
“Non era ancora notte, e, incassata fra le mura, la strada si dilungava bianchissima. Appena usciti dalla proprietà Salina si scorgeva a sinistra la villa semidiruta dei Falconieri, appartenente a Tancredi, suo nipote e pupillo…
Era stata una di quelle rovine totali, durante le quali si fa fondere financo l’argento delle livree….villa Falconieri, cui l’enorme bouganvillea che faceva straripare oltre il cancello le proprie cascate di seta episcopale conferiva nell’oscurità un aspetto abusivo di fasto“.
E’ uno dei tanti brani del Gattopardo, ispirato, come tanti altri a luoghi e personaggi reali: se Tancredi e Angelica sono la trasfigurazione del principe Corrado Valguarnera Tomasi della moglie, principessa Maria Favara Caminneci, la loro villa non è che il ritratto, ovviamente modificato per le esigenze narrative, della loro dimora, Villa Niscemi.
Questa nasce intorno al 1360, a seguito del progetto di rinnovamento delle difese territoriali voluto dagli aragonesi, come torre di guardia, per controllare eventuali assalti in direzione di Palermo provenienti dalla parte di Monte Pellegrino e di Mondello.
Con la modifica di tale sistema di difesa, decisa da Filippo II, che spostò la prima linea di forticazioni sulla costa e al contempo, portò alla costruzione dei bastioni palermitani, tal torre fu dismessa e ceduta alla famiglia La Grua e Talamanca, principi di Carini, che la trasformarono in una villa rustica, il cosiddetto “Baglio Della Balata”.
Nella seconda metà del Seicento, la tenuta agricola fu ceduta principi Valguarnera di Niscemi: sappiamo ad esempio come nel 1686 il vicerè duca di Uzeda regalò al Pretore della città, Giuseppe Valguarnera, il coperchio di un antico sarcofago scoperto in quell’anno nella contrada Cannita (e adesso conservato nel museo Salinas di Palermo).
Con la lottizzazione settecentesca della Piana dei Colli, i Valguarnera, per non perdere la faccia dinanzi agli altri nobili palermitani, decisero di trasformare progressivamente il baglio in una villa nobiliare: processo che raggiunse il culmine a inizio Ottocento, dove, per le vicende raccontate nel post della Palazzina Cinese, i principi di Niscemi si ritrovarono vicini di casa del re Borbone.
Non abbiamo notizie certe sulla disposizione iniziale dell’edificio agricolo, probabilmente doveva prevedere le costruzioni intorno al grande cortile quadrato. Su questo impianto vennero costruite le stanze allineate su due bracci disposti a L: il lato meridionale del baglio, che rappresenta la facciata principale, e quello occidentale che si concludeva a nord nella torre cinquecentesca abbassata e inglobata nei nuovi prospetti.
Dall’Ottocento in poi, viene quindi realizzato lo splendido giardino all’inglese, caratterizzato dal laghetto la cui forma ricorda quella della Sicilia, sappiamo infatti dalla relazione dell’
agronomo Cusmano del 1799 fossero presenti all’epoca solo il carrubo, fichi d’india, mandorlo e olivo e la progressiva decorazione degli interni, di cui fu responsabile, daal 1881 fino alla morte, nel 1896, il buon Giovan Battista Palazzotto.
Giovan Battista, sicuramente meno eccentrico e affascinante di Patricolo o del fratello Francesco Paolo, è di certo il grande padre della Palermo Ottocentesca e Liberty, concependo un’urbanistica a misura d’uomo, incentrata sul decoro borghese e sull’importanza delle infrastrutture a servizio dei cittadini. Fu tra i primi a concepire le strade in funzione del traffico carrabile e si dedicò con massimo impegno a progettare ospedali di moderna concezione.
Nella villa crebbe uno dei più grandi gioiellieri del Novecento, Fulco di Verdura, cugino di Tomasi di Lampedusa, che ricordava così la sua giovinezza.
E io chi ero? Ero un ragazzino piuttosto robusto, ben piantato sulle gambe. Quasi sempre in moto, correndo, saltando su divani e poltrone o arrampicandomi sino in cima agli alberi più alti e cercando di stare in equilibrio a testa in giù. Però qualche volta, fermandomi di botto, mi lasciavo andare a vaghi sogni a occhi aperti e partivo per lontani magici orizzonti. Non pensavo mai all’avvenire ed ero perfettamente felice. A casa generalmente portavo un paio di pantaloncini di serge blu e una maglia a collo alto, stivaletti, e calzette perennemente cadenti. In estate una camicetta, pantaloncini di tela e sandali. Questi abbigliamenti erano chiamati “vestiti di casa”. Per uscire ero vestito, naturalmente, alla marinara. Le uniformi arrivavano regolarmente da Londra, quella d’inverno di lana blu da Peter Robinson e quella d’estate di tela bianca a righini blu da Peter Jones.
Per dire la verità i calzoni dei “vestiti di casa” erano semplicemente quelli nautici dell’anno prima. I due mitici Peter londinesi stuzzicavano la mia fantasia e mi chiedevo se Jones passasse l’inverno in letargo come gli orsi e se Robinson si squagliasse al primo sole di primavera per rinascere in autunno. Il mio copricapo era, secondo le stagioni, un berretto da marinaio o un cappello di paglia dalle larghe falde tenuto in testa per mezzo di un elastico che, a forza di essere masticato, diventava sempre troppo lungo ed era raccorciato da me con piccoli nodi sotto il mento.
Io ero così. O piuttosto così rammento di essere stato in quei distanti anni assolati. Amavo molto disegnare, o meglio scarabocchiare, inventavo paesi tracciandone le mappe con montagne, fiumi,lagni, golfi ed isole.Più tardi cominciai a disegnare vedute di città con monumenti, chiese ed il Palazzo Reale, non concependo a quell’epoca altra forma di governo. Per questi reami inventavo re, regine e ministri che spesso avevano gli stessi nomi dei nostri animali
Oppure, quando ricorda i Florio
Allora, quando ero ragazzo, Palermo era una capitale di provincia, come per dire una capitale da operetta: chi tirava i fili delle marionette erano i Florio. Donna Franca, moglie di Ignazio, era una donna bellissima, ma ci si dimentica che Ignazio stesso era uno degli uomini più belli della sua generazione, biondo con gli occhi celesti. Le Domitille, le Floriane, le Salviati, le Arabelle, hanno gli occhi di Ignazio Florio.
Degna della sua vita, piena di bizzarrie, fu la sua sepoltura, che volle a Palermo: a Pisa, colui che trasportava le ceneri da Londra venne fermato da un poliziotto sospettoso circa la composizione di quella polvere. “Ashes, ashes” – spiegò all’agente – che, ignorante d’inglese, trattenne per qualche minuto i resti di Fulco di Verdura, convinto di avere bloccato un trafficante di hashish.
Nel 1987, le discendenti della casata Margherita (detta Maita) Valguarnera e Maria Immacolata (detta Mimì) Valguarnera, Principessa Romanov, hanno venduto il complesso monumentale al Comune di Palermo che ne ha fatto sua sede di rappresentanza.
La facciata principale di Villa Niscemi è a tre elevazioni con due avancorpi terrazzati protesi verso il giardino, secondo la prassi costruttiva inaugurata a villa Butera di Bagheria e divenuta consueta nella costruzione delle ville di quest’epoca. Classica la maiolica del pavimento, a righe zigzaganti in blu lapislazzuli e la balaustra in pietra calcarenitica tipicamente lavorata. L’accesso al piano nobile, contrariamente agli usi architettonici dell’epoca che prevedevano la scalinata esterna a tenaglia, fu realizzato con una scala interna, inserita in un volume sporgente dal fronte posteriore.
Entrando, il primo salone che si incontra è la Galleria dei Re, così chiamato per la raccolta di ritratti dei re di Sicilia appesa sulle pareti. Nello stesso salotto si trova un camino di notevoli proporzioni e l’albero genealogico di famiglia. Dalla Galleria dei Re si prosegue verso le due ali della villa.A sinistra troviamo il Salotto degli arazzi e la Sala da pranzo, da cui si accede ad una delle terrazze esterne. Rivolgendosi a destra, invece, vi è una sequenza di saloni consecutivi, ordinati secondo il criterio dell’enfilade, cioè una serie di stanze allineate l’una dopo l’altra, com’era d’uso nella grande architettura europea del periodo barocco. Intorno agli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento, i principali spazi di rappresentanza vennero interamente affrescati, secondo il diffuso criterio ornamentale a trompe-l’oeil, con i finti stucchi e trafori illusionistici.
Il primo è quello dedicato a Santa Rosalia, caratterizzato da vivaci affreschi a trompe-l’oeil e da un affresco sul soffitto raffigurante l’apoteosi della Santa patrona. Magnificamente affrescato a trompe-l’oeil è il successivo Salotto delle Quattro Stagioni cosiddetto per le allegorie rappresentate sulle pareti lunghe. Sulla parete di fondo, invece, si trova l’affresco con Carlo Magno che dona al principe Valguarnera lo stemma di famiglia, mentre il soffitto è decorato con l’Assunzione della Vergine.
Questa salotto permette l’accesso alla seconda terrazza esterna mentre, continuando il percorso all’interno, si giunge ad altri salottini dai sontuosi decori ed, infine, alle camere private dei principi, costituite da un piccolo studio, dalla camera da pranzo privata e dalle varie camere da letto impreziosite da tetti lignei egregiamente intarsiati ed arredate come se i padroni di casa non avessero mai lasciato la Villa.