L’antico porto di Atri

Può sembrare strano, ma Atri, nell’antichità romana e nel Medioevo, era un importante polo marittimo dell’Adriatico. Il suo antico porto sorge sulla costa tra Silvi Marina e Pineto, nelle acque antistanti la Torre di Cerrano, a meno di un chilometro dalla battigia, su un fondale sabbioso tra 5 e 15 metri.

Il primo a citarlo è Stabone nella Geografia, che scrive de

il torrente Matrinus, che scorre dalla città di Atri, con l’omonimo porto

usando il termine epìneion, parola che indica un piccolo porto dotato di arsenale, di magazzini per lo stoccaggio delle merci e di moli. Ora, benchè ci sia un dibattito alquanto acceso tra eruditi locali sull’identificazione del Matrinus, tutte le ipotesi evidenziano come il porto fosse a poche miglia dalla colonia romana di Hatria.

Il tanto spernacchiato su Facebook Plinio il vecchio, invece cita dell’importanza del vino di Atri trasportato in anfore di produzione locale verso l’Oriente, Grecia e Egitto, senza tralasciare la direttrice Aquileia – regioni danubiane.

Porto quindi che da una parte aveva un’importanza strategica nella viabilità romana, sorgendo in prossimità della via Cecilia e della via Valeria Claudia, diramazioni della Salaria che collegavano Roma con l’Adriatico passando per Amiternum (Aquila) che servivano anche da supporto alla transumanza, dall’altra intrecciava importanti traffici con le Puglie, commerciando cereali, con la Dalmazia dove si esportava ceramica e con il Mediterraneo centrale da e per dove, grazie alle sottili e resistenti anfore atriane, si esportavano e importavano, prodotti di ogni genere.

Commercio che evidenziato anche delle icone impresse sulle antiche monete atriane ed in particolare, in quella dell’oncia e del triunce dove rispettivamente l’ancora e il pesce ricordano gli stretti rapporti tra la città e la costa.

La successiva citazione risale invece alla Tabula Peutingeriana, un’antica carta che mostra le principale vie romane: gli scavi archeologici ci hanno permesso di avere un’idea abbastanza chiara dell’area in epoca tardo antica, con la presenza di una villa romana e sulla sinistra orografica della Villa Sancti Martini cum porticello.

Nell’epoca alto medievale, intorno al IX il porto fu ceduto all’abbazia di Montecassino, che lo cita più volte nei suoi documenti contabili, come pertinenza del monastero di Santa Maria ad Maurinum

cella S.Mariae ad Maurinum cum portu ed foce de Gomano

Il vecchio porto romano, però, cominciò progressivamente a insabbiarsi tra il fra XI e XII secolo, tanto che nel 1251 Atri ricevette dal Cardinale Pietro Capocci, tra gli altri privilegi, quello di costruire un nuovo porto; concessione confermata nel 1255 da Papa Alessandro IV con l’indicazione in Penna Cerrani, sulla Punta del Cerrano, lievemente spostato rispetto alla precedente posizione.

Durante il regno di Carlo II d’Angiò appare per la prima volta una “vecchia torre” in Penna Cerrani la cui ricostruzione, con una disposizione del 1287, reiterata nel 1293 e 1294, viene posta a carico anche degli abitanti di Silvi e Montepagano, che avrebbero poi tratto beneficio dalla possibilità di ricoverare le navi e di commerciare; analoghi ordini furono emessi nel 1310 e nel 1352.

Nel 1303 fu terminata la Cattedrale di Atri, costruita con grandi blocchi di pietra d’Istria che verosimilmente passarono per il nuovo porto di Cerrano. La rigogliosa attività commerciale è ribadita anche nella testimonianza del 1319 di esenzione a pagare il dazio di uscita alle navi atriane che caricavano grano e orzo dal porto di Manfredonia per trasportarle ad Atri che probabilmente si presentava consunta e stremata dalle numerose guerre intestine. Poco più tardi, tra il 1347 e il 1352, a causa dei saccheggi e distruzioni operate dalle compagnie di ventura capitanate da Frate Moriale, si ripresentò la necessità di chiedere nuovamente dei finanziamenti utili al restauro dello scalo.

Così la regina Giovanna I e il re Luigi di Taranto concessero alla città una parte della gabella regia sul porto. Nel 1362 gli Atriani firmarono una convenzione con i teramani per l’utilizzo del Porto di Cerrano a svantaggio di quello di San Flaviano a Giulianova, convenzione accordata dalla regina Giovanna I nonostante i “chiassosi” ricorsi delle genti giuliesi.

Nel 1388 gli introiti del porto furono destinati al suo restauro per volere del re Ladislao di Durazzo e della regina madre e reggente Margherita di Durazzo; analoghi provvedimenti furono presi più volte nel tempo, allo scopo di mantenere il porto in efficienza. Nel 1419 fu rinnovata ad Atri l’autorizzazione a riscuotere un pedaggio destinato anche alla custodia del Castello e Porto di Cerrano.

Il porto di Cerrano fu incendiato e devastato nel 1447 da una potente flotta comandata da Andrea Loredan inviata dalla Repubblica di Venezia, in guerra con Alfonso d’Aragona, per distruggere i porti dell’Adriatico. Per sanare i danni, il comune di Atri stipulò nel 1450 un contratto di locazione e mantenimento del porto, delle case e dei magazzini, delle stalle e dell’esclusiva di pescare nelle acque antistanti con Giacomo del Lupo, da cui sappiamo come sulla “punta di Cerrano” vi fosse

la casa de lo Palaczo che sta sopra de lo porto dotata di una grande stalla

ossia una sorta di albergo per mercanti e viaggiatori e come i veneziani bruciassero due case con accanto una torre di difesa, le cui mura subirono gravi danni come pure vari magazzini e pertinenze. Giacomo del Lupo, però, non riuscì a rimettere in efficienza il porto, così gli Atriani chiesero e ottennero da Ferdinando I, ben 300 ducati annui per il restauro del porto e delle strutture. Nonostante l’impegno degli atriani, nel 1468 gli stessi chiesero al re

”…che atteso lo porto di Cerrano per la fortuna del mare a breve mancherà e minaccia ruina gli conceda ad essa università riedificarlo in altro luogo idoneo secondo il parere della detta università sul territorio e distretto per il litorale della detta città dovunque…”:

Nel 1481 il porto è elencato tra i possedimenti ereditati da Andrea Matteo III Acquaviva ma alla fine del secolo non rimaneva molto,

«Item ha lo castello de lo porto de Cerrano cum casamenta dentro et sbaglio (cortile) cum terrino de fora de le mura cum prato ce tomuli uno appresso le case de l’ecclesia de Sancto Nicola da di lati et da pedi lo lito de la marina et da capo la strada de la salara et altri fini»

Il porto di Cerrano ormai non era più utilizzabile dalle navi, così il 14 settembre 1513 il procuratore dell’Università Bartolomeo di Cola Sorricchio lo cedette, insieme ai diritti esclusivi di pesca ed approdo, ad una società formata da quattro persone, da Giacomo di Cicerone (Sanguedolce), Francesco Firmani, Girolamo Antonelli e Prudenzio Massarotti.

Nel 1516 il comune di Atri decise di abbandonare definitivamente il diroccato e rinterrato porto di Cerrano per costruire un approdo più piccolo presso la marina di Calvano e, il 9 novembre 1518, acquistò

«una mezza tomolata di terreno in contrada Calvano vicino al lido del mare per il prezzo di ducati sedici a ragione di carlini undici per ogni ducato».

Calvano, ancorché dotato di osteria, albergo per il riposo dei viandanti e di una grande stalla, non fu mai un porto vero e proprio ma rimase un modesto approdo per i barconi che facevano la spola lungo la costa o si spingevano fino all’altra sponda dell’Adriatico. In seguito quel poco che rimaneva a detta di nel 1627 subì le conseguenze di un terremoto che provocò il distacco del versante collinare.

Nel 1753 cominciarono però i primi scavi per identificare il porto romano, compiuti da Nicola Sorricchio, il quale ritrovò

” quadrilatero di doppie mura ad opera signina, che si internava in un montante di terreno compatto malagevole a rimuoversi per cui lo scavo fu arrestato”.

Un’idea chiara del porto romano l’abbiamo però dal 1982, grazie alle ricerche subacquee di Piergiorgio Data, eseguite a oltre 500 metri dalla costas che documentarono la presenza di grandi pietre a spigolo vivo, lastroni di pietra d’Istria ad “L” rovesciata (2x4x4 metri), le stesse utilizzate per la costruzione della Cattedrale di Atri, grandi costruzioni murarie in mattoni, canaletta in calcare (simile alle tre presenti nella cripta della Cisterna-Basilica di Atri), scalini, bitte ed ormeggi, disposti secondo una certa impostazione urbanistica, alla profondità di 4,7 e 11 metri.

Il tutto era realizzato tramite il metodo della “cassaforma” citato anche da Vitrurio

C’é una specie di sabbia che, naturalmente, possiede straordinarie qualità. … Se mescolata con calce e caementa (pietrisco), indurisce altrettanto bene sott’acqua come nelle ordinarie costruzioni.

Per realizzarlo, gli antichi romani procedevano così nel punto stabilito si affondavano e bloccavano con sicurezza le casseforme tenute insieme da montanti di quercia e tiranti trasversali, dopo aver pulito e livellato il fondale all’interno si gettava la malta mischiata al pietrame e il calcestruzzo a diretto contatto col legno. Al momento in cui si versava l’opera cementizia la cassaforma era allagata dall’acqua, ma ne superava il livello per essere poi tolta. Nei resti delle strutture sommerse del porto di Atri si possono vedere i segni dell’intelaiatura lignea attraverso dei fori nel cemento.

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