Capro Espiatorio

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Chi afferma che Marino sia stato eletto con il 64% dei romani, in realtà dice una parziale inesattezza: se consideriamo il totale del corpus elettorale, la percentuale con cui Marino è stato eletto è il 27%.

In termini assoluti, ha preso 668.890 voti. Per fare un confronto, Rutelli, la tornata precedente, quando è stato sconfitto da Alemanno, è stato votato da 676.472 romani.

Ciò implica come, quasi elettori su quattro, non hanno considerato adeguata la proposta politica di Marino e il suo programma. Un’amministrazione seria e competente, si sarebbe subito posta il problema della sua rappresentatività, soprattutto in un contesto di scarsità di risorse, che avrebbe imposto delle scelte sui servizi a cui dare priorità.

Il che avrebbe significato da una parte entrare in sintonia con la Città, capendone le principali esigenze, dall’altra costruire una “Grande Narrazione”, alla Veltroni, per far comprendere agli elettori i perchè delle proprie scelte.

L’amministrazione Marino è stata carente su entrambi i fronti. Ha confuso le richieste, anche legittime, di parte della minoranza che lo appoggiava con quelle dell’intero corpus elettorale ed è stata incapace di comunicare con efficacia le cose buone che ha realizzato.

Per cui l’opinione pubblica si è concentrata sui fallimenti, sulle promesse mancate, sulle buone intenzione realizzate con dilettantismo e approssimazione, piuttosto che sui successi.

Il che ha causato un crollo del consenso che si è ribaltato su un PD in crisi di legittimità, che, nel tentatvo di salvare se stesso, ha buttato a mare la sua amministrazione

E li cinquecento talenti ?

No, non infierirò su Marino: sono sempre stato un suo avversario, non ho mai apprezzato il suo modello di sviluppo e gestione della città, ho avuto sempre forti dubbi sul suo spessore umano, intellettuale e morale e ho considerato la politica culturale della sua amministrazione degna di una scimmia sotto un trip lisergico.

Non voglio maramaldeggiare. Perchè la sua parabola rappresenta, al di là dei sui meriti e demeriti personali, una perfetta metafora della politica italiana: autoreferenziale, chiusa nei suoi egoismi di casta, incapace di proporre soluzioni ai problemi del quotidiano.

Casta che, per legittimarsi, non si basa più sulle ideologie o sui programmi concreti, ma si affida a uomini immagine, per abbagliare l’elettore e nascondere dietro un carisma, più o meno fondato, la mancanza di idee.

Uomini immagine che vengono usati come parafulmini, distraendo l’opinione pubblica con le loro inadeguatezze dalle colpe generali di un sistema politico arretrato e feudale, e scaricati, come capri espiatori di fallimenti più grandi di loro…

Marino è stato proprio questo: esaltato all’inizio dal PD, è stato poi buttato a mare, affinché la classe dirigente che lo ha usato potesse ricostruire una propria verginità.

Delle macerie che tale operazione ha lasciato, non sembra importare loro nulla… Tanto il compito di nasconderle, sarà del prossimo salvatore della Patria… Un circolo vizioso da cui non se ne può uscire, se non ripensando radicalmente gli strumenti della politica, della partecipazione e della gestione condivisa del bene pubblico.

Non leader impovvisati, ma impegno comune e condiviso… Perchè come diceva Gassman in un vecchio film di Magni, Scipione detto l’Africano

Scipione è grande, invece le repubbliche, pe’ sta’ in pace, devono esse’ fatta di gente piccola

Gente piccola che però si deve impegnare ogni giorno, nel costruire una società più umana e vivibile..

Ucronie e Storia

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Uno dei problemi, quando si scrive la narrativa ucronica, è la conoscenza del contesto in cui si ambientano le proprie storie.

Non perchè l’autore sia pigro o ignorante: a volte, mancano proprio le informazioni.

Faccio un esempio: una mattina mi sveglio e per qualsiasi arcano motivo, mi viene in mente di scrivere un romanzo, in cui Teofilatto, invece di nominare come papa Giovanni X, fa eleggere un candidato più docile, trasformando Roma e il Lazio nel dominio permanente dei Conti di Tuscolo.

Tutto bene, in linea di massima i fatti si conoscono,senonché sorge un piccolo, insignificante, problema. Quanto è popolata la Roma dell’epoca ? Quali edifici sono utilizzati ? Come campano i suoi abitanti ?

E’ un deserto, in cui quattro straccioni si muovono tra rovine o una città a suo modo vitale ?

Sembra strano, ma un dato del genere, che condiziona pesantemente l’ambientazione, non è noto.

Di fatto, è in corso una polemica senza fine sul tema: parte degli storici taliani afferma che vi fossero meno di 10.000 abitanti. Storici francesi, con una serie di conti, che di fatto sono riconducibili a:

1) sommiamo le 10 centurie di milites delle scholae di Borgo, le quaranta della civitas, i burocrati citati nel Liber Pontificalis e un x variabile a piacere di artigiani, mercanti e contadini
2) Moltiplichiamo tutto per 4

Ottengono tra i 24.000 e i 35.000 abitanti, in linea con le stime di Gregorovius

Storici e archeologi inglesi, da estrapolazioni statistiche dovute alla presenza del vasellame negli scavi del Sessorianum e della Crypta Balbi e dall’analisi delle necropoli, partendo dalle ricerche Roberto Meneghini e Riccardo Santangeli Valenzani, arrivano a sparare anche la cifra di 90.000 abitanti, ossia superiore al picco demografico del 1300 e di poco inferiore ai dati certi su Costantinopoli.

Il bello che l’archeologia, sia per la distruzione dovuta a Savoia e a Mussolini degli strati archeologici alto medievali dell’Esquilino e di parte del Rione Monti che pare fossero le zone più densamente popolate dell’epoca, sia per le nuove scoperte, che hanno dimostrato come a differenza di quanto si pensasse, la zona di Piazza Navona fosse tutt’altro che deserta, confonde sempre di più le idee.

Si può ipotizzare una popolazione in crescita, per la ristrutturazione delle domus cultae, e un certo boom economico, però alla prova dei fatti, sono tutte supposizioni…

Marino e Pareto

Per comprendere cosa è avvenuto in questi anni a Roma, è necessario far ricorso al buon vecchio Vilfredo Pareto.

Secondo questo sociologo, ogni società ha dovuto di volta in volta misurarsi con il problema dello sfruttamento e delle distribuzione di risorse scarse. L’ottimizzazione di queste risorse è quella che viene assicurata, in ogni ramo di attività, dagli individui dotati di capacità superiori: l’élite. È interessato in particolar modo alla circolazione delle élite: “la storia è un cimitero di élite”. A un certo punto l’élite non è più in grado di produrre elementi validi per la società e decade; nelle élite si verificano due tipi di movimenti: uno orizzontale (movimenti all’interno della stessa élite) e uno verticale (ascesa dal basso o declassamento dall’élite).

A Roma, in cui dai tempi di Romolo la politica non è coincisa con la gestione del bene comune, ma con la rappresentazione di interessi di clientel egoiste, le risorse da distribuire, sempre più scarse per la crisi economica, erano costituita dalle finanze pubbliche e dal sottogoverno.

Risorse per cui lottavano due gruppi di potere, che facevano riferimento, più per identificarsi che per convinzione, alla Destra e alla Sinistra.

Negli ultimi vent’anni, però, questi gruppi di potere, invece che scontrarsi, hanno deciso che fosse più comodo ottimizzare la distribuzione delle risorse ai loro sodali, trovando un accordo i cui termini venivano rinegoziati più o meno esplicitamente a valle dei risultati elettorali.

Gruppi di potere, che, data la complessa articolazione della società romana, tendevano a essere tentacolari e inclusivi, inglobando, nella gestione del consenso e nella ridistribuzione delle risorse, clientele a volte contraddittorie, dalla chiesa agli ultras del calcio, dalla malavità al proletariato intellettuale.

La scelta di Marino rientrava, da parte del PD romano, in questa ottica: un uomo di paglia, da piazzare al Campidoglio, che non disturbasse la condivisione del potere e la circolazione orizzontale delle risorse nelle élite.

Calcolo parzialmente sbagliato: Marino, pur non intaccando gli interessi acquisiti, con le nomine burocratiche, con l’assessorato dato ad Ozzimo, la passività rispetto all’azione di Odevaine sul numero di profughi da accogliere a Roma, dalle delibere a favore della cooperativa “29 giugno”, ha cercato di crearsi un suo spazio di potere, la circolazione verticale, creandosi i suoi clientes tra i radical chic.

Politica che andando a danno della città, con il taglio dei servizi alle periferie, ha messo in crisi tutti gli equilibri; si è aperta così una lotta che, più per fortuna che per virtù, lo vede vincente.

Il rischio, però, è che possa essere a medio termine vittima della dinamica che ha innescato.

Perchè, come osservava sempre Pareto, più è veloce l’ascesa di élite, più è rapido il suo crollo

Nel segno del rock

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In una Roma, in cui la politica considera le periferie come delle discariche sociali, a cui tagliare servizi, AmArte è qualcosa di più di un evento o di un progetto: è il grido di orgoglio di quelle che con spocchia il Campidoglio considera cittadini di seconda classe.

Per ribaltare tale posizione, poco serve gridare i propri diritti, perché si viene demonizzati o al massimo si ottiene la passerella del potente di turno, in cerca di visibilità.

Serve proporre un nuovo modello culturale e sociale, basato sulla creatività diffusa e la valorizzazione del bene comune.

Per far questo, AmArte appoggia una serie di eventi: il primo è nel Segno del Rock, che si svolgerà venerdì 28 novembre ore 21 presso il eatro Biblioteca Quarticciolo in
Via Ostuni, 8, 00171 Roma.

Nato da un’idea a di Marco Abbondanzieri ed Enrico Capuano con Katmandù Project, Eleonora Betti, Contro Destino, MASH, No leader, SLS e organizzato dall’Associazione Culturale Clama Cults, si pone come obiettivo il icercare i talenti in casa nostra, nel nostro ambiente familiare, nelle nostre scuole popolari di musica, nei centri di aggregazione culturale e se possibile per strada. Quella strada che ha formato migliaia di giovani musicisti e che oggi sembra morire sopraffatta dalla potenza dei Media.

L’altro progetto è la realizzazione del presepe nel centro anziani di via Francesco Ferraironi 98, dove gli artisti Rodolfo Cubeta, Andrea Cardia e Claudio Lia collaborano con i bambini del quartiere, per diffondere l’amore per il bello, la curiosità sul Mondo e creare un ponte tra generazioni.

Io nun so’ ‘n politico

presa in giro

 

Due righe sulla questione Taverna. Non ipotizzo complotti del PD, né demonizzo la signora Zammataro.

Posso però evidenziare due cose: la prima è che la sua presenza testimonia nel concreto come qualsiasi tentativo di connotare di Destra o di Sinistra la protesta, nata dal degrado di un territorio contro un’amministrazione che lo ha penalizzato nei servizi e che si è espresso nella maniera peggiore, è figlio di un’ignoranza concreta della realtà di Tor Sapienza.

I politici di ogni colore che cercano di metterci il cappello, non rappresentano i cittadini, ma cercano solo un poco di visibilità.

La questione, più seria, è sul fatto che politico sia diventato un insulto, una parola di cui vergognarsi. Sia la Taverna, senatrice della Repubblica, sia la Zammataro, candidata al V municipio con scarsa fortuna, se ricordo male prese sulle 250 preferenze e non fu eletta, sono, a livello diverso, politici.

Perchè entrambi rappresentano i cittadini e dovrebbero servire la comunità: vergognarsi di questo, è un veleno per la democrazia.

Come ben diceva Pericle

Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati, e se anche ci dedichiamo ad altre attività, ugualmente non manca in noi la conoscenza degli affari pubblici. Siamo in soli, infatti, a considerare non soltanto ozioso, ma addirittura inutile chi non se ne interessa

Chi nega il ruolo della politica, tradisce il suo ruolo di cittadino, per ridursi a potenziale schiavo: il fatto che a Roma e in Italia la politica si sia ridotta alla gestione di clientele e al tutela di egoisti di ceto e di classe, non deve essere un alibi per la fuga, ma un incentivo a ridonarle dignità

I due razzismi di Tor Sapienza

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Cos’è il razzismo ? Il rifiuto dall’altro, su cui vengono proiettate le proprie paure e i propri pregiudizi, nato dall’ignoranza delle sue ragioni.

A Tor Sapienza si manifestano due razzismi: il primo, evidente, è quello degli abitanti della borgata nei confronti degli stranieri del Centro di Accoglienza, usati come ingiusto capro espiatorio di tante tensioni sociali.

Il secondo, più sottile, è quello dei tanti radical chic, romani e non solo, che per capire dove è quella borgata hanno bisogno del Pigneto come punto di riferimento, che demonizzano a priori gli abitanti della periferia, ignorandone tutto.

Danno loro dei fascisti: ma se studia un poco la storia, cosa troppo faticosa per chi passa le serate tra mercatini vintage e apericene, Tor Sapienza è sempre stata una delle roccaforti della Sinistra romana.

Fondata dall’antifascista Michele Testa, nelle ultimi elezioni comunali, ha votato in massa Marino che al primo turno prese il l primo turno ha preso il 47%, al secondo turno il 69%. (il PD prese il 30.2% Sel 7% Lista Civica Marino 8,5% numeri più elevati di quelli già impresionanti del V Municipio)

Pe cui, nonostante i vari Borghezio e Meloni, chi protesta tutto è, tranne simpatizzante dell’estrema destra: è il popolo della vecchia Sinistra,piena di nostalgia per Berlinguer e per le feste dell’Unità che si sente tradita e umiliata dai vertici del partito in cui credeva.

Sinistra che ingenuamente, perchè ignara del suo programma, ha votato in massa Marino, sperando che rappresentasse ciò in cui ha sempre creduto: più equità, più servizi per i più deboli, una maggiore tutela dai soprusi.

E che invece è stata tradita, trovandosi davanti, da parte dall’attuale giunta, una chiusura e un rifiuto inaspettato: è quasi impossibile e parlo per esperienza personale, far smuovere un assessore dalla sua poltrona, per farlo spostare oltre la Palmiro Togliatti.

Una giunta a misura di radical chic, prontamente integrati nel suo sistema di potere, ma ignara dei bisogni del popolo: ad esempio, si riempie la bocca di numeri e percentuali sulla raccolta differenziata (sempre minore di Milano), ma ignora che dalla Collatina in poi, se si è fortunati, si vede il furgone dell’Ama un paio di volte alla settimana.

O che ha diminuito spietatamente i servizi nelle periferie: per limitarci al trasporti pubblico il V e il VI municipio (rispettivamente ex VI/VII ed ex VIII) sono stati i più colpiti dai tagli delle linee ATAC.

Tagli che, in una sorta di neolingua orwelliana, sono stati spacciati come razionalizzazioni.

O che ignora lo scandalo infinito di Via Salviati

Quello che succede a Tor Sapienza è anche frutto di questa insensibilità per le periferie: è un grido di protesta, mal diretto, nei confronti di una classe dirigente tanto inetta quanto velleitaria.

E irriderlo, come fanno i radical chic, senza volere affrontare alla radice il problema, significa solamente gettare sale sulle ferite.

Marx, Tor Sapienza ed Esquilino

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Purtroppo ho un formazione vetero marxista: questo mi dona uno sguardo sulle cose disincantato sulle cose che molto definiscono cinico. Roma è sempre stata una città a forti diseguaglianze: la crisi economica non ha fatto che polarizzare queste differenze, creando “zone privilegiate” e “zone marginali”.

Nelle prime, il tessuto sociale non solo ha resistito alla crisi, ma ha addirittura sviluppato una capacità di organizzare forti gruppi di pressione, capaci di influenzare direttamente o indirettamente la politica comunale.

Nelle seconde, il tessuto sociale si è invece sfilacciato, rendendo difficile l’aggregazione e la possibilità di far percepire le proprie istanze al Potere.

Veltroni, Alemanno e soprattutto Marino hanno adottato una politica cinica: pur andando al potere con i voti delle zone marginali, nel governare si sono appoggiati alle zone privilegiate.

Queste hanno fatto la parte del leone nella ridistribuzione delle risorse, mentre alle marginali sono stati tagliati selveggiamente i servizi, scaricandovi al contempo tutte le potenziali fonti di conflitto sociale.

Un politica basata sul servilismo nei confronti dell’alta borghesia, del clientelismo nei confronti della piccola e sul disprezzo nei confronti del proletariato che Gramsci non avrebbe esitato a definire fascista.

Come risultato, se i privilegiati sono tenuti lontani dalle tensioni o le gestiscono tramite una flessibilità sociale, queste fioriscono nelle aree marginali: come avviene spesso nella storia, invece di scaricarsi sul Potere, queste tensioni colpiscono i più deboli, l’equivalente del sottoproletariato, perchè i penultimi sono convinti che gli ultimi possano essere un pericolo per quel tozzo di pane che guadagnano con fatica.

L’Esquilino, nonostante i continui piagnistei dei suoi abitanti, per una serie di motivi, dalla sua gentrificazione alla nascita di una borghesia cantonese, appartiene alle aree privilegiate: basti confrontare i fondi del Campidoglio destinati al rione con quelli a Tor Sapienza o i progetti per Piazza Vittorio rispetto a quelli di Piazza del Quarticciolo.

E come risolvere il problema alla radice ? Le reti antirazzismo e sceneggiate varie, appartenendo alla sovrastruttura, non incidono sulla struttura: al massimo servono a tacitare la cattiva coscienza dei privilegiati.

Per agire sulla struttura, è necessaria una nuova politica di equità sociale, con investimenti seri nelle aree marginali, nel tentativo di ricostruire un tessuto sociale: una politica che abbandonando biciclette e pande rosse raccolga l’eredità di Petroselli e di Vetere.

 

I fatti di Tor Sapienza

Stamattina mi arriva una mail da parte di mio amico americano, redattore in un
giornale nella profonda provincia degli USA: ci eravamo conosciuti anni fa, quando,
per motivi di studio, bazzicava Roma. Voleva una paginetta sugli eventi di Tor
Sapienza… All’inizio ho declinato; al di fuori dell’ambito tecnico, il mio inglese è
mediocre… Poi, con massima sincerità, benchè da ragazzo bazzicassi Tor Sapienza,
vi ho trascorso tanti bei capodanni, è più un decenni che non la frequento e potrei
rischiare di confondere il Passato con il Presente. E il mio sguardo è viziato
dall’esperienza dell’Esquilino, esperimento riuscito, tra contraddizioni e difficoltà, di
convivenza tra infinite e diverse culture.

Ma stasera, per caso, ho letto il solito post dell’intellettuale con la puzza sotto al
naso, pronto a definire le persone che vivono, lottano e sognano in periferia come
un’orda di trogloditi, pronti a odiare chiunque sia diverso da loro o pronunci erre,
invece che “ere”.

E allora non ci ho visto più, perchè non sopporto di chi apre la bocca e ci mette
fiato. Gli eventi di Tor Sapienza sono qualcosa di più di una manifestazione di
razzismo: sono il culmine di una crisi, sociale e culturale, che si trascina da anni.

Come conseguenza delle politiche finanziare volute dagli ultimi governi, di destra o
di presunta sinistra, gli abitanti delle periferie si sono impoveriti: nell’ultimo
decennio il reddito medio è calato del 21% a fronte di un aumento della
disoccupazione che a seconda delle fonti statistiche varia dal 13% al 18%.

Ciò ha creato un progressivo collasso del tessuto sociale, peggiorato dal radicale
taglio dei servizi voluto dalle amministrazioni capitoline e in questo la classista
giunta Marino, che carezza il pelo ai salotti buoni, dimenticandosi degli ultimi, ha
gravissime responsabilità: chi abita in periferia si sente ormai un cittadino di serie B.

A questo si aggiunge il problema dell’ordine pubblico: la percezione che la polizia
sia impotente contro i piccoli delinquenti e che la legge tutto faccia, tranne che
tutelare gli onesti.

Frustrazione e paura generano rabbia e come in un romanzo cyberpunk la
sostituzione dello Stato con tante consorterie di cittadini, convinte che debbano e
possano risolvere i problemi da sole.

Una miscela esplosiva che basta poco ad accendere, scatenando un incendio che
brucia i più deboli e i meno integrati.

Che fare ? Qualcosa di più, della solita pantomima antirazzista, che lascia il tempo
che trova… Per prima cosa è necessario fare uno sforzo per riaffermare la presenza
dello Stato, non solo garantendo l’ordine pubblico, ma anche rilanciando servizi
sociali e culturali.

E a Roma, la Sinistra deve tornare a fare la Sinistra, smettendo di essera la domestica
dei radical chic e rimettendo il margine della città al centro della sua azione.