Prepararsi alla guerra con Cartagine

Tuttavia, nonostante la politica a favore dei ceti più poveri, la posizione di Dionisio I di Siracusa era tutt’altro che stabile: da una parte, vi era il malumore delle vecchie èlites della polis siciliana, che poco gradivano l’estromissione dal potere, dall’altra vi era la questione dei mercenari disoccupati, alcuni ricordiamolo, erano conseguenza della spedizione ateniese, i quali non integrandosi nella società e nell’economia delle colonie greche, era una perenne fonte di caos di disordini.

Per rafforzare il suo dominio e rafforzare la sua legittimità, come tanti politici nelle sue condizioni decise di applicare la soluzione tradizionale, ossia scaricare le tensioni interne su un nemico esterno, nel suo caso Cartagine. Ricordiamolo anche, che lui aveva eseguito il suo colpo di stato millantando una vittoria contro i punici e il fatto che invece avesse collezionato quantità industriale di randellate, non è che avesse poi tutta questa credibilità nei confronti dei suoi sudditi.

Per fortuna di Dionisio, Cartagine, nonostante la vittoria, era come suo solito, sconquassata dalle sue solite discordie civili: per prima cosa, la sua classe dirigente poco gradiva il predominio della famiglia dei Magonidi, poi c’era la spaccatura tra i ceti agricoli, che ritenevano, dati i costi della guerra, che il gioco non valesse la candela, e quelli commerciali, che invece era danneggiati dalla concorrenza greca. Essendo la città punica sull’orlo della guerra civile, poco si interesso di quanto stava accadendo dall’altra parte del Canale di Sicilia.

Di conseguenza, Dionisio decise di sfruttare la finestra di opportunità concessa dall’avversario, per lanciare nel 401 a.C. una corsa agli armamenti. Il primo step fu l’arruolamento di uno sproposito di mercenari, molti di origine spartana, che Lisandro, con cui il tiranno di Siracusa aveva negli anni precedenti stabilito una serie di rapporti diplomatici, appioppò con sommo piacere all’alleato, dato che aveva lo stesso problema: soldati in ozio e sottopagati erano facili alla rivolta.

Il secondo, rafforzare, tramite un doppio matrimonio, il legame con i tiranni di Rhegion e Siracusa, per evitare che, come loro solito, facessero il doppio gioco alleandosi con Cartagine. Infine, Dioniso si era reso conto che il potere cartaginese era basato sul mare, che permetteva di rifornire all’infinito le città dell’epicrazia e al contempo strozzare i commerci e quindi l’economia delle polis sicilane : per sconfiggere il nemico, era quindi necessaria varare una flotta, che permettesse di combatterlo nel suo stesso elemento. Secondo quanto racconta Diodoro Siculo

Progettava di fabbricare armi in grandissima quantità e dardi di ogni tipo, inoltre, navi a quattro e a cinque ordini di remi; […] Dionisio ogni giorno si aggirava fra i lavoratori, rivolgeva loro parole cortesi, premiava i più volenterosi con doni e li accoglieva alla sua tavola. […] Gli artigiani, dispiegando insuperabile zelo, inventavano molte armi da lancio e macchine da guerra nuove e che potevano essere di grande utilità.

Il problema è che, per gli impatti della Guerra del Peloponneso, che ne aveva provocato una moria, rematori esperti non se ne trovavano e mancava anche il tempo per addestrarli: ogni giorno perso, dava una possibilità in più a Cartagine di risolvere le sue diatribe interne e prepararsi al meglio alla guerra. Per cui, Cercando di progettare navi in cui i rematori potessero sfruttare la propria forza più che la propria abilità, Dionigi I di Siracusa costruì tetreres (quadriremi) e penteres (quinqueremi), anche se Aristotele, almeno secondo Plinio, ne attribuiva l’invenzione proprio ai cartaginesi. Se così fosse, a differenza dei greci, non furono in grado di utilizzare al meglio, per i loro caos politico, l’idea.

La testimonianza sulla struttura delle quadrireme, come per le quinqueremi è altamente frammentaria, ed esiste un acceso dibattito sul significato del nome di queste imbarcazioni. Le triremi dovevano il proprio nome alla presenza di tre ordini sovrapposti di rematori; per similitudine, le quinqueremi avrebbero dovuto avere cinque ordini sovrapposti, ma sorge il problema di interpretare le successive hexeres, hepteres e vascelli con un numero ancora maggiore di ordini. Secondo gli storici moderni, questi numeri descrivevano nelle polieri il numero di rematori per unità o gruppo di voga su ciascun lato della nave, non il numero di ordini; le quadriremi avrebbero avuto due ordini di remi, con due rematori per ogni ordine, mentre le quinquireme avrebbero avuto tre ordini di remi, con due rematori per ciascuno dei due remi superiori, uno o due per ciascun remo di coperta e uno per ogni remo inferiore posto poco al di sopra della linea di galleggiamento

C’è un’evidente prova della diffusione di questo tipo di navi in una città come Atene, che ricordiamolo, era in forte crisi: nel 330 a.C. contava 393 triremi e 18 quadriremi, che già nel 325 a.C. contava 7 quinqueremi a fronte di una diminuzione del 10% delle triremi. È noto dai riferimenti storici che sia nella seconda guerra punica che nella battaglia di Milazzo le quadrireme avessero due livelli di rematori, ed erano quindi più basse delle quinqueremi, pure essendo della stessa larghezza (circa 5,6 m). Il suo dislocamento era intorno alle 60 tonnellate e poteva trasportare circa 75 fanti di marina.

Secondo Polibio, una quinquereme portava a bordo 300 rematori, 120 soldati e 50 membri dell’equipaggio; lo storico Fik Meijer suggerisce che ciascun lato di una quinquereme ospitava 58 thranites (i rematori del livello superiore) su 29 remi, 58 zygites (rematori del secondo ordine) su altri 29 remi e infine 34 thalamites (i rematori del livello inferiore) con un remo ciascuno. Tutti questi rematori si trovavano sotto il ponte in quanto, a partire dalla battaglia di Siracusa del 413 a.C., si era visto che i thranites erano vulnerabili all’attacco con frecce e catapulte e si era deciso di proteggerli portandoli sotto il ponte.

Mentre questa corsa agli armamenti, che aveva anche un impatto economico notevole, pensate ai siracusani più poveru impiegati negli arsenali, cominciò a diffondere una propaganda antipunica, ricordando la necessità di vendicare la recente sconfitta. Sempre secondo Diodoro Siculo

Chiamò il popolo di Siracusa a concione, e gl’insinuò di portar la guerra ai Cartaginesi, rappresentandoli come i più fieri nemici del nome greco, ed intesi continuamente ad insidiare i Siculi… Ed aggiungeva essere iniquissima cosa il lasciare le città greche sotto la servitù dei Barbari, le quali tanto più presto avrebbero subito il pericolo comune, quanto più ardente era in esse l’amore della libertà. Avendo egli adunque lungamente trattato questo argomento, facilmente alla proposta sua acconsentirono i Siracusani, già non meno di lui bramosissimi di codesta guerra

Risultato di questa propaganda, furono una serie di pogrom ai danni dei commercianti punici e dell’Epicrazia che si erano stabiliti nelle colonie greche. Sempre da Diodoro Siculo sappiamo

E a tale asprezza di vendetta e allora e poi giunsero, che per questo esempio di rappresaglia i Cartaginesi vennero avvertiti di non dovere più tanto atrocemente incrudelire contro i vinti… dovevano infine sapere per la esperienza delle cose, che reciproca essendo la fortuna di chi fa la guerra, chi resta vinto dee aspettarsi la sorte, che vincitore fece provare agli altri

Da Zyz, la nostra Palermo, parti una delegazione diretta a Cartagine, pretendendo una formale protesta da parte della città punica, per chiedere a Dionisio l’interruzione delle violenze e un rimborso per i danni subiti dai loro mercanti; per cui, fu spedita un’ambasciata, per trovare un compromesso e chiudere la vicenda. Il Senato cartaginese era convinto, giustamente, che Dionisio stava facendo la voce grossa per motivi interni e che, qui avevano torto, con qualche concessione, più o meno simbolica si sarebbe calmato, dato che, per le batoste degli anni precedenti, non avrebbe avuto la minima di scatenare la guerra. Gli ambasciatori dovevano vedere il bluff.

Immaginate la sorpresa dei cartaginesi, quando, mentre discutevano delle concessione da fare a Dionisio, si trovarono davanti un mes una lettera con dichiarazione di guerra da parte di Siracusa; sarebbero state aperte le ostilità in caso di mancato allontanamento di Cartagine da ogni città greca di Sicilia. Ovviamente la condizione era inaccettabile: però, per motivi di bilancio e nella convinzione che le vittorie degli anni precedenti le avessero garantito un lungo periodo di pace aveva congedato buona parte delle truppe mercenarie. Il tempo per arruolarne di nuove, concedeva una finestra di opportunità a Dionisio, che si preparò a colpire per primo, radunando dietro di sé una numerosa schiera di uomini disposti a combattere il dominio cartaginese. Primi fra tutti furono i superstiti di Camarina, quelli di Gela, e ancora gli agrigentini, gli imeresi e quelli di Selinunte; tutti desiderosi di rivincita contro il potere dei punici.

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