
Il comando della spedizione cartaginese fu guidata dallo stesso re di Cartagine Amilcare I, colui che aveva stipulato il primo trattato di alleanza con Roma, nonno di Annibale Magone, conquistatore di Selinunte.
Il piano cartaginese era abbastanza semplice: costringere le truppe di Akragras a combattere su due fronti. L’esercito punico avrebbe riconquistato Himera, per poi avanzare lungo la valle del Salso verso Akragas: al contempo, le truppe di Rhegion, guidate dallo stesso Anassila, procedendo lungo il corso dell’Hymeras e dell’Halikos, gli sarebbero venute a dare manforte.
Per schiacciare la resistenza di Terone, Amilcare fece le cose in grande: benché Erodoto e Diodoro Siculo, come loro solito sparino i numeri caso, parlando di trecentomila uomini e di una flotta che contava più di 200 navi da guerra e più di 3 mila imbarcazioni, probabilmente l’esercito punico contava circa trentamila mercenari, a cui si sarebbero aggiunti quindicimila opliti di Rhegion e venticinquemila degli altri alleati siciliani. Settantamila soldati, per l’epoca, erano comunque una cifra considerevole.
Ma la iella si accanì sui punici: Anassila dovette fronteggiare una rivolta di Locri, quindi ritardò la sua spedizione in Sicilia. In più, nel traversare il canale di Sicilia, una tempesta affondò parte delle navi, proprio quelle che trasportavano che trasportavano i cavalli e i carri.
Per cui, come racconta Diodoro Siculo
Quando giunse in Sicilia (Amilcare) e approdò al porto di Panormo, ebbe a dichiarare di avere già condotto a termine la guerra: aveva temuto, infatti, che il mare potesse risparmiare ai Sicelioti i pericoli di una guerra. Impiegò tre giorni perché i suoi soldati si riprendessero e per riparare i danni provocati dal naufragio, quindi si mosse col suo esercito verso Himera, mentre la flotta appoggiava la sua azione rasentando la costa. Quando giunse nei pressi della suddetta città, egli pose due accampamenti, l’uno per l’esercito di terra, l’altro per gli equipaggi delle navi. Tirate in secco le navi da guerra, le chiuse con un profondo fossato e con una palizzata, fortificando l’accampamento dell’esercito, che collocò di fronte alla città e che si estendeva dal muro costruito a difesa della flotta fino alle colline sovrastanti occupata tutta la parte verso Occidente, tolse le vettovaglie dalle navi da carico, mandò via tutte le imbarcazioni con l’ordine di portare grano e il resto delle vettovaglie dalla Libia e dalla Sardegna….
In pratica Amilcare, con il fossato e la palizzata, isolò Imera dal mare, dal fiume Torto e dall’interno: dove le truppe cartaginesi furono libere di saccheggiare il territorio circostante. In attesa dell’intervento di Rhegion, la fame e la sete avrebbero fatto capitolare la città. Terone si rese conto della situazione, tentò di di interrompere la costruzione della palizzata, ma la sortita ebbe un esito pessimo: la falange agrigentina fu disarticolata dai frombolieri delle Baleari e dagli arcieri sardi e costretta al corpo a corpo, massacrata dai mercenari iberi.
Di conseguenza, la guarnigione di Himera fu alquanto demoralizzata: Terone, temendo che volesse ammutinarsi, mandò un messaggero al tiranno di Siracusa, Gelone, chiedendo il suo aiuto. Amilcare, conoscendo la rivalità tra le due colonie greche, aveva ipotizzato che Siracusa si mantenesse neutrale nella disputa: poi, se vittoria su Agrigento fosse stata veloce e senza troppe perdite, con calma Cartagine avrebbe potuto regolare i conti anche con lei.
Gelone, consapevole di questo, decise di sotterrare provvisoriamente l’ascia di guerra con Akragas e di correre in aiuto di Terone: per cui, mobilitò 25.000 opliti e 5.000 cavalieri, per organizzare una spedizione di soccorso a Himera.
Per prima cosa, la cavalleria siracusana eliminò le squadre di razziatori che, con i saccheggio, procuravano i viveri all’esercito punico, facendo circa 10.000 prigionieri: poi, Gelone tentò di distruggere le navi cartaginesi, sempre per impedire il loro rifornimento, nel tentativo di trasformare gli assedianti in assediati. Amilcare, che, ricordiamolo, era privo di cavalleria, consapevole del pericolo, mandò un messaggero a Segesta, chiedendo di mandargli in soccorso i propri cavalieri elimi.
Dato che Amilcare era particolarmente iellato, questo messaggero cadde nelle mani di Terone, che, assieme a Gelone, pensò uno stratagemma degno di Ulisse: travestì i cavalieri siracusani da elimi e li fece presentare dinanzi al campo cartaginese il giorno che Annibale aveva stabilito per il raduno, in cui il re punico era impegnato in un grande sacrificio di espiazione ad Asherat, la dea del mare.
Felici per l’arrivo dei presunti alleati, i cartaginesi aprirono le porte del campo fortificato: al contempo Terone, che aveva fatto piazzare alcune vedette sulle alture limitrofe perché gli segnalassero l’ingresso della cavalleria nel campo nemico, attaccò col resto dell’esercito. Lo scontro fu violentissimo: nel frattempo i cavalieri siracusani uccisero a tradimento a tradimento Amilcare e cominciarono a incendiare le navi.
La notizia scatenò il caos tra i cartaginesi, che si diedero alla fuga: Gelone ordinò di non fare prigionieri, di conseguenza i fuggitivi furono inseguiti, metà dell’esercito punico rimase sul terreno, altri si asserragliarono nel campo fortificato della fanteria, dove per mancanza di viveri si arresero, solo uno sparuto gruppo riuscì a raggiungere le coste dell’Africa.
Dinanzi all’inaspettata batosta, I Cartaginesi chiesero la pace, Diodoro ricorda che dopo la battaglia:
“….quando giunsero presso di lui (Gelone) da Cartagine, gli ambasciatori, che erano stati inviati, e che gli chiedevano con le lacrime agli occhi di trattarli con umanità, concesse loro la pace, riscosse da loro le spese sostenute per la guerra, duemila talenti d’argento, e comandò di costruire due templi nei quali dovevano depositare gli accordi”
Le condizioni miti derivavano da una serie di considerazioni da parte di Gelone e di Terone: i due alleati non si fidavano l’uno dell’altro. Poi, le perdite greche erano state pesanti, per cui difficilmente avrebbero potuto contrastare una nuova offensiva cartaginese. In più Anassila, chiusi i conti con Locri, aveva sbarcato le sue truppe in Sicilia. Per cui bisognava fare i ponti d’oro, affinché i punici si ritirassero dalla guerra.
I Cartaginesi, sorpresi dell’essersela cavata così a buon mercato, donarono alla moglie di Gelone, Damarete, una corona d’oro del valore di cento talenti, perché ella, da loro pregata, aveva perorato in favore della pace. Con quest’oro lei, o Gelone, comperò dell’argento per coniare una nuova moneta: il Demareteion. Parte dei duemila talenti, tra l’altro, furono girati ad Anassila di Rhegion, per comprare la pace con lui.
In più, i puniic contribuirono alla costruzione del Tempio della Vittoria a Himera, uno dei capolavori dell’ordine dorico. Nel 1700 Montesquieu nel suo “ volume “Lo spirito delle leggi “ ricorda con queste parole la pace concessa da Gelone.
“Il più bel trattato di pace di cui la storia abbia parlato è, credo, quello che Gelone concluse con i Cartaginesi. Egli volle che essi ponessero fine alla consuetudine di immolare i loro figli. Cosa ammirevole! Dopo aver sconfitto 300.000 cartaginesi, Gelone esigeva una condizione che era utile solo a loro, o piuttosto stipulava a favore del genere umano”.
Recentemente, per i lavori del raddoppio della linea ferroviaria tra Palermo con Messina, nel tratto di Buonfornello sono emerse le fosse comuni che furono scavate per dare sepoltura ai soldati e ai cavalli: molti reperti, come armi e armature di tipo iberico, hanno confermato il racconto di Diodoro Siculo, sulla presenza di truppe mercenarie.
Grazie ad un finanziamento della Regione Siciliana e all’acquisto della vecchia stazione ferroviaria di Buonfornello, attualmente in disuso, la Battaglia avrà presto il suo museo, in cui saranno esposti i reperti, ora conservati, ma non esposti al pubblico, all’interno dell’Albergo delle Povere di Palermo.
La battaglia ebbe un diverso impatto nella Sicilia greca e a Cartagine: grazie alla disponibilità di schiavi, con la relativa manodopera a basso costo, e di bottino, Akragras e Siracusa ebbero un boom economico, sia per l’effetto di grandi lavori pubblici, sia per l’aumentata produttività agricola.
A Cartagine, la sconfitta di Imera indebolì il potere monarchico a vantaggio del Senato, del Tribunale dei 104 e dei suffeti, trasformando lo stato in una repubblica di fatto. I traffici commerciali col Medio Oriente furono tagliati dai Greci in Sicilia e in Magna Grecia. La città allora si concentrò nel commercio navale con l’occidente e nel commercio carovaniero con l’oriente.
Fin qui la storia: poi cominciò la leggenda. Ora, sotto la minaccia di Serse, Atene e Sparta mandarono ambasciate alle città della Magna Grecia e della Sicilia per chiedere aiuti, ma queste, sia perché erano problemi della Madrepatria, sia perché troppo impegnate a scannarsi tra loro, risposero picche, con l’unica eccezione di Faillo di Crotone, di cui ho parlato in un altro post.
Al seguito della vittoria di Platea, i coloni greci, per giustificare il loro menefreghismo, cominciarono a diffondere quantità industriali di balle, anche con l’aiuto di Erodoto. La prima fu la storia dell’ambasciata ateniese e spartana a Siracusa, per chiedere soccorsi
In risposta Gelone offrì di concedere una flotta di 200 triremi e di 20.000 opliti, 2000 cavalieri, 2000 arcieri e 2000 frombolieri, oltre al rifornimento di grano per tutto l’esercito greco per tutta la durata della guerra, solo a patto che gli lasciassero il posto di comando delle operazioni militari panelleniche, o almeno dei soli contingenti navali.
Orbene, fintanto che pretendevi di esercitare il comando su tutta la Grecia, noi Ateniesi ne avevamo abbastanza di starcene zitti, ben sapendo che l’ambasciatore di Sparta sarebbe bastato a tutelare l’interesse di ambedue le città. Ma poiché, vedendoti rifiutare il comando supremo, chiedi quello della flotta, ecco come stanno le cose per te: anche se l’inviato di Sparta ti accordasse questo comando, noi non te lo concederemmo di certo. Esso spetta alla nostra città, almeno se gli Spartani non ne vogliono sapere, poiché, se essi vogliono esercitare il supremo potere, noi non ci opponiamo; ma a nessun altro cederemo il comando della flotta. In tal caso, infatti, sarebbe inutile che noi possedessimo la flotta più numerosa dei Greci, se dovessimo cedere la supremazia ai Siracusani, noi che siamo Ateniesi, che rappresentiamo il popolo più antico; che, soli fra i Greci, non abbiamo mai cambiato paese; quando anche il poeta Omero di uno di noi che s’era recato all’assedio di Ilio, dice che era il più valente nel disporre e ordinare un esercito.
Poi, data la vicinanza temporale della battaglia di Salamina con quella di Himera, si inventarono la balla che Serse e i Cartaginesi avessero stipulato un’alleanza contro i greci di ogni genere e risma. Scrive Diodoro Siculo:
“(Serse) desiderando di destabilizzare il mondo grecò, inviò un’ambasciata ai Cartaginesi al fine di promuovere con loro un accordo nei termini seguenti : egli sarebbe intervenuto militarmente contro i Greci, mentre i Cartaginesi avrebbero approntato, nello stesso tempo un poderoso esercito per debellare i Greci residenti in Sicilia e in Italia”
Benché Aristotele, che a differenza degli altri intellettuali greci, era abbastanza informato sulle vicende cartaginesi, tentasse in ogni modo di smentire questa storia, si impose come presunta verità. Anche perchè i siciliano avevano uno straordinario press agent, chiamato Pindaro. Nella Pitica I, dedicata a Gerone di Siracusa, scrisse
…[a Platea] dove penarono i Medi dagli archi ricurvi,
e presso la riva dell’Imera
dalle limpide acque dirò l’inno
compiuto per i figli di Dinòmene,
tributo alla loro virtù
per cui penarono i nemici
mentre per Terone, nell’Olimpica II
Agrigento
è la meta, e diremo alte
con cuore sincero parole giurate:
non partorì in un secolo questa città
uomo di pensieri premurosi,
di mano munifica verso gli amici
più di Théron. Ma alla lode s’attacca un fastidio
compagno non di giustizia ma frutto d’uomini vili
e bramoso che il molto parlare
avvolga di tenebra le opere belle
dei grandi. Perché – la sabbia sfugge al numero:
e lui, quante gioie donò ad altri
chi potrà mai dire?
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