Il Cimitero Monumentale del Verano

Il Cimitero Monumentale del Verano si estende su un’area di circa 83 ettari. Come accennato la scorsa settimana, è luogo di sepoltura da almeno venti secoli, come testimonia l’esistenza di una necropoli romana: le cosiddette catacombe di Santa Ciriaca. Deve il nome Verano all’antico campo dei Verani, gens senatoria ai tempi della repubblica romana. Il nostro cimitero fu fondato lungo la via consolare Tiburtina durante il regno napoleonico del 1805-1814, in ossequio all’Editto di Saint Cloud del 1804 che imponeva le sepolture al di fuori le mura delle città.

Nel 1811 iniziano i lavori del primo nucleo, progettato da Giuseppe Valadier, ma sono interrotti pochi anni dopo, nel periodo della Restaurazione (1814), quando prevale nuovamente l’uso di seppellire i defunti all’interno delle chiese. Riprendono negli anni Trenta, sotto il pontificato di Gregorio XVI (1831-1846), quando per volere del cardinal vicario Carlo Odescalchi, vengono redatte le nuove normative cimiteriali. Nel 1837 un nuovo impulso ai lavori si rende necessario a causa di un’epidemia di colera, che imperversa sulla città, provocando oltre 13.000 morti.

Quando Pio IX viene eletto al soglio pontificio, nel 1846, il campo Verano si presenta come un enorme insieme di terreni, parzialmente recintati, con una serie di tombe a pozzo e una cappella lignea. Tra i progetti del nuovo pontefice (1846-1878), deciso a imprimere un volto nuovo e più moderno alla città, attraverso la realizzazione di grandiose opere pubbliche e la riorganizzazione dell’amministrazione comunale, troviamo anche la sistemazione risolutiva del Cimitero del Verano, a opera dell’architetto di fiducia del papa: Virginio Vespignani. L’architetto sostituisce l’antica cappella lignea con la chiesa di Santa Maria della Misericordia, consacrata nel 1860, edifica il Quadriportico, avvia la sistemazione del Pincetto e della Rupe Caracciolo, infine realizza l’ingresso monumentale. Il cimitero viene progressivamente ampliato con l’acquisto di terreni limitrofi e nuovi lavori sono affidati agli architetti Agostino Mercandetti e Gioacchino Ersoch.

Tra il 1880 e il 1906, vengono aperti i reparti israelitico e acattolico e sono realizzati il forno crematorio, l’edificio per le autopsie e il serbatoio idrico dell’Acqua Marcia. Nel 1928 si inaugura l’Ossario per i caduti romani della prima guerra mondiale, progettato da Raffaele De Vico, vincitore del concorso bandito sei anni prima. Il 19 luglio 1943, nel primo grande bombardamento di Roma, oltre al quartiere, alla basilica e allo scalo ferroviario di San Lorenzo, venne colpito anche il cimitero. Furono danneggiati il quadriportico, il Pincetto, il sacrario militare, il deposito comunale dei servizi funebri. Le esplosioni provocarono anche il crollo di un tratto delle mura di cinta, poste alla destra dell’ingresso, causando la morte di alcune persone che vi avevano cercato riparo. Numerose furono le vittime fra i fiorai e i marmisti di piazzale del Verano. Subirono danni, tra le altre, le tombe di Petrolini e della famiglia Pacelli.

Tra i luoghi del Verano di intensa suggestione c’è il terrazzamento del rilievo chiamato Scogliera del Monte realizzata tra il 1870 e il 1876: varie file di alte mura costruite con blocchi di tufo, una pietra locale di area romana, sostengono diverse stele marmoree dei defunti. Così come la Rampa Caracciolo, opera realizzata nel 1918 dall’architetto Corrado Cianferoni, in cui sarà collocato negli anni ’50 il sepolcro del poeta dialettale romanesco Trilussa. Oppure le tante originali tombe del Pincetto: la Cappella Barbavara è stata progettata come un alto parallelepipedo in travertino dalla forma liscia e pulita decorandolo con un ricco motivo in stile Liberty. La Cappella Proia, è invece di forma rettangolare e ospita ai quattro angoli quattro statue di guerrieri valorosi che giacciono immobili stringendo una spada. Interessante il forte contrasto architettonico tra il linguaggio decorativo della struttura e il tetto che pare non avere nessun legame apparente con essa. La Cappella Manzi, infine, chiaramente ispirata al popolo Inca, ricorda culture lontane.Non troppo distante dalla piazza circolare del Pincetto Nuovo, si trova un’altra tomba che cattura l’attenzione non per il suo eclettismo architettonico ma per l’amara storia di cui è stata essa stessa testimone. Si tratta della tomba del celebre regista Roberto Rossellini, maestro del neorealismo Italiano. Ciò che più colpisce non è il sepolcro, ma una colonnina in ghisa che in modo del tutto inaspettato si leva dal terreno accanto alla tomba di famiglia.

È la colonnina di un telefono che ricorda il tempo in cui le comunicazioni avvenivano solo via cavo. È certamente insolito trovare un telefono proprio nel bel mezzo di un cimitero monumentale e la spiegazione di questa “anomalia” è molto triste. Nel 1946 durante le riprese del film Germania anno zero, Romano, il primogenito del regista Rossellini, aveva prematuramente perso la vita a soli 9 anni. Il regista e la moglie distrutti dal dolore non riuscivano a staccarsi dal luogo che costudiva le spoglie del bambino e passavano incessanti giornate a vegliare la sua tomba. Fu così che la Teti, l’allora compagnia telefonica, installò un telefono sul posto da cui Rossellini potè concludere la direzione del film, diventato uno dei suoi indiscussi capolavori.

Nella zona orientale del Cimitero del Verano è possibile visitare il Sacrario Militare, costruito tra il 1922 e il 1931. È stato costruito come se fosse un teatro con al centro l’altare e intorno un muro semicircolare al cui centro è scritta la frase latina “Suis civibus in acie interemptis Roma mater” (“la madre Roma ai propri cittadini uccisi in battaglia”). Sui lati del muro sono incisi i nomi di tutti i caduti in guerra: 2847 soldati caduti durante la Prima Guerra Mondiale e 2131 nella Seconda Guerra Mondiale. Nel 1880 il Cimitero del Verano è stato ampliato con la costruzione del cimitero israelitico e il relativo Tempio, dove si svolgono le cerimonie funebri religiose.Davanti al Tempio ebraico si trova il cippo commemorativo dei deportati romani, progettato dall’architetto Angelo Di Castro, mentre nella parte posteriore è stato apposto il monumento in memoria degli ebrei morti in Libia

Il luogo più originale è il Tempietto Egizio, di un monumento che, come dice il nome, ha la struttura e l’aspetto dei templi funerari di età tarda tolemaica, come ad esempio i templi di Edfu e Kalabsha o quello di Thot a Pselchis. Fu costruito tra la fine del XIX secolo e i primi del Novecento, tra il 1880 ed il 1906. Presso l’Archivio Storico Capitolino è conservata una foto scattata durante i lavori di ultimazione, ma è senza data. Quello che però sappiamo è che che negli anni Trenta del secolo scorso il Tempietto Egizio era completato e veniva usato come camera di incinerazione: è infatti qui che Luigi Pirandello fu cremato ed è qui che l’urna con le sue ceneri fu conservata per ben undici anni, per poi essere trasferita, come da ultime volontà dello scrittore, ad Agrigento nel 1947 alla fine della guerra. Ai tempi di Veltroni, fu ristruttrato per la celebrazione dei funerali civili.

Una sorta di genius loci del Verano è Filippo Severati, autore di più di duecentocinquanta ritratti conservati nel Cimitero Monumentale e ancora in buono stato di conservazione, nonostante l’esposizione agli agenti atmosferici per oltre un secolo: figlio d’arte – il padre Francesco era pittore e miniaturista – nasce a Roma il 4 aprile 1819, si forma all’Accademia di S.Luca e si afferma come incisore e disegnatore ma anche come abile ritrattista. Intorno al 1850, Filippo comincia a dedicarsi alla pittura funeraria e realizza i suoi ritratti stendendo i colori a smalto su un supporto in porcellana o pietra lavica, sottoponendoli poi a diverse fasi di cottura che conferivano loro caratteri cromatici eccezionali per inalterabilità e durevolezza. Nel 1859 Severati ottiene così dal Ministero pontificio dell’Industria, Commercio e Belle Arti un brevetto per il «nuovo metodo di dipingere a fuoco sulla porcellana e sulla lava smaltata», conservato oggi presso l’Archivio di Stato di Roma. Tale nuova modalità pittorica, di grande qualità e di eccezionale resistenza alle intemperie, valse al disegnatore il titolo onorifico di “porcellanista” (gli fu conferito da Papa Pio IX). Le realizzazioni di Severati hanno saputo tramandare non solo le effigi delle persone ritratte con una vivezza straordinaria, ma anche i segni di un periodo storico, di un ambiente sociale, attraverso i piccoli dettagli dei vestiti o dei gioielli, che permettono di ricostruire una sorta di storia del costume e delle tradizioni dell’epoca.

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