperienza come architetto militare, le fondazioni le sapeva dimensionare e costruire

Neanche lui riuscì però a dare seguito al proprio progetto, peraltro basato sulla integrazione tra pianta centrica e longitudinale, sempre nell’ottica di sfruttare l’esperienza per il cantiere del Vaticano. In questo periodo risalgono cinque splendidi disegni di Michelangelo Buonarroti, che immaginò una chiesa a pianta centrale cui affidò la realizzazione al suo allievo Tiberio Calcagni, che ne trarrà anche un modello ligneo, più volte rappresentato.

L’effettiva edificazione della chiesa avvenne con il coinvolgimento di Giacomo Della Porta che impostò una chiesa a pianta basilicale con tre navate su pilastri arcuati e cinque cappelle per lato e con tre catini absidati al sommocroce e cupola, chiesa che è, a parte questi ultimi particolari, l’edificio oggi visibile. Il completamento di questo avverrà solo con Carlo Maderno, il quale ridurrà il progetto di Giacomo Della Porta, concludendo abside e transetti con tre pareti piane con finestroni ed edificando nel 1634 la slanciata cupola in laterizi e stucco.

Tornando alla nostra San Pietro, decisa la planimetria dei bracci del transetto, Sangallo e Raffaello dovettero affrontare l’annosa questione, frutto dei dissidi tra Giulio II e Bramante, del braccio del coro. I due artisti, sulla questione, avevano due punti di vista differenti: Raffaello propendeva per l’integrarlo nella nuova costruzione, mentre Sangallo voleva buttarlo giù e sostituirlo con un braccio analogo a quelli del transetto. Alla fine, per non essere malmenati entrambi da Leone X, tentarono di omologarlo ai bracci della crociera, con l’abside viene aperta mediante colonne e il deambulatorio articolato dalle solite colonne a 9 piedi. Vedendo i disegni dell’epoca, il tutto sembrerebbe più un tentativo di mettere una pezza a una situazione irrisolvibile, che una soluzione efficace.

Una volta chiarito il sistema dei deambulatori, della loro articolazione esterna e anche delle nicchie di 40 piedi, si passò infine alla messa a punto dei dettagli delle parti progettate in ultimo; questa fase progettuale è documentata da pochi schizzi del Sangallo, il quale definì il sistema di volta a botte cassettonata, previsto per tutti i passaggi tra la navata centrale, e quindi anche tra i bracci del coro, e le navate laterali, compresi gli spazi sormontati dalle cupole minori. Nel frattempo, fu cominciata la costruzione della volta del passaggio tra il braccio sud della crociera e la cappella sud-ovest a sinistra del coro.

Elaborati e definiti questi dettagli, furono assegnate le commesse dei lavori per le pietre del rivestimento interno dei deambulatori: dato che nel febbraio 1521 Giuliano Leno, amministratore e organizzatore della Fabbrica di San Pietro, già aveva speso “per le mura della cappella del re di Francia et conci et pilastri et capitelli…due. 14.000” e per la “chiavica tutt’intorno” 2.000 ducati, i miei antenati dovrebbero avere cominciato a sbozzare il travertino nel gennaio 1520.

E sappiamo anche grazie anche quale fortunoso evento fu possibile il loro pagamento: nell’ottobre 1519, il patrizio veneziano Marcantonio Michiel riporta la notizia del ritrovamento di un tesoro, venuto alla luce durante gli scavi per la fondazione di un pilastro dell’abside della cappella del re di Francia. Ai mesi successivi al maggio 1519 risale poi una serie di decreti emanati per sovvenzionare la Fabbrica di San Pietro.

Abbiamo un’idea abbastanza precisa delle condizioni del cantiere grazie al pittore fiammingo Maarten van Heemskerck, che partì nel 1532 per l’Italia, dove soggiorno per quattro anni. . Preziosi oggi sono i suoi lavori nella città eterna: il suo grande talento nel disegno e nei particolari ci permettono oggi di sapere nei dettagli lo stato di manutenzione di quegli anni di molti ruderi dell’epoca romana e la conoscenza di quelli che oramai non esistono più. La sua opera grafica è importante inoltre per documentare le fasi di sviluppo dei grandi cantieri romani del XVI secolo come quello della Basilica di San Pietro i cui i lavori, in quegli anni successivi al Sacco di Roma, erano fermi, facendo somigliare quanto già costruito ad una rovina invasa dalle erbacce.

In questo contesto, come un fulmine a ciel sereno, arrivò la notizia della morte di Raffaello a soli 37 anni, il 6 aprile 1520, il giorno di Venerdì Santo. Secondo Vasari la morte sopraggiunse dopo quindici giorni di malattia, iniziatasi con una febbre “continua e acuta”, causata da “eccessi amorosi”, e inutilmente curata con ripetuti salassi.

Uno dei testimoni del cordoglio suscitato dalla morte dell’artista è sempre Marcantonio Michiel, che in alcune lettere descrisse il rammarico “d’ogn’uno et del papa” e il dolore dei letterati per il mancato compimento della “descrittione et pittura di Roma antiqua che’l faceva, che era cosa bellissima”. Inoltre non mancò di sottolineare i segni straordinari che si avverarono come alla morte di Cristo: una crepa scosse il palazzo vaticano, forse per effetto di un piccolo terremoto, e i cieli si erano agitati. Scrisse Pandolfo Pico della Mirandola a Isabella d’Este che il papa, per paura, “dalle sue stantie è andato a stare in quelle che feze fare papa Innocentio”.

Nella camera ove egli morì era stata appesa, alcuni giorni prima della morte, la Trasfigurazione e la visione di quel capolavoro generò ancora più sconforto per la sua perdita. Scrisse Vasari a tal proposito:

La quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ognuno che quivi guardava”

La sua scomparsa fu salutata dal commosso cordoglio dell’intera corte pontificia. Il suo corpo fu sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto

Forse Antonio Tebaldeo, un poeta amico di Raffaello, o più probabilmente il grande umanista Pietro Bembo compose per lui l’epitaffio inciso sulla sua tomba

Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori

ossia

Qui giace Raffaello da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire

Per i casi della vita, si persero rapidamente le tracce della sua tomba. Le uniche notizie certe le aveva tramandate il solito Vasari che indicava sotto l’edicola della Madonna del Sasso, scolpita dall’allievo di Raffaello, Lorenzetto, il luogo dove era stato seppellito. Tuttavia, questa testimonianza non era considerata affidabile, tanto che il commissario delle antichità Carlo Fea, affermava che i resti dell’artista si trovavano in santa Maria sopra Minerva nella cappella degli Urbinati.

La disputa si avviò a una soluzione quando nel settembre del 1833, il Reggente dell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon, un sodalizio artistico – religioso ancora operante , ottenne il permesso dalle autorità ecclesiastiche di ricercare il sepolcro del Sanzio. Insieme all’ Accademia di San Luca e all’ Accademia dell’Archeologia, seguendo le indicazioni del Vasari, si cominciò a scavare sotto la Madonna del Sasso. Ci vollero cinque giorni, per arrivare a riportare alla luce una cassa di legno di abete in parte marcita a causa delle frequenti inondazioni della zona; al suo interno fu ritrovato, tra la commozione generale e l’esultanza dei Virtuosi lo scheletro intatto di Raffaello.

Coro di Bramante e tegurium

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