
L’impatto degli studenti con l’Universitas, con tutte le sue consuetudini, era senza dubbio traumatico: per cui, per facilitarne l’inserimento in quel mondo bizzarro dei rudes, le matricole dell’epoca, già nel Medioevo esistevano le “Guide dello Studente”, di certo più comprensibile ed efficaci delle nostre, che, almeno ai miei tempi, erano dei volumi ingombranti, confusionari e ben poco leggibili.
Gli autori di queste guide erano i tuttologhi dell’epoca, i maestri dell’ars dictandi, ossia gli specialisti nello scrivere epistole, figura professionale necessaria in una società tanto strutturata e formale, quanto analfabeta.
Questa attività era in genere affidata al dictator, una figura colta che scriveva per incarico ufficiale tali lettere, generalmente redatte nelle cancellerie papali e laiche. Per facilitare i compiti del dictator furono elaborati dei modelli fittizi di epistole, a seconda del grado di importanza dei destinatari, nei quali si raggiunse la massima eleganza stilistica grazie anche al cursus.
Successivamente furono elaborati anche consigli teorici relativi all’ornamento retorico e all’armoniosa composizione delle sezioni, dato che l’epistola fu considerata un’orazione e quindi obbligata a rispettarne le norme, consistenti in sezioni sequenziali da inserire, partendo dalla salutatio, continuando con l’exordium e la narratio e terminando con la conclusio.
Nei manuali dell’epoca, che danno un’idea del tipo di pubblico che poteva chiedere i servizi del dictator, oltre ai modelli per richiedere favori ai potenti di turno, sia laici, sia ecclesiastici, appaiono spesso anche quelli per studenti che dovevano scrivere a casa. Le più gettonate riguardavano le richieste di soldi, di vino e di vestiti.
Cosa consigliavano le guide allo studente dell’epoca alle matricole, per laurearsi in tempi ragionevoli ? Per prima cosa come lo studio non fosse un peso, ma un piacere o una dolce fatica. Poi, ognuno dei dictator diceva la sua.
Bonvesin de la Riva, sì, l’autore di quella che è forse la prima guida turistica di Milano, sosteneva che le chiavi della Sapienza fossero cinque: temere Dio, Bonvesin essendo frate terziario dell’Ordine degli Umiliati non poteva non mettercelo, onorare il maestro, ovviamente pagando senza ritardi il suo onorario, leggere senza mai stancarsi, porre domande su cosa non si sa e meditare a fondo su ciò che si è appreso.
Il nostro Boncompagno di Signa, molto più concreto, si limitava a dire che un buon studente doveva avere un minimo d’ingegno, tenacia e buona memoria… Insomma, per una volta non aveva brillato per originalità.
Bono da Lucca, grande erudito e grande donnaiolo, nonostante la sua vita disordinata, più che concentrarsi sulle doti naturali, proponeva un rigoroso metodo di vita, che lui, di certo, non seguiva: in fondo, come diceva mio nonno, bisogna fare quello che il prete dice e non quello che.
Bono suggeriva di smettere di perdere tempo dietro a distrazioni inutili, come gioco e donne, affrontare lo studio con umiltà, applicarsi ogni giorno sui libri, risparmiare soldi, viaggiare, dato che conoscere persone e luoghi nuovi apre la mente più del leggere centinaia di pagine, meditare a lungo e in silenzio, per sviluppare il proprio senso critico, dormire almeno otto ore e mangiare con regolarità, perché uno studente affamato è uno studente demotivato.
Ora, però, leggendo i manuali dell’ars dictandi, oltre alle lettere di minacce dirette dalle famiglie agli studenti perditempo, vi sono anche quelle dei genitori preoccupati per i figli secchioni, che applicavano con troppo entusiasmo i consigli dei manuali: un esempio ce lo da sempre Boncompagno da Signa
Mi dicono, che, contro ogni consuetudine, ti alzi da letto prima del suono della campana per studiare, che sei il primo a entrare a scuola e l’ultimo a uscirne. E dopo, ritornato a casa, ripeti per tutto il giorno ciò che hai appreso a lezione. Pensi continuamente anche mentre mangi, e anche nel sonno sogni discorsi e ripeti le lezioni, muovendo la lingua anche mentre dormi.
Ma dovresti considerare che ogni cosa troppo gonfia è facile a scoppiare e che occorre saper discernere tra il troppo e il troppo poco. La natura li condanna entrambi e pretende moderazione. Molti, infatti, per eccesso di studio, incorrono in malattie incurabili, per le quali alcuni muoiono e altri, disperse le loro essenze umorali, si consumano giorno dopo giorno, il che è ancora peggio.
Altri poi diventano pazzi e trascorrono la loro vita nel riso o nel pianto. Altri si rovinano il nervo ottico da cui passano i raggi visivi e diventano ciechi. Ti supplico, dunque, o figlio, di trovare il giusto mezzo nello studio perché non vorrei che poi qualcuno mi dicesse
“Ho saputo che tuo figlio è ritornato cinto dal serto della scienza”
e io fossi costretto a rispondere
“In verità è diventato dottore, ma per eccesso di studio è morto”
oppure
“è ammalato senza speranza”
oppure
“ha perso la vista”
oppure
“Sì, ma ora è impazzito”.
Insomma, è sempre meglio un asino vivo che un dottore morto !
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