
Amo il West. Non il luogo fisico, non sono mai stato in America e ho forti dubbi sul fatto che mai ci andrò, ma lo spazio mitologico e mentale, in cui narrare infinite storie: quelle tragiche di McCarthy, in cui l’Uomo, incapace di distinguere il Bene e il Male, più contare soltanto sul suo onore e sulla sua fame di giustizia, sfidando l’ira del Fato.
O quelle religiose di Sergio Leone, in cui in un mondo di sangue e polvere, si muovono giudici, profeti e peccatori rubati all’Antico Testamento. O quelle epiche di John Ford, in cui il West diventa simbolo di tutto ciò che vorremmo arricchisse la nostra vita e la rendesse più degna d’essere vissuta: la libertà che nasce dalla consapevolezza di come l’Infinito sia a portata di mano, l’etica semplice e immediata, la possibilità di rimettersi in discussione e sfuggire alle maschere che gli altri ci impongono.
Giacomo Marco Valerio, lo dico con affetto, con la sua pacata saggezza e i suoi silenzi non sfigurerebbe in un film di John Ford, come uno di quei pionieri, simile a Davy Crockett, capaci con semplicità e naturalezza di affrontare sfide che ad altri farebbero tremare le vene ai polsi. Sfide che appartengono alla nostra natura di uomini, di cui non possiamo fare a meno.
La sintonia tra Giacomo e questo immaginario si manifesta con forza nella mostra Western Carmina, presso AU CABARET VERT in via san Maurillio 14 a Milano.
Una mostra in cui domina l’Eterno e l’Infinito. Giacomo, con il suo sguardo, ruba l’essenza delle cose, delle persone e dei panorami e la proietta in una dimensione altra, in cui il Tempo non infligge al Mondo le sue ferite.
La dimensione dell’epos, in cui ognuno di noi, libero da vincoli e laccioli, riscopre la sua realtà primigenia, il suo essere libero e responsabile. Il sentirsi come Ulisse dinanzi all’Oceano, pronto a chiedersi cosa vi sia oltre l’orizzonte. Oppure essere giovani e incoscienti, ricordando le parole di Sarpedonte nell’Iliade
Amici, se una volta sopravvissuti alla guerra, noi non dovessimo mai invecchiare, né morire, allora io non combatterei nelle prime file, né vi esorterei alla battaglia, gloria degli uomini; ma, poiché in ogni caso ci sovrastano i destini della morte, che nessun mortale può sfuggire o evitare, avanti
E questa fame di libertà non si mostra solo nelle immagini, ma nella natura stessa della mostra. In un mondo sempre più segmentato, dove le Arte e Letteratura non dialogano più, le fotografia di Giacomo dialogano e si fondono con le poesie di Pietro Della casa.
Immagini e parole si completano, arricchendosi e creando nuove suggestioni, nel riproporre l’armonia originaria, l’Uomo nella sua completezza dell’Essere, specchio del Cosmo che lo circonda, che troppo spesso consideriamo perduta.
Persino il luogo della mostra, un negozio in cui oltre all’abbigliamento originale USA si vendono maglioni artigianali con caschmere bio, colorato con tinture naturali presi da piante e fiori, è frutto di questa scelta di libertà.
Rompere ogni schema e categorizzazione, la fissazione odierna di dividere luogo e luogo, ricordando che l’Arte se non si fa vita e quotidiano, è inutile