Gelone di Siracusa

Gelone, dopo il suo colpo di stato a Gela, si trovò in una situazione politica assai complicata, dovuta a due fattori: il primo, l’ammutinamento di parte delle sue truppe, probabilmente istigato dal suo rivale Enesidemo, che accusandolo di aver liquidato la discendenza del procedente tiranno Ippocrate, proclamarono la secessione della polis di Camarina, nei pressi della nostra Ragusa.

Nel tentativo di riprendere il controllo della città, Gelone provò a imporre come tiranno vicario, imitando quando fatto da Ippocrate Glauco di Caristo: mossa che si risolse in un fallimento, dato che i mercenari, alla prima occasione utile, si ribellarono, uccidendo Glauco.

Il secondo, l’attivismo di Anassilao di Rhegion, che approfittando della crisi, espanse il suo dominio sullo Stretto, occupando Zancle, la nostra Messina: lo scontro è attestato da una dedica posta su uno schiniere e su un elmo rinvenuti a Olimpia, in cui i Reggini si vantano di una vittoria sui Geloi. Dinanzi a tale caos, Gelone, si mosse con grande abilità politica, nel tentativo di consolidare il suo traballante potere.

Per prima cosa, strinse un patto matrimoniale con Terone, anch’egli impegnato a consolidare il suo potere su Akragas, in modo da fare fronte comune contro l’attivismo di Rhegion, spartirsi le aree di influenza nella Sicilia centrale e mettere provvisoriamente a tacere le rivalità

Poi, in qualche modo, cercò di crearsi uno spazio di manovra politico commerciale nel Tirreno, a scapito di Cartaginesi ed Etruschi: per questo, decise di sfruttare il ventre molle dell’alleanza nemica, ossia Roma, sempre sconquassata dalle faide familiari tra i vari rami dei Tarquini. Gelone appoggiò nel 492, la fazione che sembrava vincente, spedendo a titolo gratuito venticinquemila medimni di grano (circa 984 tonnellate di derrate alimentari) in aiuto dell’Urbe, in difficoltà per un’improvvisa carestia. Gelone in cambio dell’aiuto, intendeva assicurarsi una serie di facilitazioni commerciali per i suoi mercanti, la neutralità di Roma sia in caso di guerra con Cartagine, con cui la città era alleata per il trattato del 509, sia in caso di azioni militari a supporto di Cuma contro le polis etrusche in Campania.

Tentativo che però falli per colpa dell’evoluzione della politica interna romana: i tyrannos che, come Valerio Publicola, sostituirono i rami cadetti dei Tarquini nell’Urbe, basavano il potere sui loro “sodales”, armati sino ai denti, piuttosto che sull’alleanza con i ceti mercantili. Il che portò Roma a disimpegnarsi progressivamente dal Tirreno e a concentrarsi nel tentativo di rafforzare la sua egemonia nel Latium Vetus.

In parallelo, in una strategia di costruzione del consenso rivolta sia all’interno, sia alle altre polis greche: da una parte, ottenne un’importante vittoria con la quadriga ai giochi panellenici di Olimpia. La vittoria, avvenuta nel 488 a.C., è riportata da Pausania, il quale attesta che per commemorare quella vittoria Gelone fece costruire una quadriga di bronzo da dedicare agli dèi. La dedica riporta:

“Gelone, figlio di Dinomene di Gela [mi] ha dedicato a Zeus. Glaucia di Egina [mi] fece”.

A questo periodo risale il mecenatismo di Gelone, che accoglie alla sua corte artisti e poeti perché propaghino nel mondo ellenico la fama della sua polis, benché, a quanto pare, lui fosse analfabeta. A riprova di questo, il gran pettegolo di Erodoto racconta

Un giorno a un raduno conviviale dove Gelone era presente, la lira fu passata in tondo, e gli ospiti cantarono e la suonarono in turno. La bravura di Gelone era in altri campi; quando giunse il suo turno per la lira, andò a prendere il suo cavallo e mostrò agli ospiti come poteva balzare dolcemente sulla sua schiena

Questo attivismo, però, mise Gelone in contrasto con Cartagine: la città punica non aveva nulla in contrario al fatto che i greci di Sicilia si riunissero in un unico stato, in fondo era meglio avere a che fare con un unico interlocutore affidabile, che con una decina in continua lite tra loro, ma questo non doveva entrare in concorrenza con i suoi interessi commerciali. Condizione che Gelone, come descritto per la questione Roma, non intendeva rispettare.

Ciò portò alla cosiddetta guerra degli emporia, databile tra il 490 e il 480 a.C. Il casus belli di tale conflitto fu la spedizione africana, del lacedemone Dorieo, fratello di Leonida, sì, proprio quello delle Termopili. Nonostante quello che si insegna a scuola, Sparta, come le altre polis greche, tentò più volte di fondare colonie in giro per il Mediterraneo, nel tentativo di scaricare altrove i suoi scontenti. Solo che, con l’unica eccezione di Taranto, per una serie di sfighe, questi tentativi si conclusero sempre in clamorosi fallimenti.

Intorno al 510 a.C. Dorieo tentò di fondare una colonia a Cinipe, nei pressi di Leptis Magna, in Libia. A essere fertile, il territorio lo era: il problema è che Cartagine non gradì avere emigranti spartani nel proprio cortile di case e li cacciò a pedate. Dorieo non si perse d’animo e presi armi e bagagli, usando come giustificazione delle sue azioni il mito degli Eraclidi, ossia del ritorno dei discendenti di Eracle nei loro presunti territori di proprietà del semidio, si recò nell’area di Drepanon, la nostra Trapani, dove fondò la città di Eraclea. Drepanon però era nell’area della Sicilia di influenza cartaginese; in più gli spartani cominciarono a sottrarre terreni fertili agli Elimi di Segesta. Così, Punici e aborigeni siciliani dichiararono guerra ai nuovo coloni, i quali chiesero aiuto ad Akragas e a Gela.

Sull’andamento di questa guerra, ahimè sappiamo ben poco: buona parte delle polis siciliane, che non volevano mettere a rischio i loro commerci con Cartagine per colpa dei nuovi arrivati, si mantenne neutrale. Alla fine vinsero i Cartaginesi ed Eraclea fu distrutta. E’ possibile che Gelone abbia chiesto aiuto a Sparta, ma questa abbia risposto picche.

Secondo Erodoto, quando gli spartani chiesero aiuto a Gelone contro i persiani, questi risposte

Uomini di Grecia, con parole arroganti avete osato invitarmi ad allearmi con voi contro il Barbaro. Ma voi stessi quando io, tempo fa, vi pregavo di attaccare insieme con me l’esercito dei Barbari, nella guerra che avevo ingaggiata contro i Cartaginesi, e vi scongiuravo di vendicare la morte di Dorieo, figlio di Anassandrida, ucciso dagli Egestani, e vi proponevo di aiutarmi a liberare gli scali commerciali, dai quali voi avete ricavato grandi utili e vantaggi, voi non veniste né per riguardo a me a portarmi aiuto, né per vendicare l’uccisione di Dorieo; e, per quanto sta in voi, tutto ciò sarebbe ancora in mano dei Barbari.

Nel frattempo, però, Gelone, ottenne il più grande risultato politico della sua carriera, la conquista del potere a Siracusa, cosa che non era riuscita al predecessore Ippocrate. La crisi politica della polis siciliana, nata dal contrasto tra i ricchi proprietari terrieri e gli altri ceti produttivi, non si era conclusa con la cacciata dei primi a Casmene.

Benchè Siracusa avesse varato una costituzione democratica moderata, i contrasti tra mercanti, artigiani e braccianti l’avevano di fatto paralizzata, facendo rischiare da un giorno all’altro l’ennesima guerra civile. Gelone, a differenza di Ippocrate, non si presentò come conquistatore, ma come mediatore tra le parti. Per cui, cercò di realizzare un compromesso tra i diversi interessi in gioco. Fece ritornare in città i proprietari terrieri spediti in esilio un decennio prima, varando al contempo una riforma agraria, che assegnava lotti di terra ai braccianti.

Al contempo, per dare voce agli interessi dei commercianti e degli artigiani, affiancò al suo governo, con un ruolo e una composizione che gli storici hanno difficoltà a delineare, ma che dovette soddisfare i contemporanei, un’ecclesia, un’assemblea popolare.

Il controllo di Siracusa ebbe due impatti nella politica di Gelone: da una parte Gela fu marginalizzata, negli interessi del tiranno, tanto che il suo governo fu affidato al fratello Gerone, dall’altra gli fece riprendere in grande stile la politica espansionistica di Ippocrate.

Per prima, avendone il dente avvelenato, risolse radicalmente la questione Camarina: la polis fu conquistata, rasa al suolo e sui abitanti deportati a Siracusa. Successivamente, con incentivi fiscali, fece migrare metà della cittadinanza di Gela a Siracusa, probabilmente per garantirsi con le proprie clientele il controllo dell’Ecclesia, e conquistò le polis di Megara Iblea e di Eubea (Licodia Eubea), che ebbero un destino analogo a Camarina.

Gelone estese così il proprio potere in tutta la parte sud-orientale della Sicilia, con Naxos come limite a nord: la trasformazione di Siracusa nel polo demografico della Sicilia, permise a Gelone anche di diluire i contrasti etnici esistenti nella città, facendo perdere al contempo il ruolo dominante dei grandi proprietari terrieri, che si trovarono così in minoranza numerica nell’ecclesia.

Per completare questo processo di riorganizzazione territoriale e demografico della città, Gelone legò a sé i mercenari dando loro la cittadinanza – ed erano più di 10.000, secondo la testimonianza di Diodoro Siculo.

La vittoria di Himera, di cui ho parlato in un altro post, fu il tassello finale della politica di Gelone, rafforzando l’egemonia siracusana. Per prima cosa, permise la realizzazione di uno spazio economico comune tra le polis siciliane, che adottarono una coniazione e un sistema ponderale basato su quello siracusano.

Poi, il bottino permise di lanciare un programma keynesiano di lavori pubblici, a supporto dei ceti più poveri della polis: a Siracusa, ad opera dell’architetto Damocopo, fece costruire il teatro, cosa che favorì la permanenza nella città del commediografo Epicarmo e del drammaturgo Formide, che, con le loro opere, svolsero il ruolo di press agent del tiranno.

Memore delle tradizioni famigliari e del suo ruolo sacrale, vicino al teatro Gelone face inoltre costruire il tempio di Demetra e Kore, anche come segnale di apertura e integrazione con l’elemento indigeno. Queste opere furono realizzate nel nuovo quartiere della città detto Neapolis, al centro di un rilevante sviluppo urbanistico.

In onore alla vittoria contro Imera fece erigere nella città della vittoria il tempio della Vittoria, costruendo poi un tempio gemello dedicandolo alla dea Athena e l’acquedotto Galermi con l’ausilio di schiavi cartaginesi. Avviò anche la costruzione di un tempio a Demetra sull’Etna, che rimase però incompiuto.

Infine, per tenere a bada le ambizione di Rhegion, inaugurò la politica di indirect rule di Siracusa in Calabria, incentrata sull’alleanza con Locri; per celebrare questo patto, face edificare un santuario ad Amaltea, nei pressi di Ipponio, in Calabria, sempre dedicato a Demetra e Kore.

Gelone morì nel 478 o nel 477 a.C.: Plutarco (Moralia, 404) scrive che la causa del decesso fu l’idropisia. Memore delle vicende di Ippocrate, però, il tiranno cercò di gestire al meglio la sua successione: tradizione vuole che sul letto di morte nominasse suo successore il fratello Ierone, affidando all’altro fratello Polizelo (che sarebbe divenuto signore di Gela) il figlio e la moglie Demarete, oltre ad una non meglio specificata strateghìa.

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