Le chiese di Palermo

Tornando al libro del comune di Palermo sulla Kalsa, stavolta condivo un articolo, molto interessante, di Marco Rosario Nobile, sulle chiese di quella zona di Palermo.

Alla fine del XV secolo e la prima metà del successivo l’area della Kalsa venne interessata da un sorprendente numero di nuovi cantieri religiosi. Le ragioni di questo frenetico dinamismo costruttivo sono da ricercare innanzitutto nell’attrattiva scaturita dall’area gravitante intorno alla corte viceregia (come è noto, alloggiata allo Steri) e nell’attività di patrocinio devozionale esercitata da aristocratici e mercanti. Va ricordato che, a partire dalla seconda metà del Quattrocento, l’attuale piano della Marina era stato in buona parte “bonificato” e il fangoso slargo dove Sfociavano i torrenti che attraversavano la città, e che defluiva verso la Cala, si era definitivamente trasformato in una piazza. Queste iniziative urbane avevano addirittura obbligato a radicali mutazioni nello Steri, con la rotazione dell’asse di ingresso e la costruzione di un nuovo magnifico portale all’antica.

In questa specifica occasione ci limiteremo a rammentare gli episodi legati alla nuova architettura religiosa, poiché in un comprensorio concentrato appaiono perfettamente individuabili alcuni tra i nodi più significativi di un dibattito che assume risonanza regionale e che obbligano a porre non marginali questioni storiografiche. Ci riferiamo in primo luogo a un’interessante, quanto spesso superficialmente trascurata, diversificazione tipologica delle fabbriche religiose (a secondo della loro funzione, della committenza e dell’uso) e a un processo tumultuoso di scarti, di sperimentazioni e di fitto interscambio di esperienze. Si rifletta sulla coincidenza che assume questo momento storico con l’improvvisa convergenza di lingue differenti che attraversa la Sicilia e come il quadro finisca per assumere i connotati di una stagione decisiva.

Si è già fatto riferimento indirettamente al ruolo dell’aristocrazia e a quello di una società mercantile multietnica, sarà bene estendere lo sguardo anche agli operatori del cantiere, poiché appare oramai flagrante l’egemonia di alcune figure professionali il cui ruolo e protagonismo emerge attraverso la documentazione. Tra tutti domina senz’altro il maestro Antonio Belguardo, singolare figura di tecnico e di professionista legato alla tradizione dei “fabricatores”, che nell’arco di alcuni decenni cumula un’impressionante serie di incarichi. Non mancano però i segnali di novità, e il coinvolgimento di scultori e di intagliatori nella progettazione di nuove chiese fa intuire anche i sovvertimenti e le trame sotterranee che, anche a Palermo, stanno minando alla base compiti, ruolo e formazione degli “architetti”. Due nuovi complessi conventuali con grandiose chiese di nuova impostazione vennero costruiti nella zona, ci riferiamo alla Gancia dei Francescani Osservanti e allo Spasimo degli Olivetani. Si trattava di chiese ad aula con cappelle seriali, destinate a diventare luoghi di sepoltura privata e quindi in grado di alimentare il finanziamento della fabbrica. Gli studi più recenti hanno via via individuato nella figura di Antonio Belguardo il maestro che per decenni seguirà i due cantieri. Sebbene molto simili nell’impianto generale, le chiese svelano un percorso diverso. La lunga interruzione a cui andò soggetta la chiesa dei Francescani agli inizi del XVI secolo può nascondere un cambio di progetto eprobabilmente anche una sostituzione dei maestri interessati. L’iconografia del portale di palazzo Abatellis (il cordone francescano) cela un evidente richiamo all’ordine e alla protezione offerta dal Portulano del Regno, ma le vicende successive fanno anche intuire come l’interesse e la tutela per gli Osservanti devono probabilmente essere ricondotte alla religiosità della prima moglie di Francesco Abatellis: Eleonora Soler. Alcuni dettagli del portale maggiore della chiesa e di quello di ingresso al chiostro (si notino i capitelli a bulbo con foglie d’acanto) rimandano a soluzioni presenti nel portico della chiesa di Santa Maria La Nova e fanno presupporre una partecipazione del maestro Antonio Peris, che del resto avrebbe intessuto ulteriori rapporti con Belguardo.

Solo da pochi anni le vicende della chiesa dello Spasimo risultano meno nebulose e più facilmente intellegibili, a partire da nuovi contributi documentari. Sappiamo che la chiesa doveva essere integralmente coperta con crociere (il 23 aprile 1535 Belguardo si impegnava per l’esecuzione delle crociere, mentre l’anno precedente aveva iniziato la realizzazione delle coperture della chiesa di San Francesco), ma il mastodontico edificio cela ancora numerosi enigmi, come quello legato alla singolare soluzione dell’avancorpo, con coppie di cappelle cupolate ai lati dell’atrio di ingresso. Problematica appare la scelta che doveva attuarsi nel transetto, dove forse erano allocati dei “cori” alti. Se, come sembra oramai certo, il progetto (ispirato, secondo le note indicazioni documentarie, all’omonima e distrutta chiesa che si trovava in Terra Santa) era stato attuato dall’onnipresente Belguardo (documentato nella fabbrica dal 1514), dovremmo immaginare nelle scelte attuate un’efficace consulenza liturgica.

All’architetto si possono però ricondurre altre valutazioni, come l’assoluta esclusione di colonne nella costruzione (persino l’atrio ne è privo), tanto sorprendente per il fascino continuo che le colonne esercitavano nel mondo palermitano e perché contemporaneamente Belguardo risulta impegnato nella costruzione della chiesa della Catena. Un fenomeno che interessa in modo particolare l’area intorno alla platea marina è quello della costruzione o ricostruzione di chiese legate a confraternite, associazioni di laici riunite a scopo devozionale o riconnesse da una comune appartenenza etnica o corporativa, che finanziano le fabbriche. L’episodio più noto è quello della chiesa di Santa Maria della Catena. In altre occasioni ho insistito sulla plausibilità di un progetto di rinnovamento attuato da Matteo Carnilivari, il cui ruolo nelle azzardate scelte costruttive (esilità dei sostegni, forma delle arcate, altezza della fabbrica e coperture) sembra essere stato decisivo. Per quanto riguarda l’opzione di un impianto a doppio transetto (come nelle cattedrali normanne), una serie di indizi (prima fra tutte la chiesa, recentemente restaurata, di San Giacomo dei militari) fa intuire che si trattava di una volontà condizionata da un dibattito cittadino.

Con tutta probabilità fu comunque il rinnovamento impresso nella chiesa dell’Annunziata a porta San Giorgio (Gabriele da Como, 1498) a spingere i confratelli a scegliere una differente alternativa per i sostegni: colonne marmoree di spoglio. In questo modo il modello si avvicinava
agli esempi di età normanna ma anche ad un’estetica condizionata ampiamente da quadri fiamminghi e dalla loro rappresentazione dell’antico. La chiesa di Santa Maria della Catena, con la sua volumetria compatta e astratta, il suggestivo santuario, i suoi archi policentrici, le basi desunte dalle geometrie di Roriczer e le nervature che affiorano dalla muratura, sembra costituire, tra gli altri aspetti, anche una risposta monumentale,
elaborata in un’altra “lingua”, alle molteplici suggestioni che i tecnici lombardi stavano importando in Sicilia. La scelta di concepire una chiesa di confraternita come “piccola cattedrale” a tre navate su colonne ebbe immediate conseguenze in numerosi altri progetti.

Per quello che ormai è noto, non deve poi apparire sorprendente il ruolo assunto da Antonio Belguardo (documentato nel 1521) in qualità di maestro e scultore della fabbrica durante i completamenti. Nel 1524 un avvenimento reputato miracoloso (uno scampato naufragio) spinse alla costituzione di una nuova confraternita, intitolata a Santa Maria di Portosalvo, che cominciò a raccogliere fondi per la costruzione di una chiesa. Il 31 agosto 1526, il Senato di Palermo assegnava per la costruzione un lotto tra i magazzini che fiancheggiavano il porto, a pochi passi dalla chiesa della Catena. Nei due anni successivi si registrano legati per la fabbrica. Il 9 dicembre 1530 la confraternita acquistava pietra da costruzione e il contratto prevedeva che i conci fossero depositati presso la tribuna o, se non fosse stato possibile, in corrispondenza del prospetto (ante janua). L’impianto della chiesa, quindi, era stato tracciato e alcuni muri perimetrali erano già in opera. Un documento dell’ 11 luglio 1531 precisa che il celebre scultore Antonello Gagini riceveva da qualche tempo un compenso in forma salariale per la sua attività nel cantiere. Vista l’inesperienza in fatto di costruzione da parte dello scultore (per quello che ne sappiamo oggi e, in ogni caso, rispetto ad alcuni suoi contemporanei, attivi in città), il coinvolgimento sottende una sola spiegazione: Antonello doveva verificare la corrispondenza tra l’andamento della fabbrica e un disegno che aveva redatto personalmente.

Non credo sia più possibile contestare questo ruolo e per smentire definitivamente le ipotesi scettiche, che hanno persino proposto che la facciata della chiesa sia il frutto tardivo delle trasformazione attuate negli anni di Marco Antonio Colonna, sappiamo adesso che nel febbraio 1534 le “moderne” finestre di Portosalvo vennero immediatamente scelte come modello per una casa alla Cala realizzata dal maestro Pietro Faja. Non è questa l’occasione per raccontare nuovamente la drammatica vicenda del cantiere e il fallimento del progetto di Antonello Gagini. Naturalmente la scelta di un celebre artista per il progetto di un nuova fabbrica è indicativo delle esigenze di distinzione espresse dall’aristocrazia palermitana. Non dovette comunque trattarsi di un caso unico, recentemente è stato segnalato il coinvolgimento di Giovanni Gili per la redazione del modello ligneo di progetto della chiesa di San Giovanni dei Napoletani La chiesa, soggetta a numerose mutazioni nel corso dei secoli, può celare ancora qualcosa del progetto originario (si veda la conformazione interna ad archi acuti delle absidi), ma è naturalmente il coinvolgimento di un altro scultore a individuare una tendenza.

Se questa fase mostra la gracilità di un momento di sperimentazione che non riesce a raggiungere risultati compiuti (alle chiese della Kalsa si deve sommare il contemporaneo e vicino caso di Santa Maria la Nova), bisogna tuttavia considerare che non tutto quello che venne concepito tra gli anni venti e i primi anni trenta del XVI secolo cadde nel vuoto. La chiesa di Santa Maria dei Miracoli a piazza Marina (dal 1547) potrebbe, per esempio, facilmente celare nel suo impianto centrico su colonne la soluzione proposta venti anni prima da Antonello e non posta in opera per il tiburio di Santa Maria di Portosalvo. Realizzata a partire dal 1535 la chiesa del Portulano, oggi annessa a palazzo Abatellis, è probabilmente uno degli ultimi progetti dell’anziano Antonio Belguardo, giunto all’apice della sua carriera. L’incarico venne firmato il 28 aprile 1535, appena cinque giorni dopo l’impegno assunto per le crociere dello Spasimo. Nata come chiesa per le monache domenicane, riflette un atteggiamento pratico ed essenziale. Tutti gli ingredienti dell’impianto chiesastico (le crociere della nave e cappella cupolata terminale) potrebbero essere desunti da soluzioni precedenti, come quelle riscontrabili nelle navate laterali dello Spasimo. Appare probabile che l’incredibile somma di incarichi contemporanei spingesse Belguardo a integrare e serializzare le esperienze e a risparmiare sui costi, ma non c’è alcun dubbio che per il mondo palermitano si trattasse di un professionista affidabile.

Il profondo coro alto sull’ingresso deve appartenere a una fase leggermente successiva, anche se non molto distante nel tempo. Probabilmente dovette essere progettato e realizzato entro la metà del XVI secolo e risulta singolare la comunanza con alcuni fondali di quadri appartenenti all’orbita di Mario di Laurito. La soluzione appare molto innovativa per Palermo, dove – a eccezione della chiesa di Sant’Antonino allo Steri (dove tuttavia le finalità cerimoniali erano differenti) – le tribune alte sull’ingresso non erano certamente consuete. Osservare oggi questa serie di fabbriche, sovente sfuggenti ai parametri stilistici consueti (Gotico, Rinascimento), costituisce un esercizio storiografico notevole, ma appare sempre più evidente che i gradienti di novità, apprezzati sia dai committenti che dal pubblico del tempo, non riguardassero solo aspetti di natura formale o stilistica ma contemplassero anche l’efficacia liturgica e la razionalità costruttiva. Forse sono questi i criteri con cui la storia dell’architettura in Sicilia deve guardare a buona parte del nostro passato, senza l’ansia ossessiva delle classificazioni.

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