
Nonostante la sua audacia e le sue doti di politico e generale, il tentativo di Agatocle, di creare uno stato unitario dei greci di Occidente, che fungesse da contraltare all’espansionismo di Cartagine e quello, sempre più pressante di Roma, fallì miseramente.
Il siracusano, diciamolo, le provò tutte: da una parte, imitando di gli altri diadochi, per dare una parvenza di legittimità al suo potere, si proclamò basileus, re, cercando di dare una forma istituzionale stabile a quell’accrocco che i contemporanei conoscevano come Arcontato di Sicilia.
Agatocle prese il titolo regale tra il 307 a.C. (per chi sostiene che Diodoro affermi che egli si coronò in Africa) e il 304 a.C. (se si prende come punto di riferimento l’incoronazione del re egizio Tolomeo il cui regno non iniziò prima del 305 a.C.). Il terminus ad quem è invece il 294 a.C. poiché Plutarco nella Vita di Demetrio narra di come il basileus macedone, preso il titolo regale in quell’anno, deridesse tutti gli altri diadochi, tra i quali viene menzionato anche Agatocle, che osarono prendere il titolo di re mentre invece esso spettava solo a suo padre e a lui; si passa quindi, nella scena plutarchea, a sminuire le imprese degli altri basilei e a enfatizzare le loro peculiarità
E si compiaceva [Demetrio] di udire i brindisi a Demetrio re, a Seleuco il guardiano degli elefanti, a Tolemeo il capitano di navi, a Lisimaco il tesoriere, a Agatocle di Sicilia il signore delle isole.
Il che, al di là della battuta, mostrava, assieme ai vari matrimoni dinastici in cui fu coinvolto, come la pretesa dinastica di Agatocle fosse riconosciuta a livello internazionale. Al contempo, provò, nonostante la sua propensione al massacro indiscriminato, a integrare le èlite delle polis siciliane nel governo del suo stato. L’autonomia delle singole città non venne meno del tutto, e, unico monarca ellenista, mantenne alcune magistrature elettive e un’assemblea popolare nella capitale.
Il problema è da una parte, le tendenze centrifughe siciliane erano troppo spinte, dall’altra mancò un suo degno successore. Alla sua morte, probabilmente per cancro, si scatenò il caos. Nessun erede tra quelli che sopravvissero fu fatto salire sul trono siracusano. L’esercito di Agatocle venne sciolto e la sua figura condannata a una dura damnatio memoriae: tutte le statue presenti in Sicilia che lo raffiguravano vennero distrutte e solamente i grandiosi dipinti che lo ritraevano durante le battaglie vennero risparmiati poiché custoditi a Siracusa nel tempio di Atena, luogo sacro.
Però, i democratici popolari, nella loro restaurazione, non tennero conto di tre fattori: le discordie interne, che flagellarono Siracusa, il fatto che le truppe italiche di Agatocle, che da questo momento in poi saranno note come mamertini, invece di tornarsene a casa, tentarono più volte di prendere il potere nelle polis siciliane, riuscendoci a Messina, e le ambizione di Cartagine e degli altri tiranni siciliani.
Il primo a muoversi fu Arcagato, nipote di Agatocle, che era fuggito nella solita Aetna: con l’aiuto di Menone, un prigioniero cartaginese che, con il tempo, era diventato il braccio destro di Agatocle, radunò le truppe mercenarie mamertine e marciò su Siracusa, con l’intento di riprendere il potere. I siracusani, nominarono come strategos Iceta, che riuscì a respingere l’assalto.
Menone allora, fece un colpo gobbo: uccise a tradimento Arcagato, si proclamò generalissimo e si alleò con Cartagine: Siracusa, assediata per terra e per mare, accettò la pace. Dato che l’obiettivo dei punici non era né di dominare la città, secoli di coesistenza li avevano convinti che governare i greci non era impossibile, ma in inutile, né di imporre un tiranno che era stato al fianco di uno dei loro peggiori nemici, eliminarono Menone e imposero un trattato che equiparava Siracusa a Panormos e alle altre città dell’epicrazia.
La polis avrebbe avuto piena autonomia interna, avrebbe pagato un limitato tributo, ospitato una guarnigione di mamertini, non si sarebbe alleata con i nemici dei cartaginesi, né rotto le scatole alle altre città siciliane e concesso privilegi commerciali ai mercanti punici. Gli stessi sarebbero stati concessi ai mercanti siracusani nel commerciare nei territori cartaginesi.
La questione si sarebbe conclusa qui, se non che i mamertini erano una sorta di pericoli pubblici, che passavano il tempo a tiranneggiare i siracusani: per cui, alla prima occasione utile, scoppiò la rivolta contro la loro guarnigione, che fu cacciata a pedate. Di tale moto popolare, ne approfittò Iceta, che si proclamò arconte.
I cartaginesi, conoscendo che pessimi soggetti fossero i mamertini, fecero finta di non vedere: anche perché Iceta era in tutt’altre faccendo affaccendato. Ad Akragas, infatti aveva preso il potere come tiranno Finzia, personaggio di cui sappiamo ben poco, perché la narrazione di Diodoro Siculo ci è giunta frammentaria, ed è un vero peccato, perché è una figura sicuramente affascinante.
Di fatto, il suo obiettivo era riprendere e realizzare il progetto di Agatocle, con due differenze: sostituire Akragas a Siracusa e trovare un modus vivendi con i Cartaginesi, dato che Finzia, con parecchia lungimiranza, si era reso conto che il pericolo potenzialmente più grave potevano essere i romani. Per cui riunificata la Sicilia, alleandosi con i Sanniti e con Taranto, bisognava costituire una sorta di cordone sanitario antiromano in Sud Italia; insomma, fu una sorta di precursore della politica di Pirro.
Ovviamente, il primo passo per realizzare tale progetto, era occupare Siracusa: Iceta vicendo a Megara Iblea, riuscì a sventare tale conquista, però poi, convinto di essere un grande generale e desideroso a sua volta di imitare Agatocle, dichiarò guerra ai Cartaginesi, i quali, imprecando Baal ed Astarte sul fatto che gli avessero messo al fianco vicini così fastidiosi, dopo una guerra abbastanza complicata, sconfissero i siracusani lungo il fiume.
I punici, che poco volevano avere a che fare con i greci, si limitarono nella pace a chiedere il rispetto dello status quo e il rimborso delle spese di guerra: però, il successo cartaginese ebbe due conseguenze. Il primo, l’ormai tradizionale colpo di stato a Siracusa, dove Iceta fu destituito, spedito in esilio e sostituito da Tinione e da Sosistrato, figlio dell’omonimo e antico rivale di Agatocle.
Il secondo, la ripresa della politica espansionistica di Finzia, che conquistò Gela e ne deportò la popolazione in un una nuova polis, costruita nei pressi di Licata, sulle pendici di Monte Sant’Angelo, che chiamò Finziade. Così racconta la vicenda Diodoro Siculo
Finzia fondò una città e la chiamò Finziade, mandandovi a popolarla gli abitanti di Gela. La nuova città sorse presso il mare. distrusse le mura e le case di Gela e ne trasferì la popolazione a Finziade, dove aveva fatto costruire una cerchia muraria, una notevole agorà e templi degli dei.
La morte improvvisa di Finzia, però, mise fine alle sue ambizioni: nel frattempo a Siracusa, Tinione e Sosistrato cominciarono a litigare tra loro, tanto che quest’ultimo, con l’aiuto dei soliti mamertini, tento di defenestrare il collega. Il motivo del contendere tra i due era legato all’opportinità di concedere o no la cittadinanza ai mercenari di Agatocle ora senza padrone.
Tentativo che fallì miseramente: così Sosistrato fu costretto a fuggire ad Akragas, dove, sia perché il padre era stato benvoluto, sia per il vuoto di potere seguito alla morte di Finzia, riuscì a prendere il potere.
Sosistrato, arruolato un nuovo esercito di 10000 mercenari, riprese in grande stile il programma del predecessore: conquistati una trentina di polis e borghi siciliani, conquistò parte di Siracusa, con Tinione rintanato a Ortigia, pronto a resistere con le unghie e con i denti. Di questo manicomio, degno del Libano degli anni più cupi, decisero di approfittarne i cartaginesi, per cercare di pacificare in qualche modo l’area di instabilità ai confini della loro zona di influenza, assediarono a loro volta i due litiganti, i quali, temendo di fare la fine del sorcio, si rappacificarono ed ebbero la “geniale” idea di chiamare in aiuto Pirro…