Ultimamente, la fantascienza italiana si sta confrontando sempre di più con la sfida intellettuale e narrativa del Solarpunk. Per chi non lo conoscesse, questo movimento culturale e artistico, utilizzando una definizione vaga e sotto tanti aspetti imprecisa promuove una visione ottimista e progressista del futuro, in cui le nuove tecnologie e l’utilizzo diffuso delle energie rinnovabili permettono l’implementazione di nuovi modelli sociali, basati sull’equilibrio tra Natura e Cultura.
Il termine “solarpunk” è stato coniato su Internet ed è stato utilizzato per la prima volta nel 2008, diffondendosi inizialmente in blog e discussioni on-line. È diventato però popolare solo negli anni successivi, in particolare dopo la pubblicazione nel 2011 di Innovation Starvation, un articolo dello scrittore di fantascienza Neal Stephenson nel quale viene criticata la situazione di stallo in cui si trova la scienza moderna; devo confessare, che l’impressione che ho avuto, leggendo l’articolo è che Stephenson abbia una visione molto settoriale e ridotta di come siamo messi dal punto di vista tecnologico e scientifico. E’ vero, in alcuni campi siamo in ritardo nel realizzare i sogni ingenui della fantascienza classica: ma in altri, invece, molto più importanti nel quotidiano, penso alla telco, al cloud, all’intelligenza artificiale allo stesso quantum computing, siamo molto più avanti rispetto alle previsioni degli anni Sessanta, dato che queste tecnologie cambiano in maniera esponenziale il nostro quotidiano. Il fatto che non ce ne rendiamo conto, dimostra la capacità di resilienza psicologica dell’essere umano.
Tornando a Innovation Starvation, Stephenson sottolinea come la mancanza di iniziativa da parte della società, soprattutto nel campo delle energie rinnovabili, si sia progressivamente riflessa anche nella letteratura fantascientifica degli ultimi anni, sempre più caratterizzata da visioni distopiche e pessimiste. Lo scrittore parla inoltre della Hieroglyph Theory, termine coniato durante un evento a cui aveva preso parte, che sostiene che i concetti scientifici alla base delle grandi storie di fantascienza del secolo scorso, ad esempio i robot di Isaac Asimov o il cyberspazio di William Gibson, abbiano svolto un ruolo importante nel progresso scientifico in passato, poiché presentavano innovazioni tecnologiche con una logica interna che hanno influenzato la comunità scientifica dell’epoca.
Da marxista, qualche dubbio, ce l’ho su questa interpretazione: soprattutto Gibson, ha contribuito a creare e diffondere il linguaggio tecnico che oggi usiamo comunemente nell’informatica, però questo è stato effetto, non causa dei cambiamenti della Struttura. Ogni nuova forma che assume il sistema di produzione capitalista, provoca la nascita di un’ideologia formale che ne garantisce la legittimità. La fantascienza classica era conseguenza della terza industrializzazione, la transistor and chip economy, mentre il cyberpunk della quarta, quella che sarebbe diventata l’internet economy. A loro volta, le visioni distopiche sono frutto di un periodo di crisi e di ristrutturazione del capitalismo, dovuto alla globalizzazione, all’automazione, ai digital twins e alla diffusione dell’intelligenza artificiale, che dura da fine anni Novanta.
Dato che sospetto che parlare di zio Karl Marx in America, sia come bestemmiare in chiesa, le tesi di Stephenson, che, ribadisco, nascono da una rappresentazione parziale della Struttura e invertono causa ed effetto, ebbero subito successo, tanto che il suo articolo ha ispirato nel 2011 il progetto Hieroglyph, in collaborazione con la Arizona State University, che si pone come obiettivo la pubblicazione di storie di fantascienza più ottimiste, in modo da poter ispirare e indirizzare la comunità scientifica verso le tecnologie ecosostenibili.
Nel 2012 viene pubblicata in Brasile la prima antologia di storie solarpunk, Solarpunk: Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável di Gerson Lodi-Ribeiro. Nel 2014 è stato pubblicata la prima raccolta di racconti nell’ambito del progetto, con il titolo Hieroglyph: Stories and Visions for a Better Future. Nel settembre dello stesso anno Adam Flynn ha pubblicato l’articolo Solarpunk: Notes toward a manifesto sul sito del progetto Hieroglyph, descrivendo le caratteristiche principali del movimento. In Italia, con un poco di ritardo, nel 2020 cominciano ad apparire le prime antologie Solarpunk: Come ho imparato ad amare il futuro, a cura di Fabio Fernandes e Francesco Verso e Assalto al sole. La prima antologia solarpunk di autori italiani a cura di Franco Ricciardiello, a cui è seguita da pochi giorni la collana Atlantis di Delos.
Citando Wikipedia
Il suffisso “-punk” indica in questo caso la ribellione contro il sistema capitalista moderno caratterizzato da oppressione delle minoranze etniche e di genere, sessismo, eternormatività, sfruttamento delle classi lavoratrici, individualismo, maltrattamento degli animali e politiche contro la salvaguardia dell’ambiente. Il prefisso “solar”, invece, fa riferimento all’energia solare, una fonte di energia sostenibile, presente in abbondanza e accessibile a tutti, ma anche alla luce e al calore, elementi che vengono spesso associati, nelle opere appartenenti al genere, alla vita, alla rinascita e al senso di comunità.
Ovviamente, il movimento non si limita allo scrivere romanzi basati “sul pannelli solari, meno petrolio”, ma a proporre una narrazione incentrata sullo sviluppo di una società equa e accessibile per tutti, dove ogni minoranza è riconosciuta e rappresentata, in un’ottica propositiva, orientata al mutamento della società: il bieco marxista che in me, tenderebbe a definire il tutto come una giustificazione ideologica della “green economy”, con tutte le sue contraddizioni e il nascondere i problemi sotto il tappeto, ma sarebbe limitativo.
In verità, nonostante goda dell’ingiusta fama di avere una posizione critica nei confronti del solarpunk, io non ho nulla contro tale movimento. Anzi, sino ad oggi, sto apprezzando moltissimo le opere degli autori italiani, che più o meno sono riusciti a non cadere nella tentazione della facile morale e della lezioncina sul come essere più bravi, buoni ed ecologici.
Le mie perplessità, per quel poco che valgono, sono come dire, di tipo terminologico e filosofico. Ora definire cosa sia stato il punk è un’impresa improba, dato in quel movimento c’era tutto e il contrario di tutto: però, nel mio piccolo, sospetto che tutte le sue differenti declinazioni erano accomunate dall’essere anti anti sistema, individualista, anti ideologico e nichilista. Posizioni che più o meno direttamente, erano migrate nel primo cyberpunk, in cui le storie, prigioniere di un eterno presente, escludevano il divenire, quindi qualsiasi mutamento sociale, i cui personaggi, tratti dall’hard boiled, erano degli sconfitti dalla vita e schiacciati dal peso di esistere, in cui ribellismo era fine a se stesso e in cui la tecnologia, a differenza del transumanesimo, non aveva nessun valore salvifico.
Con La Macchina della Realtà di William Gibson e Bruce Sterling, che in fondo era solo un tentativo ironico di spostare le problematiche del ciberpunk all’età vittoriana, nasce lo steampunk: ma un contesto diverso, ha generato una narrazione differente. I problemi ottocenteschi, la globalizzazione, la Singolarità provocata dalla Prima Rivoluzione Industriale, l’Imperialismo, il razzismo implicito nel “fardello dell’uomo bianco”, la crisi del proletariato, erano potenti metafore della nostra società attuale, che gli scrittori del genere, più o meno implicitamente, hanno utilizzato. Per cui, il punk ha perso il suo valore semantico originale, per trasformarsi in un suffisso generico, per identificare il retrofuturismo. Lo stesso discorso vale per il Peplumpunk, che rappresenta il postmoderno liquido e multiculturale con le contraddizione della società greco romana.
Il Solarpunk, con la sua dimensione consolatoria, è l’estremo annacquamento del punk, che i Sex Pistols non avrebbero compreso. Tra l’altro, in un periodo di crisi come l’attuale, sono il primo a considerare come utile una fantascienza consolatoria ed utopica, però per mio gusto personale e formazione culturale, avrei difficoltà a scriverla.
Badate bene, con consolatoria non vuol dire, fantascienza con lieto fine e in cui tutto andrà bene, perché sarebbe riduttivo e ingiusto nei confronti del Solarpunk. La dimensione consolatoria di tale nasce invece da altri due fattori: l’affermazione della centralità dell’Uomo nell’Universo, con l’illusione che le sue scelte possano avere un impatto globale sul Reale e il ruolo salvifico della tecnica, cosa che, in fondo, è l’estremizzazione del pensiero positivista di Comte.
Sulla centralità dell’Uomo nell’Universo, purtroppo, io la penso come Leopardi. Il nostro ruolo di bipedi implumi, con i suoi successi e fallimenti, è estremamente sopravvalutato, in un’ottica cosmologica. Come dice bene la Natura all’Islandese
Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.
Non costruiamo una società migliore per salvare la Terra, in fondo la sua biosfera è sopravvissuta a parecchie estinzioni di massa e la nostra non farà differenza, ma per sopravvivere a una Natura matrigna. Se non ci riusciremo, l’Universo rimarrà indifferente.
E soprattutto, come diceva Emanuele Severino, la Tecnologia non ha un valore salvifico, ma è uno sorta di Leviatano, che si autoalimenta. Per citare un saggio sul tema di Christian Fuschetto
Gli strumenti di cui l’uomo dispone – scrive Severino – hanno la tendenza a trasformare la propria natura. Da mezzi tendono a diventare scopi. Oggi questo fenomeno ha raggiunto la sua forma più radicale. L’insieme degli strumenti delle società avanzate diventa lo scopo fondamentale di queste società. Nel senso che esse mirano soprattutto ad accrescere la potenza dei propri strumenti. Già gli antichi sapevano che se lo scopo della ricchezza è di vivere bene, può però anche accadere che come scopo della vita ci si proponga la ricchezza. In questo modo la ricchezza, che inizialmente funziona come mezzo, strumento, diventa scopo, fine» (p. 38). La tecnica, come la ricchezza per l’uomo dissennato, perde dunque per l’uomo del XX e del XXI secolo la sua natura “strumentale” e diventa lo scopo di ogni suo agire. Ogni progetto, ogni politica, ogni speranza, dice il filosofo bresciano, può oggi acquistare un senso solo al cospetto dell’“Apparato tecnico-scientifico”, vale a dire dell’integrazione tra campi tutti i campi del sapere in nome della scienza e della tecnologia. «Capitalismo e socialismo reali (e anche il cristianesimo e la democrazia liberale) intendono certamente assegnare i propri scopi all’Apparato: e da parte sua la scienza dichiara ancora di non poter essere che neutrale rispetto ai propri fini. Ma l’efficacia dell’Apparato non è determinata dal fine assegnatogli. Qualunque possa essere il fine assegnato dall’esterno all’Apparato, quest’ultimo possiede di per sé stesso un fine supremo: quello di riprodursi e di accrescere indefinitamente la propria capacità di realizzare fini» (p. 40). La tendenza del nostro tempo è quella per cui la tecnica non è più chiamata a servire l’ideologia del profitto, dell’amore cristiano, della società degli eguali, e così via, ma è quella per cui l’organizzazione ideologica della tecnica lascia sempre di più il passo alla sua organizzazione scientifico-tecnologica. L’Apparato, suggerisce Severino, diventa la forma suprema dell’agire; di più: diventa la forma entro cui ogni azione umana appare possibile e sensata. Ciò perché l’Apparato assume contorni “gloriosi”: «Dire che l’Apparato scientifico-tecnologico subordina a sé tutte le forme di potenza apparse lungo la storia dell’uomo, significa dunque dire che la potenza della scienza ottiene un riconoscimento sociale che non è più ottenuto dalla magia, dalla religione, dalla politica, ecc. Ma anche per la scienza moderna la potenza sul mondo esiste solo se la totalità dei gruppi umani riconosce l’esistenza di tale potenza. La scienza è inseparabile dalla propria “gloria”» (p. 76).
La dimensione “gloriosa” della scienza è tuttavia solo il portato di una preliminare ermeneutica dell’essere. Alla base della volontà di potenza di cui l’Apparato si farebbe latore c’è un’ulteriore e più essenziale volontà, vale a dire una volontà interpretante, «ossia la volontà che decide che una certa configurazione del mondo sia la potenza, il dominio, il successo della scienza e delle altre forze che si contendono il mondo. La scienza – precisa Severino – vuole il dominio , non solo nel senso più familiare che il dominio è lo scopo che la scienza vuole realizzare, ma anche in un senso estremamente più radicale e più nascosto: nel senso appunto che è la stessa volontà di potenza a volere che il dato al quale conduce l’agire scientifico sia la realizzazione degli scopi che tale agire si propone» (p. 78). Per dirla in altri termini, la scienza non solo aspirerebbe al dominio dell’ente ma deciderebbe al contempo in cosa effettivamente tale dominio consista. Per questo il tempo che viviamo è «il tempo che ha fede nella potenza della scienza», perché è il tempo animato da un’etica strutturata dalla scienza, un’etica cioè voluta dalla scienza (i più si illudono invece di pensare l’etica della scienza come se il genitivo in questione potesse essere inteso in senso soggettivo), un’etica cioè al cui fondamento non c’è nient’altro che la volontà di dare al mondo il senso voluto dall’Apparato.
La riflessione di Severino tocca a questo punto quello che è forse il nucleo centrale non solo del testo ma della sua intera impresa filosofica, vale a dire la questione dell’essere e del divenire, degli enti e del niente. «La riflessione greca sul senso dell’essere e del niente, cioè l’ontologia, è lo spessore che dà significato al linguaggio e alla pratica della scienza» (p. 84). Come è noto, secondo il filosofo la riflessione greca sarebbe all’origine del Nichilismo, anzi, all’origine «dell’Occidente come storia del Nichilismo» (un intero saggio del volume, tra i più utili, è dedicato all’analisi di questa storia: pp. 167-185) ci sarebbe la fede (greca) nell’esistenza del divenire del mondo: «La volontà di potenza dell’Occidente, che culmina nella volontà di potenza dell’Apparato scientifico-tecnologico, raggiunge la radicalità estrema, perché è il senso greco del divenire a raggiungere la radicalità estrema» (ibid.)
La tecnica e la scienza non salveranno la Natura, ma la ingloberanno: quando questo processo sarà terminato, avverrà la Singolarità.