Goethe a Palermo (Parte VII)

Così, siamo arrivato agli ultimi giorni del soggiorno di Goethe a Palermo, dove emergono ancora una volta, tanti particolari affascinanti. Il primo è come anche nel Settecento, i palermitani fossero perseguitati dalla piaga dell’immondizia, anche se questa, in fondo è spesso più percepita che reale… A Roma, purtroppo, siamo messi molto peggio.

Il secondo è come il tedesco, affascinato da Villa Giulia, a differenza di noi contemporanei non è che desse così tanto valore all’architettura arabo normanna: se diede un’occhiata alla Cuba, la casa moresca di cui parla difficilmente può essere la Zisa, all’epoca poco riconoscibile a causa degli interventi barocchi, non le dedicò che poche righe distratte.

Terzo, che colorì le sue memorie di tanti dettagli inventati: la solenne processione che cita, come dimostrò bene Pitrè, ahimè non mai esistita… D’altra parte, sono sempre le Storie a trionfare sulla realtà

Palermo, sabato 15 aprile 1787.

Così difatti avvenne, anche questa volta. Nella scorsa notte un vero diluvio si scatenò sulla città, e mi affrettai a portarmi di buon mattino per istrada, ad ammirare il miracolo. Ed era questo abbastanza strano. Il torrente che scendeva sulla via, fra i marciapiedi da ambo i lati, aveva liberato il suolo della strada dal fango più leggero trascinandolo parte in mare, parte nelle chiaviche le quali non si trovavano otturate, ed aveva inoltre addensate qua e là, in mucchi, le materie più pesanti, aprendo sul selciato una specie di meandro tortuoso, libero dalle immondizie. Ora centinaia e centinaia di operai, con pale, forche, scope, erano occupati a compiere l’opera iniziata dall’acqua, accumulando dalle parti tutte quelle immondizie, e cercando di allargare, e di dare migliore forma a quella strada improvvisata. Per tal guisa la processione quando uscì, trovò aperta una strada, tortuosa per dir vero, ma abbastanza pulita a traverso quella palude, e la lunga schiera del clero, dei nobili in scarpe e calze, con il viceré alla testa, la poterono percorrere senza insudiciarsi. Credevo vedere il popolo d’Israele, guidato dalla mano dell’angelo per via asciutta, fra i fanghi e le paludi; ed il paragone era nobilitato della vista di tante persone distinte, le quali camminavano con pompa bensì, ma in attitudine di compunzione, in mezzo a quei mucchi di fango fradicio, cantando lodi e preghiere.

Sui marciapiedi si camminava bene come al solito, ma nell’interno della città, dove ci recammo oggi appunto per visitare quartieri che non conoscevamo ancora, era quasi impossibile camminare, tuttochè colà pure si fosse cercato rimuovere, ed accatastare qua e là il fango.

Questa solennità ci porse occasione di visitare la chiesa cattedrale, e di contemplare le sue rarità; e poichè eravamo in moto, Visitammo pure altri edifici, fra cui una casa moresca in buono stato tuttora di conservazione, non molto vasta, ma però con belle ed ampie stanze, di proporzioni armoniche, le quali non sarebbero per dir vero abitabili in un clima settentrionale, ma che sotto questo cielo porgevano piacevole e comodo soggiorno. Me riterebbe quell’edificio che se ne rilevassero, la pianta ed il disegno.

Vedemmo parimenti, in un locale infelicissimo, reliquie e frammenti di statue antiche, alle quali ci mancò l’animo di porgere grande attenzione.

Palermo, lunedì 16 aprile 1787.

Dal momento che per fatto nostro siamo sotto la minaccia di dovere abbandonare fra breve questo paradiso, io vagheggiavo ancora la speranza di potere trovare oggi nel giardino pubblico un sollievo, a leggere nell’Odissea il mio argomento, ed a meditare in una passeggiata nella valle ai piedi del monte di S. Rosalia, il piano della mia Nausica, e di ponderare se quel soggetto porgesse carattere drammatico. E tutto ciò mi è riuscito, se non addirittura a dovere, però con molta soddisfazione. Ho meditata la tela, e non mi potei trattenere dallo svolgere ancora alcune scene, le quali maggiormente mi sorridevano.

Palermo, martedì 17 aprile 1787.

La è propriamente sventura, quella di essere perseguitato e tentato da ogni varietà di fantasie. Stamane mi sono portato per tempo nel giardino pubblico, col fermo divisamento di continuare ad occuparmi de’ miei sogni poetici; se non chè, io non aveva ancora cominciato a raccogliermi, che fui afferrato da un altra idea, la quale mi aveva preoccupato già nei giorni scorsi. La maggior parte delle piante che noi siamo assuefatti a vedere in casse di legno soltanto ed in vasi, protette inoltre per la maggior parte dell’anno dai vetri delle stufe, vegetano qui in piena terra, all’aria libera; e pertanto mentre acquistano tutto il loro sviluppo, sono più facili ad esaminare. Alla vista di tanti vegetali di forma nuova, o modificata, mi rinacque il mio antico capriccio; non sarebbe possibile cioè, lo scoprire in questa schiera di piante, la pianta primitiva, originaria? Deve pure questa esistere! Diversamente, come potrei riconoscere che tutti questi vegetali sono piante, qualora non si potessero riferire tutte ad un tipo?

Mi sforzai a ricercare quanti fossero le varietà, fra le piante che più si scostano, per la loro forma, le une dalle altre. Trovai sempre, più analogie che differenze, e qualora volessi addurre la mia terminologia botanica, lo potrei provare; se non che gioverebbe a nulla; mi procurerebbe sempre nuovi pensieri, senza che io ne potessi trarre profitto. Intanto i miei proponimenti poetici erano svaniti, il giardino di Alcinoo era scomparso, e si era trasformato in un orto volgare. Perchè siamo sempre per tal guisa allettati da cose nuove, travagliati da desideri, che non riusciamo a soddisfare?

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...