
La nostra passeggiata virtuale nella Valle dei Templi fa oggi tappa al cosiddetto Tempio di Ercole, in stile dorico arcaico, che sorge su uno sprone roccioso vicino alla Villa Aurea. La denominazione tempio di Ercole è un’attribuzione della cultura umanistica, basata su una testimonianza di Cicerone, di cui parlerò poi. In realtà l’agorà di Akragas sorgesse in questo posto non è però dimostrato, tanto che alcuni studiosi, specie anglosassoni, lo hanno identificato con il tempio di Atena, ricordato da Polieno nei suoi Stratagemmi, in relazione al colpo di stato di Terone.
Polieno, ricordiamolo, è stato un teorico militare e retore macedone antico, vissuto al tempo degli Antonini, dato che dedicò il suo trattato a Marco Aurelio e a Lucio Vero. Trattato, gli Stratagemmi, scritto in greco arcaicizzante e che è diviso in otto libri; il libro era in origine una raccolta di 900 fra aneddoti, esempi di coraggio o di virtù militari, detti memorabili e astuzie di guerra; degli originari otto libri, parti del sesto e settimo libro sono mutile, e dei 900 stratagemmi iniziali ne sono rimasti 833.
L’archeologia ci ha dato alcune informazioni sulla storia dell’edificio, che come succede nella Valle dei Templi, non è per nulla semplice. Nella prima fase, corrispondente ai primi fasi di vita della colonia greca, l’area fu occupata da un piccolo tempio arcaico, a cui si riferiscono alcune terrecotte architettoniche, ma su cui abbiamo parecchi dubbi sia sulla ricostruzione, sia sulla divinità a cui era dedicato.
Negli ultimi anni del VI secolo a.C. il tempietto arcaico fu demolito e una quarantina di metri ad ovest della sua posizione fu eretto questo tempio, che per le sue peculiarià stilistiche, dovrebbe essere il più arcaico tra quelli di Akragas. Poco prima della battaglia di Himera, il complesso fu modificato: da una parte, fu costruito l’altare monumentale, che si sovrapponeva in parte al precedente tempietto arcaico, dall’altra fu restaurata la trabeazione, poiché conosciamo due tipi di sime laterali con gronda a testa leonina, una prima – meno conservata dell’altra – databile al 470-60 a.C. e una seconda della metà circa del V secolo a.C. Per cui sia Terone, sia i suoi successori, in qualche modo misero mano alla decorazione del tempio.
Tempio che negli anni si arricchì di opere d’arte: Plinio il vecchio ci racconta ad esempio che vi fosse custodito un qaudro di Zeusi che rappresentava Ercole bambino in atto di strangolare due serpenti, mentre il possente Giove, attorniato da altre divinità, ammira la straordinaria impresa. Anche i genitori di Ercole, il padre Anfitrione e la madre Alcmena, lo ammirano sorpresi e trepidanti. Così lo descrive l’autore romano
Magnificus est Iuppiter eius in trono, astantibus diis, et Ercules infans dragones strangulans, Alcmena matre coram pavente et Amphitryone
ossia
Magnifico è il suo Giove in trono, attorniato dagli dei, ed il piccolo Ercole che strangola i serpenti dinanzi alla madre Alcmena impaurita ed Amfitrione
Opera che, sempre secondo Plinio, che fu un dono dell’artista
Donare opera sua instituit, quod erat nullo satis digno pretio permutari posse diceret
che in italiano si rende con
Decise di donare la sua opera perché diceva non poter essere permutato ciò che non era di nessun prezzo degno
Nel tempio, poi vi era una splendida statua bronzea di Ercole, che fu, ai tempi dei romani, al centro di una sorta di tangentopoli dell’epoca. Gaio Verre era propretore della provincia di Sicilia, che, durante la sua amministrazione compì uno sproposito di ruberie. I siciliani lo denunciarono, nominando come loro avvocato Cicerone, che chiese un risarcimento di 100 milioni di sesterzi, più o meno 100 milioni dei nostri euro.
Nelle arringhe di accusa, Cicerone racconta
Herculis templum est apud Agrigentinos non longe a foro; omnes sciunt illud sane sanctum esse. Ibi est, ex aere simulacrum ipsius Herculis, quo non facile quidquam dixerim me vidisse pulcrius usque eo, ut rictum eius ac mentum paullo sit attritius, quod in precibus et gratulationibus non solum id venerari, verum etiam osculari solent
ossia
Presso Agrigento, non lontano dal foro, c’è un tempio di Ercole, ragionevolmente santo e da loro venerato. Lì c’è la statua di Ercole, della quale non potrei dire facilmente di aver visto qualcosa di più bello, del resto di quelle cose non capisco tanto quanto necessiterebbero le molte cose che vidi. Bella a tal punto che, o giudici, l’apertura della bocca e il mento sono un po’ logorati, poiché gli Agrigentini non si limitano a venerare la statua, ma hanno l’abitudine di baciarla
Brano che come accennavo, ha permesso l’identificazione del tempio.Tante straordinarie ricchezze non potevano sfuggire all’ingorda rapacità del pretore romano Caio Verre, il quale voleva impadronirsi della statua di Ercole per mezzo dei suoi emissari, guidati da Timarchide. Il colpo venne tentato di notte, ma i ladri non riuscirono a rimuovere la statua e le guardie, che sorvegliavano il tempio, avvertendo rumori sospetti, scoprirono i malfattori e diedero l’allarme. Molti cittadini lasciarono le case ed accorsero, costringendo alla fuga i ladri, salvando la statua.
In età imperiale, il tempio fu modificato: il fondo della cella fu è suddiviso in tre ambienti per la costruzione di un piccolo edificio di culto. La trasformazione è forse legata al trasferimento del culto di Asclepio all’interno del tempio, dove fu rinvenuta una statua del dio di epoca romana durante gli scavi del 1835. Probabilmente il tempio fu distrutto dal terremoto del 853 d.C. negli anni della conquista araba.
Nel 1787 Goethe visitando le rovine del tempio lasciò questa descrizione ne Il viaggio in Italia:
«Il tempio di Ercole, invece, lascia ancora scorgere tracce dell’antica simmetria. Le due file di colonne che fiancheggiavano il tempio dai due lati giacciono a terra nella stessa direzione nord-sud, come se si fossero rovesciate tutte insieme, le une verso l’alto e le altre verso il basso d’una collina che si direbbe sia stata prodotta dal crollo della cella. Tenute insieme probabilmente solo dalla trabeazione, le colonne precipitarono di colpo, forse in conseguenza d’un violento uragano, e ora sono distese allineate, spartite nei blocchi che le componevano.»
Condizione confermata sia dai pittori come Houel, sia dalle descrizione degli studiosi dell’epoca, come il Politi. nel 1832 venne ordinato lo sgombero degli avanzi ed allora la pianta del tempio si presentò in tutta la sua grandezza e ci si rese conto di trovarsi dinanzi al secondo maggiore tempio, per dimensioni, dopo il tempio di Giove, innalzato dagli Agrigentini. Quasi cento anni dopo, nel 1922, il capitano sir Alessandro Hardcastle finanziò e seguì personalmente i lavori per rialzare otto colonne sul lato sud-ovest del tempio. Altri lavori e studi più avanzati vennero eseguiti pochi anni dopo sotto la direzione dell’archeologo Pirro Marconi.
Il tempio fu costruito con pietre estratte dalla Rupe Atenea e dalle rocce circostanti; uno stucco fine e liscio, sul quale sono state ritrovate tracce di colore giallo pallido, rosso vivo e blu splendente, ne faceva sparire l’eccessiva porosità. Ma le modanature superiori dei cornicioni erano realizzate in pietra dura di grana molto fine e decorate con fregi, alcuni dei quali scolpiti con modesto rilievo, altri soltanto lisci. I disegni erano resi evidenti come sui monumenti marmorei di Atene, per mezzo di colori applicati direttamente sulla pietra.
Come accennavo, tutte le sue caratteristiche formali ci danno un’indicazione sulla sua datazione arcaica: pianta allungata, rapporto tra il numero delle colonne dei lati lunghi e quelle dei lati brevi, accentuata rastemazione delle colonne e il carattere del capitello schiacciato sotto il perso della trabeazione. Il tempio, come dicevo, è di ordine dorico: sorge su possente basamento a vespaio, ha una peristasi di 6×15 colonne (m 67,04×25,28 stilobate) cui si accede per un crepidoma di tre gradini. All’interno, è la cella con pronao e opistodomo in antis (due colonne tra le ante). Nello spessore dei due piloni che separano la cella dal pronao è ricavata la scala di servizio al tetto.