
Nel corso del XVI secolo si registra a Palermo un consistente incremento demografico e, in parallelo, una fervente attività edilizia, protesa anche verso la realizzazione di importanti «sistemazioni» a livello urbano. Al rinnovamento della città partecipano, fra gli altri, i liguri, ivi presenti e operanti principalmente in qualità di banchieri e mercanti, come i Bozolo, i Castello, i Costa, i Ferrero, i Lomellino, i Pallavicino, i Pernice, i Segno, gli Spinola. Queste famiglie, pur rimanendo legate alla madre patria, appaiono perfettamente integrate nella vita economica e sociale dell’isola, operando inoltre come imprenditori e industriali, proprietari, in alcuni casi, di tonnare e di piantagioni di canna da zucchero
Parallelamente all’ascesa economica e sociale, dovuta anche ai legami con la monarchia spagnola, di cui i genovesi erano i principali finanziatori, cresce l’influenza in campo artistico. La testimonianza concreta di questa ascesa è la costruzione della chiesa di San Giorgio dei Genovesi, di cui ho accennato parlando di Sofonisba Anguissola.
I mercanti genovesi sin da fine Quattrocento, nazione” genovese possedeva una cappella, dedicata a San Giorgio, nel chiostro di San Francesco d’Assisi; cappella che, dopo una cinquantina d’anni, sia per le dimensioni, sia per il suo essere molto defilata, non soddisfava né le esigenze concrete, i fedeli non c’entravano durante le funzioni religiose e mancava spazio per le sepolture, né quelle di rappresentanza, essendo inefficace a rappresentare il potere e la ricchezza della comunità.
Per cui, si scatenò una caccia serrata a uno spazio che si poteva destinare alla costruzione di una chiesa, che doveva essere ampia e ricca d’opere d’arte. L’occasione arrivò nel 1576. Un secolo e mezzo prima, esattamente nel 1524, la confraternita di san Luca godeva di grande prestigio e ricchezza, tanto da costruire nei pressi della Cala una chiesa dedicata al suo santo protettore. Nella seconda metà del Cinquecento, le cose però, erano drammaticamente cambiate, a causa di una serie di investimenti sbagliati e del solito priore che era scappato con la cassa. Per cui, per evitare la bancarotta, la confraternita aveva messo in vendita sia la chiesa, sia le case adiacenti.
La comunità genovese decise di approfittarne, per due motivi: conoscendo lo stato delle finanze della confraternita, molti debiti li aveva contratti proprio con i mercanti liguri, era possibile strappare un consistente sconto. Al contempo, era logisticamente comoda, essendo vicina alla porta di San Giorgio, dove i genovesi avevano case, magazzini e uffici e al Molo nuovo di cui il Senato palermitano aveva da poco deciso la costruzione in funzione della modernizzazione del porto, che stava trasformandosi nel polo economico dei liguri.
Per cui, il console sostituto della ”Magnificam Nationem Genuensium” Giovan Battista Giustiniani, firmò quell’anno con la confraternita palermitana, in luogo del console ordinario Agostino Rivarola, un atto di cessione con la quale la Nazione genovese prendeva possesso della vetusta chiesa di San Luca con “atrio e case circostanti”. In cambio la confraternita avrebbe ottenuto una cappella della nuova chiesa, dove poter seppellire degnamente i propri morti e si sarebbe impegnata a non
“concorrere et se immiscerein regimine et guberno dicte ecclesie Sancti Georgii in…..legatis elemosinis redditibus et proventibus…..in ea perventibus”
ossia a non mettere bocca sull’amministrazione sia ecclesiastica, sia economica della nuova chiesa e non pretendere una percentuale delle donazioni ricevute dalla parrocchia, come prevedeva la legislazione palermitana dell’epoca. I confrati erano talmente inguaiati che accettarono senza fiatare.
La chiesa di san Luca fu demolita, per costruire una nuova chiesa, dedicata a San Giorgio, che riprese dall’edificio precedente, sia la pianta cruciforme inserita in un rettangolo, di derivazione normanna, sia la cripta, che fu utilizzata come ossario. Ora, chi incaricarono i genovesi del progetto di San Giorgio ? L’attribuzione tradizionale, al cuneese Giorgio di Faccio, che di certo fu il direttore dei lavori, è stata recentemente messa in discussione: tuttavia le alternative proposte sono tutte poco convincenti. Quella che va per la maggiore, che cita un altro grande e misconosciuto architetto, Giuseppe Spatafora, però si scontra con un problema difficilmente eludibile. Giuseppe morì nel 1572, quando la chiesa di San Luca era lungi dall’essere messa in vendita e i genovesi stavano valutando soluzioni alternative: per cui ipotizzare che avesse una sfera di cristallo è forse una forzatura.
Poi, San Giorgio rientra molto nel discorso stilistico che si poneva Giorgio, basti pensare ai suoi lavori a Palazzo dei Normanni, ossia reinterpretare in chiave moderna la tradizione edilizia locale: basti pensare all’interno con il recupero dei sostegni tetrastili dei e i fasci di colonne a registri sovrapposti della crociera della cattedrale palermitana, però ricondotti agli ordini classici, dato l’uso dei capitelli corinzi, o degli archi normanni a sesto oltrepassato. Le colonne, tra l’altro furono realizzate dal “marmorarius” e scultore Battista Carabio che si obbligò con il console della “nazione” genovese, con atto rogato il 29 dicembre 1576, a fornire quaranta colonne in marmo bianco e mischiato al prezzo di 12 Once e 15 Tarì per ognuna
Oppure ai volumi essenziali dell’edificio, articolati in superficie da una griglia di paraste doriche profilate poste su alti plinti e i paramenti murari lisci “bucati” da finestre a edicola prive di timpano, con il vano finestra fortemente strombato, appartengono infatti, allo schema di una serie di edifici sacri palermitani improntati al linguaggio di Antonello Gagini. A questo si associava l’introduzioni di elementi decorativi tipici del manierismo romano e del tamburo ottagonale semplice, a lesene doriche, con finestre rettangolari e tetto piramidale, di ispirazione bramantesca.
Parlando della chiesa, un imponente cornicione divide i due ordini da cui è caratterizzata la facciata dell’edificio. Il primo ordine, a sua volta, è suddiviso in tre sezioni, ad ognuna delle quali corrisponde un ingresso al luogo di culto. I tre ingressi sono inquadrati da quattro grandissime lesene. Sui due ingressi laterali sono situate due finestre, alle quali corrispondono le navate interne della Chiesa. La seconda sezione della Chiesa è costituita da un oculo ovoidale posto al centro della facciata. Questa si trova sotto il frontone piatto di chiusura ed è anch’essa inquadrata da due lesene di grandezza ridotta.
L’interno. come accennato, è a pianta rettangolare a tre navate e, su ciascun lato, vi è la presenza di quattro cappelle chiuse da magnifiche ed eleganti edicole scolpite a motivi rinascimentali. Nell’incrocio tra il transetto ed il coro, lo spazio interno prende particolare vigore dinamico: coppie di colonne sovrapposte hanno qui lo scopo di rendere più significativo l’organismo strutturale del capocroce a sostegno del tiburio ottagonale. Da questo si sviluppa la cupola a catino, sostenuta da pennacchi sferici.
Ad eccezione della cappella di San Luca, riservata secondo gli accordi all’antica confraternita, tutte le altre portavano i nomi di illustri famiglie di origine genovese che ne ottennero il patrocinio e che le riempirono di opere d’arte. Nella prima cappella della navata destra si trova un dipinto del grande pittore napoletano Luca Giordano che raffigura “Santa Maria del Rosario e Santi”. Nella cappella che segue, già della famiglia Giustiniani, troviamo una straordinaria opera del toscano Jacopo Chimenti detto ”l’Empoli”, il fortemente drammatico “Martirio di San Vincenzo di Saragozza”. La successiva cappella, un tempo della famiglia Del Bene, custodisce una pala del pittore genovese Bernardo Castello raffigurante la “Lapidazione di Santo Stefano protomartire”. Nella cappella del transetto di destra, troviamo un’opera del pittore veneto, allievo di Tiziano, Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, il “Battesimo di Cristo” del 1604.
Nella navata di sinistra la prima cappella presenta un’opera del palermitano Gerardo Astorino, “l‘Estasi di San Francesco”. Nella cappella seguente troviamo un dipinto attribuito al pennello di Domenico Fiasella, detto anche il Sarzana, dal paese d’origine del pittore, che raffigura la “Madonna Regina di Genova” dei primi anni del seicento. A seguire, nella cappella che fu della famiglia Lomellini, una straordinaria “Annunciazione”, 1594 circa, altra opera di Jacopo Palma il Giovane. Nella cappella del transetto sinistro fa bella mostra un seicentesco crocifisso policromo di scuola siciliana su un reliquario ligneo.
Nelle absidiole ai lati dell’altare troviamo, a destra, nella già citata cappella di San Luca, un capolavoro di Filippo Paladini “San Luca che ritrae la Vergine”, mentre a sinistra è custodita l’opera raffigurante il “Martirio di San Giorgio” dipinto su tela di Jacopo Palma il Giovane. Infine, collocata sull’altare maggiore, una pala che raffigura “San Giorgio e il drago” di ignoto autore siciliano. Posta sotto l’altare maggiore un manufatto marmoreo che raffigura “Santa Rosalia giacente nella grotta” di Giovan Battista Ragusa.
Ovviamente, uno dei pezzi forti della chiesa è il pavimento, con le 64 lastre sepolcrali nelle quali scorrono sotto gli occhi i nomi di esponenti delle principali famiglie della nobiltà genovese; oltre quella di Sofonisba Anguissola, è da notare, a titolo di curiosità, la lapide di Nicola Colombo, discendente del più famoso Cristoforo, la cui lapide, tradotta in italiano fa
Son ligure per nascita Siciliano in morte adesso memore della dolce patria mi sono addormentato in Sicilia e da ligure son sepolto nel tempio dei liguri.
Chiesa che merita di essere visitata: purtroppo, trovarla aperta è una sorta di terno al lotto…
Tra l’altro, nel 1963, Pier Paolo Pasolini filmò una scena iniziale del suo documentari Comizi d’amore proprio davanti la facciata di San Giorgio dei Genovesi. Ora, Pasolini, era da parecchio che voleva girare un’inchiesta sulle opinioni degli italiani sulla sessualità, l’amore e il buon costume, per capire come il boom economico stesse modificando la morale comune, ma non ne aveva mai avuto l’occasione: quell’anno, però comincia a girare su e giù per l’Italia, assieme al produttore Alfredo Bini per trovare luoghi e volti per un nuovo film, il Vangelo secondo Matteo. Per cui, Pasolini, ne approfitta anche per girare questo documentario: rivedendolo, rimane sempre il dubbio che molte cose non siano cambiate… Detto questo, la scena del documentario girata a San Giorgio dei Genovesi mostra come all’epoca, le ferite dei bombardamenti anglo americani fossero lungi dall’essere sanate
https://youtu.be/hily0QeCTSc Questo è il link su youtube del documentario di Pasolini