
In Georgia sono trovati i segni della cultura neolitica, e la transizione dalla pratica dei cacciatori-raccoglitori all’agricoltura e allevamento di bestiame, risalenti almeno al 5000 a.C. I primi siti neolitici vengono principalmente trovati nella Georgia occidentale, come Khutsubani, Anaseuli, Kistriki, Kobuleti, Tetramitsa, Apiancha, Makhvilauri, Kotias Klde, Paluri e altri. Nel V millennio a.C., anche il bacino del Kura (Mtkvari) venne stabilmente popolato, e gli insediamenti come quelli a Tsopi, Aruchlo e Sadakhlo lungo il Kura nella Georgia orientale sono distinti da una lunga e durevole tradizione culturale, una caratteristica architettura e un’abilità considerevole nella lavorazione della pietra. La maggior parte di questi siti hanno attinenza con il fiorente complesso archeologico del tardo neolitico/eneolitico noto come la cultura di Shulaveri-Shomu. La datazione del radiocarbonio riferita ai siti di Shulaveri indica che i suoi più antichi insediamenti risalgono al tardo VI − inizio V millennio a.C.
Il nome ‘Shulaveri-Shomu’ deriva dalla città di Shulaveri, in Georgia, conosciuta dal 1925 come Shaumiani , e Shomu-Tepe, nel distretto di Agstafa dell’Azerbaigian . La distanza tra questi due siti è solo di circa 70 km. La cultura Shulaveri-Shomu è stata indiiduata nel periodo sovietico, durante gli scavi nei siti di Shomutepe e Babadervis nell’Azerbaigian occidentale da I. Narimanov (nel 1958-1964) ea Shulaveris Gora nella Georgia orientale da AI Dzhavakhisvili e TN Chubinishvili (nel 1966-1976) . Le scoperte dai siti hanno rivelato che le stesse caratteristiche culturali si sono diffuse ai piedi delle montagne del Piccolo Caucaso.
La cultura Shulaveri precede le culture Maykop e Kura-Araxes che fiorirono in quest’area intorno al 4000–2200 a.C. Successivamente, nel medio periodo dell’età del bronzo (3000–1500 aC circa), emerse la cultura Trialeti Una sua caratteristica peculiare è nella costruzione di edifici a pianta circolare, ovale e semiovale in mattoni di fango, che erano di diverse dimensioni a seconda della destinazione d’uso. Quelli più grandi con diametri che vanno da 2 a 5 m. erano adibiti a case, mentre gli edifici più piccoli fungevano da magazzioni (1-2 m di diametro).
La sua economia era basata sull’allevamento di animali domestici e sulla coltivazione di cereali: a riprova di questo, durante gli scavi sono stati resti di piante coltivate, come il grano, ossa di animali (maiali, capre, cani e bovidi). Inoltre, sempre negli scavi, sono stati ritrovati corre do ceramica artigianale con decorazioni incise, lame, bulini e raschietti in ossidiana, utensili in osso e corno, oltre a rari esemplari di oggetti metallici. Statuette antropomorfe di donne prevalentemente sedute rinvenute nei siti rappresentano gli oggetti utilizzati a fini religiosi relativi al culto della fertilità Tutti questi elementi fanno ipotizzare contatti, sia culturali, sia commerciali, con le culture agricole della Siria e della Palestina, date anche la similitudini negli strumenti in pietra e in osso e nei motivi decorativi delle ceramiche. Tutto interessante, però a noi di questa antica cultura, che ci importa ? Ebbene, è tra le prime a coltivare la vite e a produrre il vino.
Gli scavi archeologici hanno portato alla luce abitazioni dell’epoca con numerosi vinaccioli, semi di grano ed orzo e vasi in terracotta. In una di queste case è stata trovata una grande vasca di vino (derghi) con un bassorilievo che raffigura un grappolo d’uva. Oggi tale reperto è custodito presso il Museo di storia a Tbilisi. Uno studioso georgiano, Ramishvili, ne ha studiato le caratteristiche ed ha definito che i reperti trovati non appartengono ad una vite selvatica bensì coltivata. A questo si aggiungono gli studi condotti da McGovern che tramite la metodologia dell’archeologia molecolare ha potuto analizzare non solo il DNA di un vinacciolo di 8000 anni fa ma anche un pezzo di legno di vite proveniente dal sito archeologico di Nosiri nella Georgia occidentale (inizio II secolo a. C.).
Come afferma un blog sull’antropologia alimentare, di cui mi sono perso il link, già in antichità i vini georgiani venivano apprezzati tanto che ne troviamo citazione in Omero, che nell’Odissea narra dei vini profumati e frizzanti della Colchide (l’odierna Georgia occidentale), e nelle Argonautiche di Apollonio Rodio dove ci viene narrato che gli argonauti trovarono all’interno del palazzo di Aieti (ancora Colchide) una fontana stillante vino, e che poi gli eroi stessi di riposarono sotto l’ombra della vite. Il museo di Tbilisi ospita oggetti sontuosi legati al vino, afferenti da tutte le epoche storiche del paese: abbiamo preziosi bicchieri in oro e argento sbalzato, decorati con scene di abbondanti banchetti o con pampini di vite (II millennio a.C.) o curiosi bastoncini fatti con tralci di vite, finemente ricoperti con guaine d’argento che ne ricalcano le forme, compresi i polloni. Sono stati ritrovati nelle tombe, da qui l’ipotesi che servissero al defunto per poter ripiantare la vite anche nell’aldilà ma anche come augurio di rinascita.
E persino i metodi tradizionali di vinificazione, testimoniano l’antichità di questa cultura. Nel corso dei secoli si sono sviluppate due tecnologie per la produzione del vino:
il metodo kakhetiano (regione del Kakheti)
il metodo imeretiano (regione di Imereti)
Nel primo metodo il vino viene fatto in vasi caratteristici di terracotta detti kvevri, della capacità di circa 1500 litri ognuno, posti completamente sottoterra. Un metodo antico riscontrabile anche nell’antico Egitto e in Assiria. L’interramento dei vasi consente di mantenere una temperatura costante di 13-14 gradi (in Europa tutto ciò è sostituito dalle vasche di acciaio che consentono la regolazione della temperatura). In più, nella lavorazione dei vini bianchi nei vasi viene fatta fermentare tutta la vinaccia insieme al mosto. Il risultato è un vino giallo, scuro, tannico, ricco di sedimenti non filtrati e lievito, con un tasso alcolico di 13-14 gradi (in Europa, invece, è sugli 11-12 gradi). Il secondo metodo, tipico della Georgia occidentale consiste nel mettere solo il 5-10% dei raspi, semi, vinaccia dando vita ad un vino acido e con un tasso alcolico intorno agli 11-12 gradi.
Entrambi questi metodi di vinificazione non si distinguono soltanto dalla particolarità del contenitore in cui fermentano, ma anche dal fatto che la fermentazione stessa è fatta in presenza dei raspi e che la macerazione possa arrivare anche a sei mesi. Se ci pensiamo è qualcosa di completamente diverso dalle metodologie in uso in Europa dove per un vino rosso la macerazione dura tra i 5 e i 15 giorni e il processo di fermentazione viene fatto in assenza di raspi. Nei vini bianchi la differenza è sostanziale, la macerazione delle vinacce porta ad un arricchimento marcato dei tannini permettendo di fare una vinificazione senza aggiunta di solforosa. Diversi metodi di vinificazione corrispondo a diversi tipi di cantina (marani in georgiano). Nella regione del Kakheti la cantina è in pietra e i kvevri si trovano al suo interno, nella regione di Imereti la cantina e in legno e i vasi di terracotta sono esterni ad essa, interrati all’aperto.