
I Normanni, dopo un fallito assedio a Balarm del 1064, in cui fecero una figura alquanto meschina, ritentarono l’impresa nel 1071, utilizzando molti più soldati e sfruttando l’alleanza con la flotta pisana, che impose una sorta di blocco navale alla città.
Le truppe di Roberto il Guiscardo si accamparono nella pianura alluvionale sud – orientale della costa, porta d’accesso alla città provenendo da est, contraddistinta dal Dattereto prossimo al fiume Oreto, dove sorgerà il Ponte dell’Ammiraglio e al ribat di Yahya, il nostro San Giovanni dei Lebbrosi.
Essendo le cronache di Monte Cassino alquanto confuse e di parte, non sappiamo di preciso l’esatta sequenza degli eventi: sappiamo che la conquista del vecchio Castrum bizantino fu alquanto complicata, tanto che il Guiscardo, con un bieco trucco dovette prima occupare la Kalsa, entrando di soppiatto nella Porta della Vittoria, “Bab-al Futuh” ancora conservata dentro l’Oratorio dei Bianchi; questo però non fu sufficiente a concedere loro la vittoria, tanto che per ottenere la resa di Balarm furono costretti a lunghi ed estenuanti trattative con il consiglio elettivo dei notabili, accettando di conservare le leggi locali e il culto dell’Islam
I racconti delle trattative ci permettono di evidenziare come, come il castrum arabo bizantino, non fosse costituito da un unico edificio, ma fosse in realtà suddiviso in due distinte sezioni: il Castrum superius o Palatium novum posto sull’altura, la cittadella militare del Mo’Haschar, probabilmente un ampliamento realizzato durante il periodo aglabide, sia come ulteriore protezione dagli attacchi nemici, sia come rifugio nel caso delle frequenti rivolte nella turbolenta città e il o Palatium vetus ubicato a valle, che era sede della corte e dell’amministrazione araba prima del trasferimento della Kalsa, che aveva una funzione, come dire, più residenziale.
Ovviamente, gli Altavilla, si stabilirono nel Palatium Vetus, mentre fu posta una guarnigione nel Novus e per soddisfare le necessità religiose dei suoi soldati, il Guiscardo, fondò la cappella di Santa Maria in Gerusalemme, tradizionalmente identificata con la chiesa inferiore della Cappella Palatina.
Gli scavi del 2004 eseguiti dall’Università di Berlino e di Basilea, che ha permesso di identificare vestigia dell’età islamica, in corrispondenza proprio della chiesa inferiore, ha complicato, più semplificare la vita agli studiosi.
Per cui, si ipotizza, tra diverse polemiche, alcune basate anche su argomenti fondati, che il Guiscardo si sia limitato a riadattare una moschea precedente, oppure una sorta di sala delle udienze. E’ possibile che la chiesa fosse gestita da monaci basiliani, che dettarono le specifiche del suo progetto iniziale, con il peculiare orientamento, che si attesta ad est-nord-est verso l’abside e ovest-sud-ovest verso l’ingresso (come a S. Giovanni dei Lebbrosi, alle Cattedrali di Palermo, Catania e Monreale, al duomo di Naro, S. Giuliano di Erice), indica che l’edificio venne impiantato, dopo la conquista di Palermo avvenuta nel 1072, secondo canoni bizantini collegati al concetto solstiziale del “Nuovo Sole che sorge” (Cristo Gesù) e del Precursore (Giovanni Battista) che innanzi a lui recede
Lo sfalsamento rispetto al generico asse est-ovest (utilizzato per esempio alla Trinità di Castelvetrano o a S. Pietro di Itàla), è determinato dalla necessità di orientare l’abside verso il punto di levata del sole nel giorno del solstizio d’estate e la porta d’ingresso, che svolge le funzioni di Janua Coeli (a rappresentare Cristo, unica porta attraverso la quale si accede al Padre), in faccia al punto di tramonto del sole nel solstizio d’inverno (schema). Le ricorrenze del dies natalis del Battista (24 giugno) e di Cristo Gesù (25 dicembre) sono infatti collocate nel calendario in prossimità dei solstizi estivo ed invernale in posizione simmetrica e sfalsata d’un semestre.
Appena il Guiscardo tornò in Calabria, il gran Conte Ruggero edificò la Torre Greca, ispirata ai donjons normanni, un torrione in pietra, a pianta quadrata o rettangolare, a tre piani e altezza variabile (15-20m) e con spessore dei muri che diminuisce gradatamente verso l’alto. I solai in pietra erano spesso voltati (a crociera o a botte); l’accesso al castello avveniva al primo piano mediante un ponte levatoio per ovvie ragioni di sicurezza e la sommità dei muri presentava un coronamento merlato.
Il donjon aveva duplice funzione: difensiva e residenziale. Ruggero, non fidandosi degli arabi locali, per costruire il suo donjon palermitano impiegò architetti e muratori greci, da cui il nome della torre, fatti venire appositamente dalla Calabria, che utilizzarono per costruirla i mattoni rossi tipici della tradizione edilizia bizantina. Torre che nel 1550 il viceré di Sicilia Juan de Vega demolì e ricostruì in forme differenti.
Al contempo, ampliò e ristrutturò il Palatium Novus e nel parco che divideva le due strutture, fece erigere la Zecca, i laboratori di oreficeria ed il Tiraz, l’opificio per la manifattura di stoffe preziose, così descritta dal Falcando, nel 1190
Né conviene tacere delle nobili officine attigue al Palazzo, ove il filo serico colorito in matasse di vario colore viene poi impiegato nelle molteplici specie del tessere. Vi puoi infatti vedere come vengono eseguite con minor perizia e minor costo amita, dimita e trimita; ma anche le examita, che richiedono un maggior impiego di materia prima. Il diarhodon riverbera nel viso il fulgore del fuoco. Il diapiston, di color verdolino, blandisce gli occhi di chi guarda con la sua grata apparenza. Qui si producono gli exarentasmata, resi insigni dalla varietà dei cerchi, che richiedono agli artefici una maggiore industria e un più largo impiego di materiali, e che perciò meritano un maggior prezzo. Vi si vedono ancora molte altre cose di vario colore e ornati di vario genere, in cui l’oro si intesse con la seta, e la varietà di pitture multiformi viene posta in risalto da gemme lucenti; le perle vengono raccolte dentro ciste d’oro, o perforate e connesse con l’esile filo. L’elegante arte nel disporle accrese la bellezza dell’opera dipinta
Il prodotto più celebre di tale officina è il mantello dell’incoronazione di Ruggero II, Il mantello è in seta rossa di ampie dimensioni (345 x 146 cm.) e il colore rosso di fondo è stato ottenuto non dalla porpora, ma dal “chermes”, il colore ottenuto dalle cocciniglie, che una volta si utilizzava per l alchermes, liquore che sospetto essere ancora uno dei pochi che usa e gradisce e che viene utilizzato per la crema reggina.
Il tessuto del manto è largamente ricoperto da ricami a fili d’oro, smalto e perle , presenta, al centro, una palma in oro stilizzato che simboleggia “l’albero della vita”, con sette rami; ai lati dell’albero, simmetricamente sono raffigurati due leoni in posizione speculare raffigurati nell’atto di sopraffare due cammelli, già proni sotto gli artigli dei due leoni. I cammelli, fra le zampe dei leoni, rappresenterebbero i sudditi arabi nelle mani del re a cui rimanda il leone, animale araldico degli Altavilla. Sulla testa di ciascun leone è applicata una borchia d’oro di smalto cloisonné, a disegni geometrici, mentre le figure dei nobili animali, dal portamento eretto in contrasto con quello sottomesso dei cammelli, sono tutte bordate da filo d’oro e da due file di minuscole perle d’acqua dolce, che delimitano anche i riccioli delle criniere.
Nel bordo inferiore il manto, è costituito da un fregio ornato d’oro, perle e piccole piastre d’oro e smalto con disegni per lo più geometrici. Un ultima banda corre lungo l’orlo curvilineo del mantello e reca, in caratteri cufici, una iscrizione araba da cui risulta che venne eseguito nell’anno 528 dell’Egira (quindi 1133-34) nella “tiraz” di Palermo. L’iscrizione, dedicata a Ruggero, dice:
Lavoro eseguito nella fiorente officina reale, con felicità e onore, impegno e perfezione, possenza ed efficenza, gradimento e buona sorte, generosità e sublimità, gloria e bellezza, compimento di desideri e speranze, giorni e notti propizie, senza cessazione né rimozione, con onore e cura, vigilanza e difesa, prosperità e integrità, trionfo e capacità, nella Capitale della Sicilia, l’anno 528
Dopo la morte di Ruggero, la regina reggente Adelasia del Vasto e l’erede al trono si trasferirono da Messina. Quando Ruggero II tornò a Palermo, inizialmente si trasferì nel Castello di Maredolce: però, essendo troppo decentrato e periferico, il re cambiò rapidamente, per tornarsene nel castrum bizantino: solo a differenza dei predecessori, decise di stabilirsi nel Palatium Vetus. Di conseguenza, la guarnigione fu trasferita nel Novus, che divenne anche sede degli uffici burocratici.
La ristrutturazione fu abbastanza invasiva: per prima cosa, imitando le architetture religiose calabresi, fu costruita la Cappella Palatina, trasformando la chiesa di Santa Maria di Gerusalemme in nella chiesa inferiore. Il tiraz fu sfrattato e trasferito nel Palatium Novus, e i suoi locali furono inglobati negli appartamenti reali.
Infine, Ruggero II fece costruire un nuovo donjon, che svolgeva il ruolo di caserma delle guardie regie, e di tribunale reale, che si teneva forse nella sala di re Ruggero, e in cui, nell’attuale sala della Rosa dei Venti, esisteva una cappella dedicata alla devozione privata, a differenza della Palatina, utilizzata per le cerimonie pubbliche
Ulteriori modifiche furono eseguite dai suoi successori: Guglielmo I fece decorare la sala del tribunale reale con elementi fitomorfi, zoomorfi ed antropomorfi, che rappresentavano scene di caccia ed emblemi allegorici del potere normanno. Tutto lascia ipotizzare la presenza di tematiche care ai sovrani normanni e a una narrazione simbolica del Genoardo, giardino-paradiso di tradizione islamica. Anche perché questo re subì moltissimo l’influenza della cultura araba diffusa nell’isola e, una volta salito al trono, aggiunse alle sue titolature anche il laqab arabo di al-mustaʿizz bi-llāh («che invoca il potere a Dio»).
Successivamente fece costruire le ali destinate ai servizi degli eunuchi, secondo l’usanza araba, gli appartamenti delle dame di corte, matrone, fanciulle, servitori, l’harem e nella parte settentrionale fu aggregato il «serraglio degli schiavi» e un nuovo donjon, un buen retiro in cui il re poteva dedicarsi alla sue conversazioni con i dotti e gli artisti latini, greci e arabi, la Torre Chirimbì
Infine, fece costruire l’Aula Regia, anche questa demolita come la Torre Greca e Chirimbì, che però riusciamo a ricostruire grazie al racconto del viaggiatore arabo Ibn Giubayr
Stavamo per entrare in città [Palermo] quando fummo fermati e condotti alla porta vicino ai palazzi del re. Fummo condotti davanti al mustakhlaf (forse un vicecomes) così che potesse chiedere dello scopo del nostro viaggio perché questa era la loro prassi con ogni straniero. Attraverso spazi aperti, porte e corti reali, ammirammo palazzi con le torri squadrate, giardini e anticamere (? al-maratib) occupate da personale di servizio che abbagliarono i nostri occhi e confusero i nostri pensieri, finché riportarono alla mente le parole di Dio Grande e Potente
Tra le cose che vedemmo c’era una sala (maglis) in una spaziosa corte circondata da un giardino e i lati occupati da colonnati (balatat). La sala occupava l’intera lunghezza della corte e noi ci meravigliammo della sua estensione e dell’altezza delle sue logge. Poi ci fu detto che qui il re pranzava con la sua corte. Questi colonnati e le anticamere sono dove i suoi giudici, gli addetti al suo servizio e gli amministratori siedono in sua presenza
Descrizione che con quella di Petrus de Ebulo poeta mediolatino che tra il 1194 ed il 1197 dedicò a Enrico VI il Liber ad honorem Augusti conosciuto anche come De rebus siculis carmen in cui sono esaltate le imprese dell’imperatore svevo in Sicilia.
I versi narrano di un atrio scoperto denominato teatrum, che dovrebbe essere la sala verde, che precede una domus/aula sostenuta da quaranta colonne:
il teatrum precede l’edificio in pieno sole
al centro del quale la fontana
l’aula poggia su quaranta colonne
ripetute a dieci a dieci
Il testo poetico è poi accompagnato da una serie di immagini colorate, non di fantasia, ma aderenti alla realtà, in quanto l’autore sarà stato a conoscenza dei luoghi di riferimento e dei fatti realmente accaduti. Nella miniatura 97r dello stesso Carmen descrive la malattia e morte di Guglielmo II: vi si leggono una fila di colonne e archi al piano terra ed un’altra al piano elevato, dove le funzione private dei reali sono rese pubbliche.
La parte superiore di questa figura descrive una situazione molto particolare: vi è “esposta” l’agonia del sovrano e, nella immagine successiva, la morte dello stesso sovrano come si addice ad una figura pubblica. Nelle arcate inferiori è rappresentata tutta la comunità del palazzo: famigli, conti, baroni e signori della Curia ben distinguibili nei loro abbigliamenti. Alla destra della miniatura sono raffigurate il campanile e l’altare della Cappella Palatina. Sul tetto sono poste delle torri con dei trabucchi disarmati
Guglielmo II, invece, dopo avere trasformato provvisoriamente Santa Maria in Gerusalemme nel sacello sepolcrale del padre e terminati i restauri per l’incendio causato dalla rivolta di Matteo Bondello, fece costrire l’ultimo donjon del Palazzo dei Normanni, la torre Pisana, il cui nome deriva dal persiano pìshàne (vestibolo, avansala), il cui primo piano era destinato alla custodia del tesoro reale ed ogni angolo della stanza contiene delle recenti giare semisepolte, piano oggi utilizzato come archivio e biblioteca. Il secondo piano di notevole altezza, con le pareti ornate di minuscoli resti di mosaico, volte a crociera, una nicchia decorata con muqarnas, doveva fungere come una sala per udienze riservate.
Poi fece costruire la «Via Coperta», un camminamento protetto che dalla Torre Pisana e la Sala Verde attraverso la contrada della Guilla conduceva al primitivo Palazzo Arcivescovile con meta finale la cattedrale metropolitana primaziale della Santa Vergine Maria Assunta e un impianto termale, un grosso hamman, dove adesso sorge l’ingresso al percorso museale del Palazzo dei Normanni.
Per cui, a differenza di oggi, chi si avvicinava al complesso dalla città, cioè da oriente, vedeva a sinistra la torre Greca e forse il presbiterio della cappella Palatina costruita su una collina, e circa sessanta-ottanta metri più a Nord, cioè a destra, la Joaria con la stanza di re Ruggero e la massiccia torre Pisana: di fatto, l’aspetto originale del Palazzo dei Normanni, prima delle demolizioni e ricostruzioni barocche, era costituito due complessi paralleli, ognuno formato due torrioni uniti da massicci camminamenti. I due complessi, che riprendevano l’articolazione tra Palatium Vetus e Novus, erano separati da un cortile, creando un edificio a forma di U.
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