Scoubidou

Strana parola, suono
immagine che affoga
in crepe di ricordi.
Un televisore bombato
verde, su un carrello
pacchiano, facile a scaldarsi.

Mio padre che bestemmia
cambiando una valvola
un pugno all’alimentatore
e la nebbia sullo schermo
muta in un cane folle
e nell’amico sempre affamato
che come il tempo
tutto divora

Mia madre mi porge
pane e marmellata
mentre i nonni giocano
una partita infinita

Sul tavolo danzano
i nomi dei morti
sospiri, santini
un grigio elenco
da cui ogni giorno
spunto un nome

Addio Gabriele Basilico

Addio Maestro che mi ha insegnato a scoprire il mistero nascosto nella Città… Nelle tue foto respira l’Infinito…  Ti possano far compagnia le parole del buon Pessoa

La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento il tuo passo
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
La menzogna non ha nido.
Nessuno si è mai perduto.
Tutto è verità e via

 

In memoria d’Ofelia d’Alba

saffo

 

Da voi, pensosi innanzi tempo,
troppo presto
tutta la luce vana fu bevuta,
begli occhi sazi nelle chiuse palpebre
ormai prive di peso,
e in voi immortali
le cose che tra dubbi prematuri
seguiste ardendo del loro mutare,
cercano pace,
e a fondo in breve del vostro silenzio
si fermeranno,
cose consumate:
emblemi eterni, nomi,
evocazioni pure ..

Ungaretti

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte

 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Pavese

Lamia

Non fuggono forse via, tutti gli incanti
al semplice tocco della fredda filosofia ?
C’era una volta in cielo un sacro arcobaleno:
ne conosciamo l’ordito, ora, e la struttura,
ed ecco riposta la sua fattura
nello stanco crogiolo delle banalità
Taglierà le ali all’Angelo, la filosofia,
vincerà con riga e squadra ogni mistero,
svuoterà l’aria d’ogni sua incantata presenza
e le miniera degli gnomi dissolverà l’arcobaleno

Keats

Il Secondo Avvento

ferruccio

 

Ruotando e roteando nella spirale che sempre più si allarga,
Il falco non può udire il falconiere;
Le cose si dissociano; il centro non può reggere;
E la pura anarchia si rovescia sul mondo,
La torbida marea del sangue dilaga, e in ogni dove
Annega il rito dell’innocenza;
I migliori hanno perso ogni fede, e i peggiori
Si gonfiano d’ardore appassionato.

Certo qualche rivelazione è vicina;
Certo s’approssima il Secondo Avvento.
Il Secondo Avvento! E le parole sono appena dette
Che un’immagine immensa sorta dallo Spiritus Mundi
Mi turba la vista; in qualche luogo nelle sabbie del deserto
Una forma dal corpo di leone e dalla testa d’uomo
Con gli occhi vuoti e impietosi come il sole avanza
Con le sue lente cosce, mentre attorno
Ruotano l’ombre degli sdegnati uccelli del deserto.
Nuovamente la tenebra cade; ma ora so
Che venti secoli di un sonno di pietra
Furono trasformati in incubo da una culla che dondola.
E quale rozza bestia, finalmente giunto al suo tempo avanza
Verso Betlemme per esservi incarnata?

William Butler Yeats

Cibo, poesie e supereroi

Per attutire l’impatto con il ritorno al lavoro, qualche piccola segnalazione.

Il mio amico Riccardo, il titolare di Siciliani Creativi, sta partecipando al contest ‘Sua maestà la mozzarella di bufala’ del blog ‘Cappuccino e cornetto’.

In tale occasione, lui e la sorella Ada propongono una versione rivista della tradizionale mozzarella in carrozza e un lussurioso timballo di pesce spada, melanzane e mozzarella di bufala.

Dopo il cibo per il corto, quello per l’anima… Le belle poesie di Liè Larousse…

Infine… Chi mi conosce sa che sono un appassionato di supereroi, tanto da partecipare al progetto E-Heroes di Edizioni Scudo…Ma non mi sarei mai aspettato quanto descritto in Supergiusti, Supertosti e Superveri

Western Carmina

westernC

 

Amo il West. Non il luogo fisico, non sono mai stato in America e ho forti dubbi sul fatto che mai ci andrò, ma lo spazio mitologico e mentale, in cui narrare infinite storie: quelle tragiche di  McCarthy, in cui l’Uomo, incapace di distinguere il Bene e il Male, più contare soltanto sul suo onore e sulla sua fame di giustizia, sfidando l’ira del Fato.

O quelle religiose di Sergio Leone, in cui in un mondo di sangue e polvere, si muovono giudici, profeti e peccatori rubati all’Antico Testamento. O quelle epiche di John Ford, in cui il West diventa simbolo di tutto ciò che vorremmo arricchisse la nostra vita e la rendesse più degna d’essere vissuta: la libertà che nasce dalla consapevolezza di come l’Infinito sia a portata di mano, l’etica semplice e immediata, la possibilità di rimettersi in discussione e sfuggire alle maschere che gli altri ci impongono.

Giacomo Marco Valerio, lo dico con affetto, con la sua pacata saggezza e i suoi silenzi non sfigurerebbe in un film di John Ford, come uno di quei pionieri,  simile a Davy Crockett, capaci con semplicità e naturalezza di affrontare sfide che ad altri farebbero tremare le vene ai polsi. Sfide che appartengono alla nostra natura di uomini, di cui non possiamo fare a meno.

La sintonia tra Giacomo e questo immaginario si manifesta con forza nella mostra Western Carmina, presso AU CABARET VERT in via san Maurillio 14 a Milano.

Una mostra in cui domina l’Eterno e l’Infinito. Giacomo, con il suo sguardo, ruba l’essenza delle cose, delle persone e dei panorami e la proietta in una dimensione altra, in cui il Tempo non infligge al Mondo le sue ferite.

La dimensione dell’epos, in cui ognuno di noi, libero da vincoli e laccioli, riscopre la sua realtà primigenia, il suo essere libero e responsabile. Il sentirsi come Ulisse dinanzi all’Oceano, pronto a chiedersi cosa vi sia oltre l’orizzonte. Oppure essere giovani e incoscienti, ricordando le parole di Sarpedonte nell’Iliade

Amici, se una volta sopravvissuti alla guerra, noi non dovessimo mai invecchiare, né morire, allora io non combatterei nelle prime file, né vi esorterei alla battaglia, gloria degli uomini; ma, poiché in ogni caso ci sovrastano i destini della morte, che nessun mortale può sfuggire o evitare, avanti

E questa fame di libertà non si mostra solo nelle immagini, ma nella natura stessa della mostra. In un mondo sempre più segmentato, dove le Arte e Letteratura non dialogano più,  le fotografia di Giacomo dialogano e si fondono con le poesie di  Pietro Della casa.

Immagini e parole si completano, arricchendosi e creando nuove suggestioni, nel riproporre l’armonia originaria, l’Uomo nella sua completezza dell’Essere, specchio del Cosmo che lo circonda, che troppo spesso consideriamo perduta.

Persino il luogo della mostra, un negozio in cui oltre all’abbigliamento originale USA si vendono  maglioni artigianali con caschmere bio, colorato con tinture naturali presi da piante e fiori, è frutto di questa scelta di libertà.

Rompere ogni schema  e categorizzazione, la fissazione odierna di dividere luogo e luogo, ricordando che l’Arte se non si fa vita e quotidiano, è inutile

 

Io che ci faccio qui (ossia le avventure semiserie di uno scrittore di fantascienza in un convegno sulla poesia)

 

In Illo tempore intervistai per Quaz Art Alessandro D’Agostini. Venne fuori una bella e interessante chiacchierata, in cui si sviscerarono vari temi legati alla poesia e all’avanguardia.

Da quel momento, è nata una stima reciproca. Un paio di settimane fa, o giù di lì, Alessandro mi ha invitato a partecipare a un convegno sulla poesia alla Casa delle Letterature (per i romani, è dentro l’oratorio dei Filippini alla Chiesa Nuova)

Per amicizia, ho detto di sì…Poi, a causa dei problemi di lavoro che mi hanno travolto nelle ultime settimane, la questione è passata in cavalleria.

Finchè ieri sera, fuggendo di soppiatto dall’ufficio, mi sono trovato al tavolo della presidenza, tra il maestro Elio Pecora e un attore reduce dal Padrino.

Panico totale: io non scrivo versi, ma di steampunk, di guerrieri alla Mad Max che vagano in una Roma post apocalittica, di zombi a Piazza Vittorio, di dinosauri a Bareggio e granchi giganti in giro per l’Ostiense.

Non scrivo versi, perchè non ne ho l’ispirazione, perchè non ne sono capace, perchè, cosa che molti dimenticano, la poesia presuppone non solo idee, ma anche tecnica.

E quella non si improvvisa, nasce da studio, da esercizio e da fatica.

Neppure posso definirmi in critico di poesia, mancando degli strumenti culturali necessari: al massimo un lettore appassionato, traumatizzato da un terribile professore d’Italiano delle medie, prototipo del Padre Pucci de Il Canto Oscuro, che mi aveva fatto imparare a memoria centinaia e centinaia di versi.

Insomma, mi sentivo un dilettante allo sbaraglio, tra mostri sacri.

Interviene il maestro Pecora, che racconta della sua splendida esperienza con Poeti e Poesia. Le memorie di una vita, in cui davanti agli occhi sembrano materializzarsi i grandi nomi del Novecento.

E’ il turno di Alessandro che parla con giusto orgoglio dei Poeti d’Azione, della strada trascorsa e dei progetti futuri. E’ come vedere un bambino crescere ogni giorno davanti ai propri occhi e poi rimanere stupiti dell’uomo che ne è venuto fuori.

Alessandro termina il suo discorso. Mi introduce. Prego silenziosamente il misterioso santo che protegge gli scrittori di fantascienza. Attacco a braccio, parlando della mia esperienza di uomo della strada.

Non mi aspetto pomodorate, ho controllato prima che non vi fossero ceste di ortaggi andati a male, ma qualche fischio sì.

Un applauso… Tiro un sospiro di sollievo. Cominciano le letture delle poesie di Alessandro Agostini e Vittorio Varano che rubano emozioni…

Poi tutto finisce e mi tocca tornare al solito lavoro e alla solita vita

La fine der Monno

Come saranno ar monno terminate
le cose c’ha ccreato Ggesucristo,
se vederà usscí ffora l’Anticristo
predicanno a le ggente aridunate.

Vierà ccor una faccia da torzate,
er corpo da ggigante e ll’occhio tristo:
e pper un caso che nun z’è mmai visto,
nasscerà da una monica e dda un frate.

Poi pe ccombatte co sta bbrutta arpia
10tornerà da la bbùscia de San Pavolo
doppo tanti mil’anni er Nocchilia.

E appena usscito da l’inferno er diavolo
a spartisse la ggente cor Messia,
resterà er Monno pe sseme de cavolo

Belli