
Diciamola così: ho avuto un periodo complicato, sotto tanti aspetti: solo oggi sto riuscendo, con qualche ferita di troppo, ha vedere la luce. Così, finalmente, posso tornare a postare sul blog con una certa regolarità, parlando di Palermo e del suo vecchio porto, la Cala. Nel XVI secolo nelle mura che difendevano i suoi moli furono aperte una serie di porte, a uso commerciale e doganale, che prendevano nome delle merci che vi erano vendute e che, data la destinazione pratica, era caratterizzate da un’architettura alquanto semplice e spartana.
La prima di queste, partendo da Piazza Marina, era la Porta Molo Vecchio si trovava accanto alla Porta Felice, che, ovviamente, svolgeva il ruolo, ben differente di ingresso monumentale. Porta, quella del Molo Vecchio, che serviva esclusivamente per il transito delle granaglie, ma che per, la posizione, risultava assai scomoda. Per di più, dal 1581, con l’apertura della via Colonna, dedicata, come dire, allo struscio della nobilità locale, il relativo commercio fu considerato come una forma di degrado dai benpensanti dell’epoca.
Per cui, nel 1603, per risolvere entrambi i problemi fu chiusa e sostituita da una nuova porta sull’arco della Cala, detta Scaricatore di Frumento, chiusa nel 1800.

La Porta della Dogana, che delimitava lo spazio antistante la chiesa della Catena fu costruita nel 1520,per far transitare in città tutte le merci pervenute via mare, smistate nei Regi Magazzini Doganali e gravate delle regie e civiche gabelle, nella cortina denominata Mura della Lupa.
Abbellita nel 1628 dal viceré di Sicilia Francesco Fernández de la Cueva, duca di Alburquerque. Il Senato Palermitano, nella persona del pretore Antonio de Requisens, conte di Buscemi e principe di Pantelleria, decretò di chiamarla Porta Alburquerque, come recitava l’iscrizione, ma i palermitani presero l’abitudine di riferirsi a questa come Doganella, a’ Duaniedda.
Il varco era sovrastato da un’aquila marmorea recante le armi reali e due scudi raffiguranti rispettivamente le armi del Senato Palermitano e quelle del viceré. La porta era costruita con pietre d’intaglio, decorata con pilastri, cornici, fasce, architravi, mensole e fregi. Il manufatto misurava 60 palmi d’altezza per 40 di larghezza, con un vano di passaggio alto 30 palmi e largo 15.
Essa definiva lo spazio antistante la Catena rendendolo raccolto e suggestivo in un modo che oggi risulta difficile immaginare, e che era completato da una statua prima di Filippo V, poi di Filippo IV. Per esigenze di traffico la porta fu abbattuta nel 1852.

La Porta della Pescheria (o Pescaria) era la porta del mercato del pesce, realizzata nel Quattrocento e collegata da un arco alla chiesa di Santa Maria di Portosalvo. Era una piccola porta rivestita di marmo che serviva al transito del pescato, e che fu demolita nel 1596 per l’apertura della vicina Porta Carbone, mentre il mercato del pesce si spostava nella direzione del Castello a Mare, dove è ancora oggi.

Porta Carbone o della Lega, lievemente spostata rispetto al centro della Cala, fu edificata intorno al 1590 in stile rinascimentale dal Senato Palermitano. lati della porta erano decorati a bugne rettangolari, mentre superiormente non vi era né un arco, né decorazioni. La porta era alta 5,68 m per una larghezza di 4,12 m.
Nel dicembre del 1676, per paura di un attacco a Palermo, la porta fu murata. Nel 1777, su concessione del Senato Palermitano, Francesco Davì de Cordoba, proprietario delle case limitrofe, costruì un andito per collegare la porta con le sue proprietà, edificando una volta al di sopra di questa. In cambio, Davì si dovette assumere l’onere di restaurare i due fronti della porta, in stile barocco. I lavori terminarono nel 1778, per interesse del pretore Antonino La Grua, marchese di Regalmici. Anche questa fu demolita nel 1875; la sua memoria è ancora diffusa tra i palermitani, anche grazie a una famosa focacceria, dove si serve un ottimo pani ca’ meusa
Seguiva poi la Porta della Calcina, all’altezza della nostra Piazza della Fonderia, che serviva all’ingresso e alla vendita di calce e sabbia e che era un semplice fornice con arco a tutto sesto.Ancora parzialmente esistente in quanto inglobata in strutture murarie e rimaneggiata nel 1994 durante i lavori di ristrutturazione della clinica Triolo-Zancla. Esistente, secondo la testimonianza del Fazello, già nel 1590 ma non ancora nel 1560, come riporta Valerio Rosso, possiamo quindi collocare la sua costruzione nell’arco di tale trentennio. Il Mongitore ci fornisce le misure della porta:
” … fabbricata di pietra d’intaglio, alto il suo vano palmi 16, largo palmi 13 e sopra il vano fino alla volta dell’arco v’era uno spazio murato alto palmi 4″.
L’ultima notizia del suo utilizzo risale al 4 maggio del 1684, attraverso la quale uscì la bellissima statua in bronzo raffigurante Carlo II per essere trasferita a Messina. Dopodiché il varco fu murato per sempre.

L’ultima porta della Cala, verso il Castello a Mare, era la Porta di Piè di Grotta. Forse era nata anch’essa per scopi commerciali, ma il suo nome deriva da una delle tante chiese palermitane.
Il 30 Maggio 1564, alcuni ragazzi notarono che dentro una grotta della zona, usata dai pescatori per ripararsi dalle intemperie e per riporre i loro attrezzi, un dipinto su lastra d’ardesia, rappresentante Maria Addolorata con il Cristo deposto dalla Croce, donato da Alfonso Ruiz, all’epoca protonotaro del regno aveva cominciato lacrimare.
Probabilmente, era solo una questione legata al trasudare dell’umidità: tuttavia verificandosi delle guarigioni improvvise, i pescatori dell’area cominciarono a gridare al miracolo e a recarsi in pellegrinaggio alla grotta.
Subito dopo fu fondata la confraternita “Della gente di mare” sotto il titolo di S. Maria di Piedigrotta che commissionò all’architetto Baldassare Massa la decorazione marmorea dell’ingresso della grotta su cui era incisa la seguente iscrizione:
“Tertio kalendas aprilis ante diem Parascevae 1564 initium fuit signorum, quae fecit hoc in antro Beata Virgo“.
Visto che cominciarono a fioccare le elemosine e le donazioni, fu deciso di costruire una chiesa, dedicata alla Madonnda di Piedigrotta, che diede il nome alla Porta.
Chiesa che, come racconta l’architeto Spatrisano,
aveva il fronte rivolto ad occidente ed era costituita da un unico ambiente con cappelle parietali sistemate lungo le pareti longitudinali: un campaniletto a pianta quadrata era addossato al fianco settentrionale, in gran parte interrato
All’interno, l’abside era caratterizzato da pilastri e da archi con decorazioni a stucco e da bassorilievi dorati che incorniciavano un’ immagine della Natività di Maria Vergine. Ai lati di questa cappella maggiore vi erano delle sedie corali perché in questa chiesa, quando fu costruita, otto sacerdoti celebravano le funzioni religiose. Al centro di essa vi era l’altare maggiore in marmo ed ornato da pietre colorate e da diversi fregi e bassorilievi dorati
Nella parte destra della chiesa vi erano quattro cappelle: la prima, vicina all’altare maggiore, era consacrata a S. Leonardo; la seconda era dedicata alla Madonna della Pietà detta di Piedigrotta, la terza all’Immacolata Concezione della Vergine e la quarta a Sant’Erasmo.La cappella dedicata alla Madonna della Pietà è così descritta da Mongitore:
è ella sfondata a volte, edificata dopo li miracoli operati a intercessione della Vergine.
Sopra l’altare v’ha l’Immagine e tutta freggiata la cappella di vari ornamenti d’argento ricchi insieme, e vaghi, che la rendono splendida e venerabile. Pendono ivi molte votive tabelle, che fan piena fede delle grazie a larga copia dispensate dalla Vergine. A lato dell’ altar dalla parte del Vangelo v’ha la Grotta, ove è la miracolosa immagine della Vergine, convertita in divota cappelletta. Entro questa cappelletta si vede dipinto S. Placido e compagni
Sempre sul fianco destro vi era una cappella intitolata all’Immacolata Concezione della Vergine, edificata dal Senato palermitano in memoria di una tragedia avvenuta il 15 Dicembre 1590, quando sbarcò alla Cala il vicerè Diego Enriquez de Gusman conte di Albadelista, che proveniva da Messina. Tutte le autorità cittadine si trovavano sul posto per salutarlo. Il pontile di legno che univa la nave alla terraferma crollò e centinaia di persone caddero in mare. A stento si salvò l’Arcivescovo di Palermo don Diego de Aedo quando già stava per annegare. Molti morirono perché fatti annegare da delinquenti senza scrupoli allo scopo di derubarli.
Matteo Donia scrisse che perirono circa 150 fanciulli e popolani e 105 nobili, Ministri e cavalieri. Il viceré in segno di ringraziamento alla Madonna per lo scampato pericolo e per ricordare il tragico evento, affido al pittore palermitano Giuseppe Alvino detto il “Sozzo”, l’incarico di raffigurare in un quadro ad olio il “ Miracolo della sua salvezza” che naturalmente egli attribuiva alla Vergine. L’Alvino dipinse l’immagine dell’Immacolata in atto di calpestare il serpente, con angeli intorno e nella parte inferiore raffigurò la scena del crollo del ponte di Piedigrotta.
Al suo interno la chiesa conservava anche un fanalone di galea donato nel 1613 da don Ottavio d’Aragona, generale delle galee di Sicilia, in memoria delle grazie ricevute dalla gloriosa Vergine per essersi salvato da una violenta burrasca dove rischiò il naufragio, e per la vittoria riportata contro una squadra navale Turca che gli permise di liberare 1300 cristiani.
La chiesa purtroppo fu gravemente danneggiate dalle bombe anglo americane il 22 marzo del 1943 e demolita nel giugno 1944: paradossalmente si salvò solo la grotta che aveva dato origine a tutto, che ancora esiste.
Si trova infatti dentro il mercato ittico, pochi metri al di sotto dell’attuale piano di calpestio e vi si accede grazie a una botola