La Guerra di Corinto (Parte III)

La Battaglia di Aliarto, che in fondo non fu una resa dei conti tra Beoti e Focesi, vinta ai punti dai lacedemoni, ebbe però un effetto politico inaspettato: l’obiettivo politico della spedizione era costringere Tebe a ritirarsi dalla contesa, rompendo così il fronte nemico. In realtà, la vittoria spartana, tutt’altro che schiacciante, si trasformò in un boomerang politico: Atene, Tebe, Corinto e Argo si unirono per formare un’alleanza antispartana, avente le sue armate comandate da un consiglio situato a Corinto. Nelle settimane successive, si aggiunsero si aggiunsero ben presto le città dell’Eubea, l’Acarnania, la Tessaglia, la Locride e la Calcidica: in pratica, gran parte della Grecia dell’epoca, si era coalizzata contro Sparta, la cui situazione dal punto di vista strategico, era alquanto scomoda.

I coalizzati avevano i numeri e la base strategica avanzata, Corinto, per invadere il Peloponneso e occupare la piana della Messenia, senza il cui possesso gli spartiati avrebbero rischiato il collasso economico. Consapevoli del rischio, approfittando del fatto che la coalizione stava cercando di mettersi d’accordo, per mettere in piedi un comando unificato, Sparta decise di colpire di anticipo. Un esercito, comandato da Aristodemo, il reggente del giovane re Agesipoli I, fu inviato a nord dalla Laconia per mettere a ferro e fuoco il territorio corinzio, in modo che i nemici dovessero accettare la battaglia prima di aver mobilitato tutte le loro forze e quindi sfruttare a loro vantaggio la superiorità numerica. A riprova di quello che scrivono i presunti espertoni su Facebook, sul fatto che le battaglie dell’epoca erano nulla più che risse tra opliti, gli eserciti di entrambi i contendenti mostravano un uso combinato delle forze.

L’esercito spartano era composto da circa 18 o 19000 opliti, a cui si devono aggiungere i reparti di peltasti; degli opliti, 6000 erano Spartani, mentre il resto proveniva da altri Stati della Lega peloponnesiaca; era presente anche una divisione di cavalleria di circa 600 uomini; c’erano poi circa 300 toxòtai cretesi e almeno 400 frombolieri. Dalla parte degli alleati combattevano circa 24000 opliti, più le truppe leggere; Tebe, Atene, Argo fornirono ognuna circa un quarto delle truppe. In particolare, 6000 opliti erano di Atene, circa 7000 di Argo, 5000 della Beozia, 3000 di Corinto e 3000 dell’Eubea. Anche per cavalleria la suddivisione era la stessa: 800 cavalieri Beoti, 600 Ateniesi, circa 100 da Calcide nell’Eubea e circa 50 dalla Locride.

Attenzione i pelasti dell’epoca, come evidenziato in altri post, non erano gli opliti agili di Ificrate, ma una specifica tipologia di fante leggero, simile ai velites dei romani. I peltasti erano riconoscibili da uno scudo ligneo a forma di mezza luna, privo di bordatura, ricoperto in genere di cuoio o anche in feltro, dipinto con facce stilizzate; veniva impugnato facilmente e portato a tracolla. Gli indumenti erano costituiti da una corta tunica senza maniche per favorire i movimenti di tiro del giavellotto; un mantello intarsiato di pelle di orso, degli stivaletti di cerbiatto, allacciati davanti e stretti in sommità, detti Zeira; un copricapo in pelle di volpe a punta con lunghi lembi a difesa delle orecchie su modello del cappello frigio. Spesso privi di spada, disponevano di due o più giavellotti, la cui lunghezza variava dal metro al metro e mezzo; i quali venivano scagliati dopo un breve tratto fatto di corsa contro il nemico. Una volta eseguito il primo lancio rientravano nei ranghi.

I compiti loro assegnati si dividevano tra la fornitura di copertura delle falangi all’inseguimento dei nemici in fuga, nonché la protezione dei fianchi dell’armata durante gli spostamenti. Le unità di peltasti in genere venivano costituite con elementi autoctoni; a Sparta venivano addestrati gli Iloti, ad Atene le classi più umili. Durante le battaglie si muovevano in piccole truppe per soccorrere le falangi di opliti in difficoltà. La loro strategia era quella dell'”attacco e fuga”, cioè, non essendo in grado di affrontare uno scontro frontale con una serrata formazione di opliti, tendevano a colpire di sorpresa lateralmente le falangi nemiche per poi ripiegare velocemente dietro le linee alleate. Avevano due grandi vantaggi rispetto alla fanteria classica greca: erano veloci e potevano creare un gran numero di feriti in poco tempo, senza essere necessariamente coinvolti in uno scontro corpo a corpo

Tornando alla battaglia, che avvenne nel letto asciutto del torrente Nemea, gli Spartani ed i loro alleati si schierarono per la battaglia con i Lacedemoni a destra ed i Peloponnesiaci a sinistra. Lo schieramento avversario si divise sull’organizzazione interna: infatti gli Ateniesi volevano posizionarsi a destra, ma alla fine avevano accettato la richiesta dei Beoti di schierarsi a sinistra, mentre i Tebani si localizzarono a destra. Ciò significava che gli Ateniesi erano di fronte agli Spartani mentre i Beoti e gli altri alleati erano di fronte agli alleati degli Spartani. Appena le due falangi si mossero, entrambe si distesero verso la loro destra. Questo era un evento comune nelle battaglie oplitiche: i soldati portavano il loro scudo sul braccio sinistro, così gli uomini si spostavano a destra per venire protetti dall’oplon dei loro vicini alla stessa maniera di loro con il proprio scudo. Questa rotazione fece sì che ,nel momento in cui eserciti si incontrarono, entrambi porgevano il proprio fianco sinistro agli avversari. Di conseguenza le ali destre di entrambi gli eserciti furono vittoriose, mentre i fianchi sinistri di entrambi furono sconfitti. Gli Spartani, sconfitti gli Ateniesi, si voltarono per affrontare i soldati sul lato destro degli alleati, che si ricomponeva dopo aver battuto gli alleati degli Spartani. La falange spartana colpì prima gli Argivi, poi i Corinzi e infine i Beoti, infliggendo pesanti perdite in tutti e tre i gruppi; alla fine della giornata gli Spartani avevano ucciso 2800 soldati, mentre ne avevano persi 1100.

In termini tattici, era stato un successo: gli Spartani avevano perso il 6% dei loro effettivi, mentre gli alleati l’11%. In termini strategici, era stato un fallimento: a Sparta pensavano di ottenere una battaglia di annientamento, in grado di provocare lo scioglimento della coalizione… Non fu così e nonostante le perdine, la superiorità numerica dei nemici si manteneva inalterata. Risultato, Se pur vittoriosi, gli Spartani non furono in grado di forzare il blocco dell’istmo posto da Corinto. Infatti la città, difesa da solide mura, era collegata con il porto occidentale del Lechaion da due file di lunghe mura, mentre il porto orientale di Kenchreai e i passi montani erano presidiati da numerosi fortilizi. L’armata peloponnesiaca non poteva invadere la Beozia, perché pur valicando i passi presidiati da Corinto si sarebbero ritrovati i nemici alle spalle, quindi la tattica migliore era quella di attendere Agesilao II di ritorno dall’Asia. L’attacco congiunto del re in Beozia e della lega a Corinto avrebbe subito gli effetti migliori. Non potendo entrare subito in Grecia centrale l’armata peloponnesiaca si ritirò, dopo una vittoria sostanzialmente inutile… A peggiorare le cose, si aggiunsero le notizie provenienti dall’Asia…

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