Lungo il Clivus Scauri sorge uno dei luoghi più affascinanti nell’Antica Roma, le case romane del Celio. La loro storia rispecchia tutta la complessa evoluzione di quell’area urbana: comincia infatti nel 111 d.C. quando, affacciata su un vicolo parallelo all’antica strada romana, fu eretto una sorta di condominio borghese, un ibrido tra una domus e insula, a due piani. L’edificio era caratterizza un portico, da taberne e da un impianto termale privato al livello stradale, mentre le abitazioni era poste al piano superiore.
All’inizio del III secolo, proprio dall’altra parte del vicolo, fu costruita un’insula a pianta trapezoidale, composta da ambienti commerciali al piano terra e appartamenti d’affitto ai piani superiori, le cui dimensioni massime erano di 18 metri quadrati. Le case migliori erano nei piani bassi, con più aria e dotati di facile accesso all’acqua, mentre i piani alti, costruiti in legno, non erano raggiunti da condutture ed erano a rischio incendio. Non stupiamoci troppo delle dimensioni minime, perché nell’antica Roma le attività quotidiane erano svolte soprattutto all’esterno: le case erano utilizzate soprattutto per dormire e preparare i pasti. Anche in questo caso, nel piano terra vi erano almeno tre botteghe, il cui ingresso avveniva attraverso un portico aperto sul Clivus Scauri. Ciascuna bottega era dotata di un soppalco ligneo e di un vano retrobottega. Sul lato interno di questa sala è ancora visibile una delle ampie aperture rettangolari di ingresso alle botteghe, successivamente chiuse per consentire la costruzione della sovrastante basilica. Al di sopra dell’ampia apertura si conserva la finestra che illuminava il loro soppalco.
Tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C., quando questa porzione del Celio, per iniziativa degli Anici, fu oggetto di un processo che oggi chiameremo di gentrificazione e di riqualificazione, un senatore romano rilevò l’intero isolato, trasformando i due edifici in un’unica abitazione signorile attraverso il collegamento degli ambienti commerciali dell’insula con i retrostanti vani pertinenti al primo piano della domus. Il nuovo progetto abitativo prevedeva probabilmente l’utilizzo dei piani superiori a caseggiato d’affitto e la trasformazione del piano terra nella nuova domus signorile, destinata ad una sola famiglia, secondo un processo edilizio ben testimoniato anche ad Ostia Antica.
Per adattare l’edificio alla nuova funzione furono apportate ulteriori modifiche all’insula, come il taglio della facciata a metà dell’ altezza al secondo piano e la chiusura delle finestre e delle sei arcate a pian terreno. Inoltre, il cortile del condominio fu trasformato in un ninfeo monumentale. Infine il complesso fu decorato con un complesso ciclo di affreschi.
Che ad un certo punto il proprietario della domus si sia convertito al cristianesimo, trasformando il primo piano in un titulus, tra l’altro non documentato dalle fonti, è un’ipotesi assai controversa, legata a un’interpretazione particolare proprio di questa decorazione. Secondo la tradizione, nel IV secolo la domus divenne l’abitazione dei fratelli martiri Giovanni e Paolo, ai quali la basilica superiore è dedicata. Se quanto racconta la loro Passio è vero, possiamo arguire che il proprietario della domus fosse un fervente partigiano di Massenzio, dato che fu sequestrata e incamerata nel demanio imperiale.
Tornando a Giovanni e Paolo, i due erano diaconi della chiesa romana e dignitari della corte del Sessoriano, uno maggiordomo e l’altro primicerio di Costantina, figlia dell’imperatore Costantino, meglio nota come Costanza: sì proprio quella del Mausoleo sulla Nomentana. Costantina, benché sia venerata come una santa, forse non era proprio il datore di lavoro ideale, dato che Ammiano Marcellino così la descrive, a ragione, come
Una sorta di mortale Megera, seduttrice assidua di uomini violenti, desiderosa di sangue umano, per nulla più mite del marito
In ogni caso, Giovanni e Paolo riuscirono a farsi benvolere da Costantina, tanto che lasciò loro in eredità la domus sul Celio: il problema è Giuliano l’Apostata, cognato di Costantina, vi aveva messo gli occhi sopra. Per cui, prima tentò di convincere Giovanni e Paolo a cedergliela con le buone. Poi, tentò di impugnare il testamento, perdendo la cuasa.
Infine, con la scusa che non volevano abiurare e tornare al paganesimo, li fece uccidere per decapitazione in segreto, perché non fossero venerati come martiri. Era il 26 giugno del 362, e furono sepolti nel criptoportico della loro casa. Per non fare divulgare la notizia, furono uccisi anche il presbitero Crispo, il chierico Crispiniano e la vergine Benedetta, che avevano scoperto la loro sepoltura. Anche loro furono sepolti nel sottoscala vicino ai due fratelli martiri.
Successivamente, nel IV secolo, il complesso divenne proprietà della famiglia del senatore Byzas che vi istituì un titulus cristiano (Titulus Byzanti), poi attribuito al figlio Pammachio (Titulus Pammachii).Nei secoli successivi, con la fondazione nel V secolo della basilica superiore, gli ambienti romani vennero in gran parte obliterati, in parte interrati e in parte utilizzati per le strutture di fondazione degli ambienti basilicali.
Il complesso fu il complesso fu scoperto nel 1887 da Padre Germano di San Stanislao, Rettore della basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Nuove indagini archeologiche furono condotte tra il 1913 ed il 1914 dal padre passionista Lamberto e nel 1951 gli interventi dell’architetto Adriano Prandi portarono alla riscoperta dell’intero complesso archeologico. Nel 2002 i nuovi interventi di recupero, realizzati dal Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Soprintendenza Archeologica di Roma, la Soprintendenza per il Polo Museale romano e l’Istituto Centrale del Restauro, hanno aperto il sito al pubblico con il nuovo percorso.
Oggi l’ingresso immette in quello che costituiva il portico di passaggio per accedere alle botteghe poste al piano terra dell’insula e che si affacciava direttamente sul Clivus Scauri. Proprio in uno degli ambienti del portico è tuttora conservato un oratorio medioevale conosciuto come Oratorio del Salvatore, decorato con affreschi a soggetto cristologico risalenti al IX secolo d.C. In particolare si possono osservare: la “Crocifissione di Cristo”, vestito di una tunica blu (colobium) tra le figure di Maria e SanGiovanni, secondo la tradizione iconografica siriaco-palestinese; la “Discesa al limbo”, il “Cristo nel Sepolcro” ed il “Sorteggio della veste”. In passato vi era anche una rappresentazione del Cristo vestito tra gli arcangeli Gabriele e Michele ed i santi Giovanni e Paolo, ma a metà del Novecento l’opera fu distaccata e collocata nell’Antiquarium, dove tuttora si trova. Lo stile pittorico orientale farebbere come l’oratorio fosse in qualche modo collegato al vicino monastero di Sant’Andrea, all’epoca gestito da monaci basiliani.
Tornati nella sala d’ingresso, uno stretto passaggio ad arco, aperto nel muro di fondazione della basilica, immette in una delle botteghe poste al piano terra dell’insula, che si affacciava direttamente sul portico ed era dotata anche di un magazzino.
La successiva Sala dei Geni originariamente era un vano con funzione di magazzino, poi trasformata, nella seconda metà del III secolo d.C., in un elegante ambiente di rappresentanza che si apriva sul cortile interno (poi trasformato in ninfeo): oggi il muro di fondazione della soprastante basilica ne ostruisce la vista. L’intera sala era rivestita, sul pavimento e per i primi due metri di altezza delle pareti, da una lussuosa decorazione in opus sectile marmoreo, asportata al momento dell’abbandono degli ambienti, come si può dedurre dalle impronte delle lastre marmoree ancora ben visibili nella porzione di pavimento originale dietro la protezione in vetro. Nell’angolo a destra del varco di accesso della sala si conservano le tracce dello zoccolo marmoreo parietale. La volta mostra una delicata decorazione di ispirazione naturalistica disposta su due registri: quello inferiore mostra figure di giovani nudi e alati (i geni) unite da ricche ghirlande cariche di frutti e di fiori della stagione estiva. Nel registro superiore si trova invece una scena di vendemmia autunnale nella quale compaiono i piccoli cupidi intenti nelle attività della vendemmia, elementi questi che suggeriscono per la sala una decorazione ispirata all’alternanza delle stagioni. Particolarmente ricca ed accurata è la rappresentazione delle varie tipologie di uccelli.
La sala successiva, che si raggiunge dopo aver superato sulla destra un ambiente di passaggio, è la Stanza dei Finti Marmi, così denominata per la presenza di una vivace decorazione risalente all’inizio del IV secolo d.C. che raffigura un rivestimento marmoreo in opus sectile. Nella parte superiore dell’affresco sono visibili tracce di una raffigurazione a soggetto naturalistico. Il foro di scarico fognario presente in un angolo appartiene alla fase di utilizzo della sala come bottega.
A seguire incontriamo la Sala del Bue Api e Salatrices, così denominata perché conserva sulla volta immagini pagane del dio Api e di due baccanti.Subito dopo incontriamo la cosiddetta Sala dell’Orante che prende il nome da uno dei soggetti qui raffigurati. La decorazione pittorica, risalente all’inizio del IV secolo d.C., conserva nella parte inferiore un alto zoccolo imitante un opus sectile a finto alabastro e da un fregio floreale sovrastante con racemi d’acanto che si sviluppano da cespi. La volta è suddivisa in spicchi nei quali si alternano coppie caprine ed ovine a figure maschili, interpretabili forse quali filosofi che reggono rotuli scritti.
Completamente integra è la famosa immagine di una figura femminile di orante, dalla quale è suggerito il nome moderno della sala, che indossa una tunica ornata da una fascia purpurea e volge le braccia verso il cielo, in un gesto di preghiera. Seguono una serie di riquadri con figurazioni di varia natura quali: la maschera del Sileno circondata da ramoscelli di olivo; una maschera teatrale femminile tra fiori policromi ed un’altra maschera di Sileno tra spighe di grano, un ramoscello di vite e mostri marini fantastici sospesi a mezz’aria.
Proprio la figura dell’orante ha scatenato una ridda di interpretazione: la prima la identifica come un’immagine della Pietas Romana: di conseguenza, questo ambiente è stato frequentato da una famiglia pagana. La seconda lo associa al ritratto di una diaconessa: il che ha fatto formulare l’ipotesi che il proprietario, a seguito della conversione della moglie, sia diventato cristiano e trasformato il piano superiore in una chiesa. La terza interpretazione, dato il carattere sincretico della decorazione, associa l’ambiente a un luogo di culto di una setta gnostica o eretica.
Tornando indietro e superando alcuni ambienti di servizio non decorati, si giunge alla Cella Vinaria, un ambiente ricavato da una stanza con eleganti decorazioni del II secolo d.C. trasformata in un vano di servizio il cui uso si protrasse nel tempo, forse fino al VII secolo, come indica la cronologia delle anfore qui ritrovate ed ora esposte nell’Antiquarium. L’utilizzo quale magazzino è testimoniato anche dalla presenza di vasche in cocciopesto, di un’anfora interrata nel piano pavimentale e di un pozzo.
Attraverso lo stretto passaggio e scesi i pochi gradini si percorre il vicus, un lungo e stretto vicolo lastricato con basoli irregolari che separava originariamente i due edifici originali. Il vicolo, inglobato nella ristrutturazione del complesso nella metà del III secolo d.C., divenne elemento interno di raccordo tra due zone di un’unica grande domus, allargandosi in parte in un cortile a cielo aperto: il ninfeo, visibile nei prossimi ambienti. Sulla destra è l’accesso alle sottostanti terme.
Percorrendo l’intero vicolo, sulla sinistra si giunge al sottoscala, luogo dove, secondo la tradizione, avrebbero subìto il martirio e sarebbero stati sepolti i martiri Giovanni e Paolo e dove fu realizzata, dopo la metà del IV secolo d.C., la confessio. In questa piccola cappella di culto i fedeli si soffermavano in preghiera in corrispondenza delle venerate sepolture e di fronte alle scene cristiane conservate nella nicchia, attualmente protetta dal cancello moderno. La decorazione, datata seconda metà del IV secolo d.C., è disposta su due registri. In alto a sinistra è raffigurata la scena dell’arresto di tre figure tra soldati romani, identificate probabilmente con i martiri cristiani Crispo, Crispiniano e Benedetta, per i quali una versione più tarda della passio ne ricorda qui anche la sepoltura. In alto a destra è raffigurata invece la scena del martirio per decapitazione dei tre personaggi. Al centro in basso si può notare un orante con ai piedi le figure adoranti del senatore Pammachio, al quale si deve la costruzione della basilica, e della moglie Paolina. La sovrastante apertura è stata variamente interpretata dagli studiosi quale “fenestella confessionis” o “vano destinato ad un tabernacolo per reliquie”.
Scendendo la scala si raggiunge la moderna passerella metallica che conduce al Ninfeo di Proserpina, che, come accennato in precedenza,era in origine un cortile interno a cielo aperto per separare gli edifici commerciali da quelli residenziali. Con i successivi interventi venne trasformato in un elegante ninfeo, grazie all’inserimento di nicchie con fontane ancora visibili alla base della parete affrescata. La struttura quadrata di colore rosso è identificabile come un pozzo.
Il grande affresco della seconda metà del III secolo d.C., che doveva ornare i tre lati del Ninfeo, rappresenta una scena mitologica inserita in un contesto marino del quale fanno parte i piccoli eroti, impegnati in attività di pesca e di navigazione. Al centro su una sorta di isolotto sono semi-sdraiate, all’uso dei banchetti, due figure femminili: una avvolta in un pallio (mantello) e l’altra seminuda con accanto un personaggio maschile, in piedi, nell’atto di versare da bere. Il pavimento del III secolo d.C. è formato da grosse tessere marmoree policrome.
Nell’ambiente attiguo si conserva un pavimento a piccole tessere di mosaico bianche e nere riferibili al II secolo d.C., decorato con tralci vegetali e colombe. La piccola stanza, tagliata dal muro di fondazione della basilica, faceva parte di un preesistente edificio del II secolo d.C. e fu inglobata nel progetto della domus tardo antica.
Dal centro della passerella metallica e volgendo le spalle alla struttura cilindrica costituita da un pozzo di scarico medioevale, è possibile ammirare gran parte della facciata interna della domus (nella , che si conserva in questo punto per due piani: al piano inferiore presenta due finestre che davano luce ad un piccolo ambiente termale (balneum). Sopra il balneum era situato un appartamento del quale si conservano ancora due stanze con le relative finestre. La parete trasversale costituiva il prospetto posteriore esterno della domus, ornato da una fontanella a tre nicchie. Nel III secolo d.C., nel momento della fusione delle due case, il piano inferiore fu interrato fino al livello del piano terra dell’insula, dando origine al cortile sul quale venne costruita una scala, di cui si conservano ancora pochi gradini, per salire ai piani superiori dell’abitazione. Sotto la pavimentazione del cortile è visibile un sistema di scarico delle acque con la caratteristica forma a cappuccina.
Alla fine del percorso si giunge all’Antiquarium, che occupa il basamento a croce greca della sovrastante cappella di S.Paolo della Croce. Il moderno allestimento museale curato dalla Soprintendenza Archeologica di Roma raccoglie i materiali romani e medioevali delle domus provenienti dagli scavi realizzati fra il 1887 ed 1936. All’interno si possono osservare iscrizioni di varia tipologia ed appartenenza, diversi tipi di anfore da trasporto, vari materiali di uso quotidiano come vasellame, piccoli rocchetti in bronzo, aghi crinali e da cucito in avorio, lucerne ad olio e resti del vecchio arredo liturgico della chiesa sovrastante.
Sezione molto interessante è quella dedicata ai bolli laterizi, ossia l’uso, a partire dall’età imperiale, di apporre bolli sui mattoni con la funzione di veri e propri marchi di fabbrica. Nei testi, spesso accompagnati da simboli di vario genere, venivano ricordati il proprietario dell’officina o il fabbricante stesso. Anche la forma del bollo è interessante perché ne attesta il periodo storico: i bolli rettangolari, su una sola riga, erano tra i più comuni dalla tarda Repubblica fino all’età di Nerone; il testo su due righe si riferisce invece ad epoca traianea. I bolli semicircolari erano in uso da Tiberio a Nerone, quelli a forma lunata in epoca flavia, i bolli circolari risalgono in parte al I secolo ma le maggiori attestazioni sono dei primi decenni del II secolo d.C. I bolli circolari con orbicolo sono i più diffusi tra Domiziano e Caracalla e quasi esclusivi fino agli inizi del III secolo d.C.: spesso il bollo è accompagnato da figure e simboli che si riferiscono ai personaggi menzionati nel testo. Nei frammenti qui esposti si possono osservare tegole o frammenti laterizi con bolli vari, da quelli circolari a quelli rettangolari fino a quelli circolari ad orbicolo, prodotti dalle officine Domitiana o Ieronymus, queste ultime appartenenti al patrimonio dell’imperatore Marco Aurelio.