
L’uomo medievale osservava il mondo con uno sguardo ben diverso dal nostro, che ci limitiamo a considerare la Realtà come un insieme di entità e relazioni, più o meno misurabili e rappresentabili con formule matematiche; per lui, invece, era costituita da un insieme di segni e di analogie, che ne trasformavano ogni elemento in uno specchio di verità spirituali o di insegnamenti o virtù.
Così, il Cosmo, oltre a essere ordinato, razionale e conoscibile, diventava diventava anche un reportorio di simboli, interpretabili tramite l’illuminazione divina: un esempio di questo complesso meccanismo, è in un famoso brano di Jacques Le Goff
Un grande serbatoio di simboli è la natura. Gli elementi dei diversi ordini naturali sono gli alberi di questa foresta di simboli. Minerali, vegetali, animali sono tutti simboli anche se la tradizione si contenta di privilegiarne alcuni: fra i minerali le pietre preziose che colpiscono la sensibilità per il colore e evocano i miti della ricchezza, fra i vegetali le piante e i fiori citato nella Bibbia, fra gli animali le bestie esotiche, leggendarie e mostruose che solleticano il gusto medievale per lo stravagante. Lapidari, florari, bestiari dove sono catalogati e spiegati quei simboli sono in primo piano nella biblioteca ideale del Medioevo.
Pietre e fiori caricano il significato simbolico con le loro virtù benefiche o nefaste. Le pietre gialle o verdi, per omeopatia colorata, guariscono l’itterizia e le malattie del fegato; quelle rosse le emorragie e i flussi di sangue. La sardonica rossa significa il Cristo che sparge il suo sangue sulla croce per l’umanità, il berillo trasparente attraversato dal sole indica il cristiano illuminato dal Cristo
I florari sono affini agli erbari e introducono nel pensiero medievale il mondo dei “semplici”, delle ricette familiari e dei segreti delle erboristerie monastiche. Il grappolo di uva ricorda il Cristo, che ha dato il suo sangue per l’umanità, in un’immagine simboleggiata dal torchio mistico; la Madonna è rappresentata dall’olivo, il giglio, il mughetto, la violetta, la rosa. San Bernardo sottolinea che la Vergine è simboleggiata tanto dalla rosa bianca, che indica la vergini là, quanto dalla rosa rossa che rende sensibile la sua carità. La biondella, che ha il gambo quadrangolare, guarisce dalla febbre quartana; mentre la mela è il simbolo del male e la mandragora è afrodisiaca e demoniaca: quando la si strappa stride e chi la sente o muore o diventa pazzo. In questi due casi l’etimologia serve a chiarire i concetti per gli uomini del Medioevo: la mela è in latino malum, che significa anche il male, e la mandragora è il drago umano (mandrake in inglese).
Il mondo animale è soprattutto l’universo del male. Lo struzzo che depone le uova nella sabbia e dimentica di covarle è l’immagine del peccatore che dimentica i suoi doveri verso Dio, il caprone è il simbolo della lussuria, lo scorpione che punge con la sua coda è l’incarnazione della falsità e principalmente del popolo ebraico. Il simbolismo del cane è diretto in due sensi: la tradizione antica ne fa una rappresentazione dell’impurità, mentre la tendenza della società feudale lo riabilita come animale nobile, indispensabile compagno del signore nella caccia, simbolo della fedeltà, la più considerata fra le virtù feudali. Ma gli animali favolosi sono tutti satanici, vere immagini del Diavolo: aspide, basilisco, drago, grifo. Il leone e il liocorno sono ambigui. Simboli della forza e della purezza, possono anche essere quelli della violenza e dell’ipocrisia. Il liocorno d’altra parte si idealizza alla fine del Medioevo, quando diventa di moda e è immortalato nella serie delle tappezzerie con la Dama del Liocorno.
Questa concezione simbolica del Cosmo è alla base del linguaggio artistico medievale, che oltre ad avere un valore gnoseologico, di supporto alla conoscenza delle verità della Fede e della Filosofia, trascende in un’ottica più ampia il realismo, inteso come pura riproduzione del dato ottico.
Per citare un altro grande medievalista, Michel Pastoureau, famoso per descritto come la Cultura varia la nostra percezione e il valore che diamo ai colori
A differenza di quanto generalmente si creda, gli uomini del Medioevo sapevano osservare assai bene la fauna e la flora, ma non pensavano affatto che ciò avesse un rapporto con il sapere, né che potesse condurre alla verità. Quest’ultima non rientra nel campo della fisica, ma della metafisica: il reale è una cosa, il vero un’altra, diversa. Allo stesso modo, artisti e illustratori sarebbero stati perfettamente in grado di raffigurare gli animali in maniera realistica, eppure iniziarono a farlo solo al termine del Medioevo. Dal loro punto di vista, infatti, le rappresentazioni convenzionali – quelle che si vedono nei bestiari miniati – erano più importanti e veritiere di quelle naturalistiche. Per la cultura medievale, preciso non significa vero.
Un esempio di tale percezione del mondo è nei bestiari, opere di carattere didattico allegorico-morale, che descrivono le proprietà di animali sia reali che fantastici attraverso le quali ricavare insegnamenti etici e religiosi. Tali proprietà – reali o immaginarie – si riferiscono sia all’aspetto fisico dell’animale, sia al suo comportamento e alle sue abitudini, ai suoi rapporti con le altre specie, compresa quella umana.
I bestiari sono quindi una sorta di tassonomie, in cui convivono osservazioni empiriche, visioni filosofiche, credenze magiche, elementi derivati dalle Sacre Scritture e dati tratti dall’esperienza diretta o da leggende e racconti popolari. Le fonte di tale sapere, ovviamente, non è l’esperienza concreta, considerata, con notevoli eccezioni,superficiale e pericolosa curiositas, ma l’auctoritas: ovviamente Aristotele, secondo l’interpretazione che gli avevano dato i suoi commentatori arabi, Plinio il vecchio e le Sacre Scritture.
A questa triade si aggiungono i padri della chiesa, a cominciare dalle omelie sulla Genesi di Basilio di Cesarea o Ambrogio, le Formulae spiritualis intelligentiae del vescovo di Lione Eucherio e le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, il cui libro XII, De animantibus, è dedicato appunto al mondo animale.
Per finire, sempre tra le fonti, vi è uno dei tanti bestseller del Medioevo, vi è il il Physiologus (“Il Naturalista”) scritto forse nel II o nel III secolo d.C. in lingua greca da un anonimo autore di cultura giudeo-cristiana (molto probabilmente ad Alessandria d’Egitto) e tradotto in latino nel IV secolo, composto da quarantotto capitoletti.
Per comprenderne il tono e i contenuti, vi cito un paio di esempi. Il primo è relativo all’onagro, l’asino selvatico
Sta scritto nel libro di Giobbe: ” Chi ha lasciato andar libero l’onagro? ” [Giob., 39.5].
Il Fisiologo ha detto dell’onagro che è guida del gregge, e quando le femmine generano dei maschi, il padre tronca i loro testicoli, perché non possano procreare.
I patriarchi cercavano di seminare un seme corporeo, gli apostoli invece, figli spirituali, hanno praticato la moderazione e desiderato il seme celeste, come sta scritto: “Rallegrati, o sterile che non hai figli, e grida di gioia, tu che non hai le doglie, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli di colei che ha marito” [Is., 54.1; Gal., 4.27]. Il Vecchio Testamento è seme della promessa, il Nuovo della moderazione.
Bene dunque il Fisiologo ha detto dell’onagro.
Se questo vale per gli animali reali, pensate cosa può essere stato scritto per gli animali fantastici, come le sirene
Ha detto il profeta Isaia: “Gli spettri e le sirene e i ricci danzeranno in Babilonia” [IS., 13.21].
Il Fisiologo ha detto delle sirene e degli ippocentauri: ci sono nel mare degli animali detti sirene, che simili a muse cantano armoniosamente con le loro voci, e i naviganti che passano di là quando odono il loro canto si gettano nel mare e periscono. Per metà del loro corpo, fino all’ombelico, hanno forma umana, per la restante metà, d’oca. Allo stesso modo, anche gli ippocentauri per metà hanno forma umana, e per metà, dal petto in giù, di cavallo. Così anche ogni uomo indeciso, incostante in tutti i suoi disegni. Ci sono alcuni che si radunano in Chiesa e hanno le apparenze della pietà, ma rinnegano ciò che ne è la forza, e in Chiesa sono come uomini, quando invece se ne allontanano, si mutano in bestie. Costoro sono simili alle sirene e agli ippocentauri: infatti “con le loro parole dolci e seducenti”, come le sirene, “ingannano i cuori dei semplici” [Rom., 16.18]. Perché “le cattive conversazioni corrompono i buoni costumi” [1 Cor., 15.33].
Bene dunque il Fisiologo ha detto delle sirene e degli ippocentauri.
Scherzando, ma non troppo, gli autori dei bestiari medievali possono considerarsi come una sorta di connettivisti ante litteram, per la loro concezione della Realtà come apparenza olistica e come macchina computazionale per la costruzione di significati; idea che andava oltre la mera erudizione, dato che le loro visioni ispiravano gli artisti che decoravano le chiese romaniche e gotiche, dando così forma all’immaginario della loro epoca.