Le Terme di Agrippa

Leggendo le commedie plautine, appare evidente come ai suoi tempi la frequentazione dei balnea fosse comune; probabilmente, anche per la derivazione di balneum dal termine greco balanèion, è probabile che questa abitudine si fosse diffusa dopo la conquista della Magna Grecia.

Dobbiamo immaginare questi primi balnea come strutture semplici e spartane, simile ai sentō giapponesi, con due uno spogliatoio, sala con piscina e un ambiente con una caldaia a legna, in cui si scaldava l’acqua proveniente dagli acquedotti. I proprietari o li gestivano direttamente o li davano in appalto a un conductor

Fornendo un servizio pubblico, i balnea furono presto regolamentati: ad esempio, furono stabiliti orari d’ingresso distinti per uomini e donne. Dato il loro elevato numero e l’alta concorrenza, la tariffa d’ingresso, il balneaticum, era ridotta all’osso: Orazio e Marziale parlano entrambi di un “quadrante” (quadrans) ossia una moneta di bronzo del valore più basso. Inoltre, i minori di dieci anni entravano gratis.

Questa sorta di biglietto era riscosso dall’amministratore (balneator) o da uno schiavo di fiducia come il capsarius e l’arcarius, ai quali era affidata la sorveglianza della cassa e di tutto ciò che veniva lasciato in deposito. In aggiunta al costo dell’ingresso, venivano pagate altre somme per la custodia dei vestiti, per i massaggi, per i bagni speciali e gli oli profumati.

Le cose cambiano con Agrippa, che con l’aiuto del solito Cocceio, l’architetto del suo Pantheon, che è incaricato da Ottaviano di riqualificare l’area di Campo Marzio adiacente bosco sacro dell’oracolo di Fauno, caratterizzata dalla presenza della Palus Caprae, la palude della Capra, dove, a seconda delle tradizioni, Romolo ascese al cielo o fu pugnalato a morte dai Senatori.

Palude alimentata dai corsi Petronia amnis e Aqua Sallustiana, lo specchio d’acqua riempiva la depressione tuttora esistente nell’area del Pantheon e di cui si trova eco nella dedicazione delle chiese di Sant’Andrea della Valle e Santa Maria in Vallicella, il cui unico emissario era un canale che sfociava nel Tevere nei pressi dell’attuale sinagoga.

Il suo nome, abbastanza strano, deriva da un fico, sotto cui i romani sacrificavano una capra a Giunone: per risanare l’area, Agrippa e Cocceio costruirono un canale, l’Euripo, che aumentasse il deflusso della acque della palude nel Tevere.

L’Euripo era un canale scoperto e navigabile, aveva un bacino largo poco più di tre metri per una profondità di circa m.1,70, con banchine laterali in blocchi di travertino. Due lunghi muri (uno in opera reticolata e uno in blocchi di tufo) lo fiancheggiavano, mentre sul lato settentrionale correva una via lastricata. Una serie di ponticelli di marmo e travertino erano posti corrispondenza degli attraversamenti stradali.

Il canale, ricordato nel trattato sugli acquedotti romani da Frontino per l’ampia portata d’acqua e raffigurato sulla pianta marmorea severiana di Roma (fr.252), segue parzialmente l’andamento dell’attuale Corso Vittorio Emanuele II, dividendo i due settori urbanistici del Campo Marzio centrale e occidentale, passando sotto l’attuale Palazzo Farnese.

La presenza dell’Euripo permise di prosciugare parte della palus sistemando quanto rimaneva sotto forma di bacino, lo stagnum Agrippae, che, tuttavia, rimaneva assai esteso: recenti scavi condotti per la costruzione della Metro C, hanno permesso di individuare parte dei limiti del complesso, che doveva estendersi tra gli attuali Corso del Rinascimento, via del teatro Valle e piazza sant’Andrea della Valle, per un totale di circa 22.000 metri quadri di superficie. A riprova di questo, vi è la testimonianza di Tacito, che racconta come nel 65 d.C. Nerone,pronipote di Agrippa, facesse costruire una zattera su cui imbandì un sontuoso banchetto; la zattera navigava nello stagno tirata da due navi a remi, ornate d’oro e di avorio.

L’area recuperata, fu in parte destinata a uso pubblico, con la costruzione del Pantheon e del complesso dei Septa Iulia e del diribitorium, destinato allo svolgimento delle elezioni dei comitia e al conteggio dei voti, in parte a uso privato, con un parco, in cui Cocceio costruì delle Terme a uso personale di Agrippa e dei suoi ospiti, che usava lo Stagno come natatio, ossia come piscina.

Terme furono iniziate così nel 25 a.C., entrarono in funzione dopo l’inaugurazione dell’Acquedotto Vergine, nel 19 a.C. che le alimentava e vennero inaugurate nel Campo Marzio nel 12 a.C. Alla morte di Agrippa, le Terme divennero pubbliche passando direttamente al popolo romano, che ne diventò l’erede per lascito testamentario. Infatti il popolo le reclamò sempre come sua esclusiva proprietà: risulta infatti che Tiberio fu costretto a ricollocare al proprio posto la bellissima statua in bronzo di Apoxyomenos (la copia in marmo é conservata ai musei vaticani) che aveva trasportato nella propria residenza perché gli veniva reclamata con altissime grida ogni volta che compariva in pubblico.

Restaurate dopo l’incendio dell’80, che le danneggiò gravemente, vennero ancora ristrutturate da Tito, da Domiziano e da Adriano, quando mise mano anche al vicino Pantheon, opera sempre di Agrippa. Altri restauri si ebbero in età severiana, sotto Massenzio e nel 344-345, da parte di Costante I e Costanzo II.

Dopo il V sec., come tanti altri monumenti romani, le terme furono destinate dai vari papi a cava di materiali nonchè sede di una «calcara», cioè dove il marmo veniva frantumato per farne calce da costruzione. I primi studi furono eseguiti da Palladio, che però reinterpretò in maniera fantasiosa i resti, tanto che L’architetto infatti addossa le terme al Pantheon, integra nel complesso la Basilica di Nettuno e distribuisce gli spazi intorno ad una sala centrale.

Intorno al 1555, furono poi eseguiti i primi scavi archeologici nell’area. Fino al Seicento la sala centrale delle Terme era pressoché intera, come documentano alcuni disegni dell’epoca, ed infatti veniva popolarmente chiamata “lo Rotulo”, “lo Tondo” o “lo Torrione”: il complesso, assieme a un arco che ne fungeva da ingresso monumentale, fu parzialmente demolito nel 1621, in occasione dei lavori di sistemazione urbanistica eseguiti per volontà di Gregorio XV, dando origine alla nostra via dell’Arco della Ciambella.

Ma come era impostate queste Terme? Cocceio, data la sua lunga frequentazione del litorale campano, replicò in grande l’impostazione dei complessi termali di Baia: L’impianto, che misurava non meno di 80l-100 m di larghezza e circa 120 di lunghezza, era organizzato su due assi che si incrociavano in una grande sala circolare del diametro di circa 25 metri, coperta a cupola con un oculos al centro, attorno alla quale erano irregolarmente disposti tutti gli ambienti, alcuni absidali, altri con vasche e spazi aperti.

Probabilmente gli ambienti a ovest della sala circolare erano invece destinati ai bagni caldi, infatti, all’angolo tra via di Torre Argentina e via dell’Arco della Ciambella si sono rinvenuti resti di suspensurae e di tubuli per l’aria calda. Lo storico Cassio Dione riferisce che l’impianto era provvisto di un sudatorio laconico, una sauna con palestra.

Questo ambiente è stato identificato con una costruzione circolare in blocchi di tufo rinvenuta nell’Ottocento durante gli scavi effettuati nella zona retrostante il Pantheon. Questo vano era stato rifoderato all’esterno, in una fase più tarda, con un rivestimento in opera laterizia, che gli conferiva l’aspetto di un edificio a pianta poligonale.

Secondo Plinio il Vecchio riporta che Agrippa aveva adornato il complesso con ben trecento statue, gran parte delle quali erano dislocate nel parco. All’interno poi, sempre a citazione di Plinio, le terme avevano una decorazione ricchissima, con incrostazioni marmoree, pitture a encausto, quadri, mosaici e sculture. In una sala erano esposti due quadri con Aiace ed Afrodite, comprati personalmente da Agrippa nella città di Cizyco a caro prezzo.

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