Il tempio di Vulcano ad Akragas

Il tempio di Vulcano (in greco Efesto) sorge sulla collina a Ovest dell’odierno giardino della Kolymbetra, che lo separa dall’estremità Sud-ovest della collina dei Templi e dal santuario delle Divinità Ctonie.

La tradizionale denominazione di tempio di Vulcano – come spesso accade ad Agrigento – è soltanto convenzionale e non è supportata né da riscontri archeologici né epigrafici. Il suo nome si deve all’interpretazione di un brano di Solino, autore del Collectanea rerum memorabilium (“raccolta di cose memorabili”). Nel medioevo questa stessa opera fu nota anche sotto i titoli di Polyhistor (“il curioso”, “l’erudito”) oppure, ma più raramente, di De mirabilibus mundi (“sulle meraviglie del mondo”).

L’opera, scritta in un latino molto “manieristico”, è meramente compilativa. Lo scrittore attinge, infatti, a piene mani dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio, dalla Chorographia di Pomponio Mela, dall’opera di Svetonio e, con ogni probabilità, anche da quella di Marco Terenzio Varrone. Il Mommsen teorizza la possibilità che autori o opere non pervenutici altrimenti (per esempio Cornelio Bocco e, come detto, l’enciclopedia Roma di Svetonio) siano tra le altre possibili fonti.

Leggendo tali autori, Solino avrebbe annotato le cose più strane e meravigliose inerenti a popoli, usanze, animali e piante illustrandole all’interno di una cornice geografica.

Il testo è dedicato ad un certo Aventus, forse uno dei consoli per l’anno 258. Segue una trattazione sulla storia di Roma dalle origini al principato di Augusto. Sono poi di seguito esaminate l’Italia, la Grecia, le regioni intorno al Mar Nero, la Germania, la Gallia, la Britannia, la Spagna. Seguono, poi, le province dell’Africa e la descrizione continua con l’Arabia, l’Asia minore, l’India e l’impero dei Parti.

Il testo fu oggetto di notevole rielaborazione, forse dallo stesso Solino, che in effetti, nella seconda epistola dedicatoria, definisce il proprio lavoro polyhistor. Nel medioevo, come detto, il termine divenne anche sinonimo dell’autore stesso.

Il tema meraviglioso del libro e la sua estensione molto ridotta rispetto alle opere di Plinio il Vecchio ne decretarono il successo nel medioevo, con alcuni rimaneggiamenti, di cui, in particolare, si ricordano quelli in esametri tradizionalmente attribuiti a Teodorico e a Pietro Diacono. Frutto dell’ammirazione per la sua opera nel Medioevo è anche il ruolo, parallelo a quello di Virgilio nella Divina Commedia, di accompagnatore del poeta Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo.

Tornando al nostro tempio di Vulcano, Solino nel suo libro scrive

“…In lacu Agrigentino oleum supernanat nec longe inde collis Vulcanius, in quo qui divinae rei operantur, ligna vitae super aras struunt ,nec ignis opponitur in hanc congeriem…”

ossia tradotto in italiano

Nel lago agrigentino non lontano dal colle di Vulcano galleggia olio, coloro che svolgono cerimonie religiose dispongono sugli altari i legni della vita , neppure il fuoco si oppone a questo composto

Per cui, il nostro eroe, che in fondo era una sorta di Peter Kolosimov dell’epoca, ci parla di un culto in onore di Vulcano, senza specificare la presenza di un tempio, che si svolgeva nei pressi di un presunto lago, dico presunto perché non ne parlano altre fonti e non è stata mai trovata la minima traccia archeologica, in cui i sacerdoti del dio, per impressionare i fedeli e ottenere più elemosine, operavano una serie di trucchi di prestigiatori: erano posti sull’ara dei sarmenti, che, quantunque verdi, ardevano vivacemente e se la fiamma toccava i sacrificatori senza bruciarli, era segno che gli dei avevano gradito le offerte.

Tra l’altro il dettaglio sull’olio che galleggiava sul lago, ha fatto pensare anche alla presenza di idrocarburi non metanici, oppure, più probabilmente a sorgenti sulfuree. In ogni caso, questa curiosità erudita rimase dimenticata per anni, finché non capitò tra le mani dello storico siciliano di Sciacca Tommaso Fazello, che nel suo tentativo di identificare tutte le rovine della valle dei Templi, affibbiò la dedica a Vulcano, più a casa che altro, alle rovine che vedeva nel fondo La Meda, un paio di colonne senza capitelli e gli esigui tratti dello stilobate. Per la sua posizione periferica, questo tempio non è che sia stato mai molto studiato. Fu ignorato dalle commissioni borboniche che studiarono in lungo e in largo la Valle dei Templi e solo nel 1928 l’archeologo Pirro Marconi portò alla luce le strutture dopo che il capitano Hardcastle acquistò il podere su cui il tempio sorge, rimuovendo le case coloniche addossate alle rovine.

Gli scavi archeologici recenti hanno permesso di ricostruire la storia del tempio. Inizialmente, vi era un tempietto stile ionico, risalente al VI secolo, di cui purtroppo si sa ben poco. Sappiamo soltanto che si trattava di un edificio prostilo con cella e pronao (13,25 x 6,50 m), di cui è stato possibile ricostruire la decorazione architettonica, con lastre a cassetta laterale e frontonale e una sima laterale con doccioni a tubo.

Intorno al 430 a.C. parte la grande ristrutturazione del complesso, con l’edificio arcaico parzialmente demolito e trasformato nella cella del nuovo tempio, che, per l’epoca era di notevoli dimensioni (43 x 20,85 m) e sorgeva su un pianoro digradante da Est a Ovest che, pertanto, nel lato sul quale fu eretto il basamento dell’edificio, presentava un intaglio a tre gradini.

Il tempio era periptero, di ordine dorico, esastilo, con tredici colonne sui lati lunghi. Come accennato, pochi avanzi si conservano dell’elevato (due tratti del crepidoma a quattro gradini e due colonne); all’interno della peristasi si collocava la cella con pronao e opistodomo (rimangono solo tre settori trasversali di muro all’interno del perimetro del basamento, in corrispondenza dell’ingresso del pronao, del muro di fondo della cella e dell’ingresso dell’opistodomo).

Tra l’altro, alcuni degli elementi superstiti dell’elevato denotano influssi ionici (cornice con ovoli e dentelli plastici, fusto delle colonne con scanalature a spigolo battuto) a testimonianza della sperimentazione architettonica dell’Akragas di quel periodo.

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