
Il tentativo di Pirro di trovare un accomodamento con la maggioranza del Senato, che portasse a un compromesso sulle rispettive aree di influenza, entrò in crisi a causa del terzo incomodo: Cartagine. Ora, il re dell’Epiro, con la sua solita lucidità strategica, era convinto che gli interessi delle due città fossero contrapposti. Per cui riteneva quasi impossibile un accordo tra loro: come sappiamo bene, il futuro gli darà ragione, però, all’epoca Roma e Cartagine avevano rapporti diplomatici consolidati da secoli.
Infatti, il primo trattato, fu secondo la tradizione, fu stipulato alla caduta di Tarquinio il Superbo, che Varrone datava al 509 a.C. e Polibio posticipava al 480 a.C. Trattato che già in tempi antichi aveva provocato decine di polemiche tra gli annalisti e storici romani: Livio, pur ritenendolo autentico, non si pronunciava sulla sua data della sua firma. Invece Diodoro Siculo ne negava addirittura l’esistenza.
Se gli antichi si scannavano sulla vicende, possiamo pensare noi moderni… Però, due indizi fanno propendere per la sua autenticità. La prima, la testimonianza di Polibio che afferma come il testo latino originale fosse in una lingua talmente arcaica da essere capita solo dai più esperti e con una certa difficoltà, a riprova della sua antichità.
La seconda è nel retroterra geopolitico, che si sposa perfettamente con quanto sappiamo della fine dell’epoca dei Tarquini. Il trattato infatti, dice
A queste condizioni ci sia amicizia fra i Romani e gli alleati dei Romani e i Cartaginesi e gli alleati dei Cartaginesi: né i Romani né gli alleati dei Romani navighino al di là del promontorio Bello, a meno che non vi siano costretti da una tempesta o da nemici. Qualora uno vi sia trasportato a forza, non gli sia permesso di comprare né prendere nulla tranne quanto gli occorre per riparare l’imbarcazione o per compiere sacrifici, e si allontani entro cinque giorni. A quelli che giungono per commercio non sia possibile portare a termine nessuna transazione se non in presenza di un araldo o di un cancelliere. Quanto sia venduto alla presenza di costoro, se venduto in Libia o in Sardegna sia dovuto al venditore sotto la garanzia dello stato. Qualora un Romano giunga in Sicilia, nella parte controllata dai Cartaginesi, siano uguali tutti i diritti dei Romani. I Cartaginesi non commettano torti ai danni degli abitanti di Ardea, Anzio, Laurento, Circei, Terracina, né di alcun altro dei Latini, quanti sono soggetti; nel caso che quelli non soggetti si tengano lontani dalle loro città: ciò che prendano, restituiscano ai Romani intatto. Non costruiscano fortezze nel Lazio. Qualora penetrino da nemici nella regione, non passino la notte nella regione.
Ora, la Roma di Servio Tullio e dei Tarquini era ben inserita nella geopolitica etrusca, finalizzata alla collaborazione con Cartagine, per tenere lontani i greci dal Tirreno, in modo da avere il monopolio dei commerci tra Mediterraneo e mondo celtico. Collaborazione che oltre a portare alla Battaglia di Alalia, fece fondare empori punici in diversi città dell’area di influenza tirrenica, come Preneste e Caere e portò alla colonizzazione etrusca della Corsica. Poprio ad Alalia è stato trovato un frammento di kylix attica, con sopra inciso il nome gentilizio Klaute, il romano Claudius.
Di conseguenza, vi erano rapporti molto stretti tra l’isola e l’Urbe, testimoniati anche da un racconto di Teofrasto, il quale narra come una volte i i Romani inviassero venticinque navi sulle coste della Corsica coll’intenzione di fondarvi una città e che esse ebbero lacerate le vele dagli alberi folti e giganteschi che inselvatichivano ovunque gli orli dei golfi e nei porti nei quali entravano.
Intorno al 510 a.C., però le cose cambiarono: le faide interne alla famiglia dei Tarquini provocarono il progressivo collasso del loro sistema di potere, di cui approfittarono Porsenna di Chiusi e il tiranno greco di Cuma Aristodemo. Il primo voleva imporre il suo controllo sulle vie commerciali che univano l’Etruria Magna Grecia. Il secondo voleva fare arretrare la sfera d’influenza etrusca verso nord, sostituendovi Cuma come potenza dominante nel Latius Vetus. Se a Cartagine poco importava delle vicende interne degli etruschi, i Lucumoni in fondo andavano e venivano, la mossa di Aristodemo, che rischiava di alterare gli equilibri consolidati nel Tirreno, la preoccupò alquanto.
Per cui, lanciò una sorta di campagna di indirect rules per espandere la sua influenza sull’Etruria Tirrenica: probabilmente, a Cere, città tradizionalmente filogreca, appoggiò il colpo di stato che portò al potere Thefarie Velianas, come forse indicato dalle lamine di Pyrgi e stipulò un accordo con il Tarquinio che era sopravvissuto alla faida tra parenti e che, per rimanere, attaccato al potere, cedeva sempre più potere ai capi clan più ricchi.
Trattato che non doveva differire da quello firmato con altri lucumoni: data la pessima e fondata fama degli etruschi come pirati, venivano posti una serie di paletti allo sbarco sulle coste tunisine. Poteva avvenire solo in casi di emergenza e in tempo limitato o per commerciale, sotto stretta sorveglianza. Lievemente diversa era la situazione in Libia e Sardegna, che erano una sorta di Far West dell’epoca. Il controllo statale era una sorta di assicurazione, che garantiva ai mercanti romani il pagamento della transazione anche nel caso, che doveva verificarsi spesso, di compratore inadempiente.
Dato che le transazioni commerciali nelle porzione punica della Sicilia erano assai meno problematiche, questa garanzia statale non era presente e i romani a Zyz, la nostra Palermo, che era uno dei principali hub commerciale dell’impero punico, avevano gli stessi diritti e doveri dei punici. Per cui, in qualche modo, mercanti romani, a bordo di navi, dovevano giungere in quelle zone…
Inoltre, i Cartaginesi riconoscevano il Lazio come appartenente alla sfera di influenza dei romani: non avrebbe occupato territori o fondato colonie. Non avrebbe attaccato i territori sotto il controllo diretto o indiretto dell’Urbe, con particolare attenzione alla città costiere. Addirittura, se per qualche strano motivo, Cartagine avesse conquistato una città latina che non era sotto il controllo di Roma, l’avrebbe dovuta cedere all’alleata.
In cambio, il Tarquinio, probabilmente, avrebbe dovuto rompere qualsiasi rapporto politico con l’ambizioso Aristodemo e i suoi alleati della Magna Grecia. Di fatto Cartagine rinunciando ad altro che ad azioni belliche entro un piccolo territorio (il Lazio), dove comunque non aveva interessi, manteneva le mani libere per le azioni contro i Greci e gli bloccava la possibilità di avanzare a Nord.
Accordo che però in crisi nelle due generazioni successive: i Tarquini furono cacciati da Valerio Publicola, una sorta di capitano di ventura sabino, che divenne una sorta di tyrannos alla greca, cosa che fece da catalizzatore alla nascita della Repubblica, che non si sentò vincolato al trattato con Cartagine. Al contempo, la sconfitta etrusca nella battaglia di Cuma, l’egemonia etrusca nel Tirreno settentrionale crollò, mettendo anche in crisi gli interessi marittimi dell’Urbe.
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