Marcello entra a Siracusa

Come detto, all’inizio della primavere del 212 a.C., Marcello era in difficoltà: i cartaginese, dal loro quartier generale di Akragas, spadroneggiavano in lungo e largo per la Sicilia. A peggiorare le cose, non solo Siracusa sembrava imprendibile, ma le legioni romane stavano patendo la fame. Per cui, visto che non la forza non si tirava fuori il ragno dal buco, tento di agire con l’intrigo, tentando di organizzare un colpo di stato con i capi del partito filo romano.

Questo avrebbero eliminato Ippocrate ed Epicide, aperto le porte ai romani e in cambio, la città avrebbe evitato il saccheggio e mantenuto una parvenza di indipendenza: il problema è che un certo Attalo fece il doppio gioco, denunciando i congiurati, che furono catturati e uccisi. Mentre alla notizia del fallimento del piano, Marcello era impegnato a smadonnare contro Giove e il Fato avverso, ebbe finalmente un colpo di fortuna.

Filippo V di Macedonia, sia perché con molta lungimiranza, aveva capito il pericolo che poteva costituire Roma, sia perchè voleva recuperare il controllo delle coste balcaniche dell’Adriatico, sia perché, approfittando di un eventuale crisi dell’Urbe, aveva intenzione di inglobare nei suoi domini le città della Magna Grecia, aveva tentato di sbarcare nel 216 in Italia, impresa fallita in modo fantozziano. Ora nonostante avesse perso il controllo di Apollonia, necessario per replicare l’impresa, e avesse diversi problemi in Grecia, dovuti alla diplomazia romana, era probabile che non fosse sordo a una richiesta d’aiuto da parte di Siracusa.

Per cui, Epicide provò a mandare a Pella l’ambasciatore Damippo, che però cadde prigioniero dei romani; così i cittadini di Siracusa avviarono una trattativa per liberarlo. L’incontro avvenne a metà strada, nei pressi dell’insenatura Trogilo vicino alla torre chiamata Galeagra, presso l’odierno quartiere di Santa Panagia.

In questa occasione, un soldato romano contò le file di mattoni. La torre era costruita con pietre ben squadrate, tanto da risultare estremamente facile calcolare la distanza tra i merli da terra. Suggerì pertanto al comandante romano di scalare quelle mura con delle scale di medie dimensioni, quando i Siracusani si fossero distratti. E l’occasione venne loro incontro, poiché un traditore siracusano li avvisò che la polis stava festeggiando da tre giorni una ricorrenza in onore della divinità Artemide-Diana e che, se da un lato usavano poco cibo poiché scarseggiava, dall’altro bevevano vino in abbondanza. Fu così che Marco Claudio Marcello, venuto a conoscenza della preziosa informazione, e ricordatosi del punto delle mura che risultava più basso, pensando che gli uomini si sarebbero ubriacati, decise di tentare la sorte.

Per cui, dopo avere costruito le scale adatte, Marcello selezionò una sorta di commando, la sua sporca dozzina, costituita da un paio di tribuni, qualche centurione esperto, me li immagino tipo sergente Hartmann, e un gruppo scelto di legionari, tra cui quello che si era accorto della possibilità di scalare le mura.

Scelse quindi altri uomini che avrebbero assistito i primi, appoggiando le scale, senza anticipare a questi ultimi del piano, ma annunciando semplicemente di tenersi pronti. Scelta un’ora opportuna della notte, svegliò gli uomini preposti all’attacco; dopo aver inviato i portatori di scale, sotto la scorta di un tribuno e di un manipolo di legionari, fece svegliare tutto l’esercito e cominciò ad inviare i primi manipoli, uno alla volta, ad intervalli regolari per evitare che ci fosse confusione durante la scalata.

Raggiunto il numero di mille legionari sotto le mura nei pressi della porta dell’Expilon, seguì egli stesso con il resto dell’esercito.Una volta che i portatori di scale l’ebbero appoggiate al muro senza essere visti, il primo gruppo d’assalto diede rapidamente la scalata. Una volta poi che questi si trovarono in cima alle mura, tutti gli altri cominciarono a correre su per le scale, ormai senza più un grande ordine. Inizialmente percorsero le mura senza trovarvi le sentinelle, in quanto a causa della festa, gli uomini si trovavano riuniti all’interno delle torri a festeggiare, alcuni ubriachi, altri addormentati.

Fu così che i legionari romani, senza fare rumore, dapprima piombarono sugli uomini della prima torre e poi delle altre vicine, uccidendo la maggior parte degli armati siracusani e senza che nessuno avesse dato l’allarme. Quando poi furono nei pressi dell’Exapilon, scesero le mura dall’interno, abbatterono la prima postierla e da questa fecero entrare il comandante Marcello con il resto dell’esercito. Come i Romani giunsero all’Epipole, luogo pieno di sentinelle, essi cercarono di spaventarle, anche perché era un luogo strategico per il controllo della città.

Come raccontava Tucidide

La località intorno, infatti, è tutta un rilevarsi di colline, digradanti a balze fino alla città, da cui si gode, su ogni piega del terreno, una visibilità perfetta: e il nome imposto dai Siracusani all’altura, Epipole appunto, si deve al fatto che sovrasta lo spazio circostante

Le guardie, però, invece di resistere assalto romano, appena udirono i suoni delle loro trombe, si diedero alla grande, al grido di chi si salvi chi può. All’alba, forzato l’Exapilon, Marcello, entrato in città con tutto l’esercito, spinse ciascuno a prendere le armi e portare aiuto alla città ormai occupata. Epicide, che era ad Ortigia, tentò di organizzare la controffensiva, ma travandosi davanti un caos inaudito, con chi scappava da una parte, chi dall’altra, decise di barricarsi all’Acradina.

Racconta Livio che Marcello, ma è un topos tipico della storiografia antica

come vide davanti ai suoi occhi la città, che a quel tempo era forse fra tutte la più bella, abbia pianto in parte per la gioia di aver condotto a termine un’impresa così grande, in parte per l’antica gloria della città

Tra l’alto Marcello, vista la presenza del consistente partito filo romano, da una parte, dovette limitare i saccheggi da parte dei legionari, cosa che provocò parecchi malumori, visto che non ricevevano la paga da mesi, dall’altra cerco di coinvolgere i collaborazioni, affinché convincessero gli altri cittadini della polis ad arrendersi senza combattere, in modo da affrettare e semplificare la conquista…

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