
Ieri, abbiamo ricordato “Leb” con la poesia che accompagna “Guerra e Architettura”. Oggi, vogliamo farlo riportando la lettera che introduce lo stesso libro.
Questo pamphlet è dedicato ai cittadini di Sarajevo, che tutt’ora sono vittime di un assedio martellante e patologico. Un assedio che ha avuto inizio più di quattordici mesi fa. La mia speranza è che le idee contenute in questo testo, nonostante siano state elaborate a distanza e nonostante ci sia per i cittadini di Sarajevo una grande urgenza, possano in qualche modo contribuire, quando verrà il momento, alla ricostruzione della loro città e del loro stile di vita.
Oggi, le torri bruciano a Sarajevo. I monumenti di acciaio e vetro, eretti dal progressismo illuminato dell’era della società industriale, sono ormai nient’altro che carcasse sventrate, così come i valori e le ideologie che incarnavano. I grattacieli di Sarajevo sono stati i bersagli principali dei cannoni appostati sulle colline, così come lo sono stati i minareti e le moschee, la grande biblioteca, l’ufficio postale, gli edifici universitari e tutti gli altri simboli della ragione e della sua promessa di società civile. Una volta dato il via all’uso dei proiettili incendiari non vi è stato alcun modo per salvare quegli edifici. Non solo hanno avuto i mezzi, ma anche un delicato ordito di ragioni per farlo. Le torri incendiate di Sarajevo rappresentano il segno della fine dell’epoca della ragione, se non della ragione stessa, oltre la quale non vi è altro che un dominio di incomprensibile oscurità.
Ma la guerra non è confinata a questa città, né alla culturalmente complessa penisola balcanica, per la quale Sarajevo era simbolo di speranza e tolleranza, mentre ora indossa una maschera di disperazione. Conflitti armati infuriano in tutto il mondo: in Azerbaijan, Moldova e Georgia, in Afghanistan, Kashmir e Sri Lanka, in Israele e in Libano, in Angola ed in una mezza dozzina di altri stati africani, così come in Irlanda del Nord, in Perù ed in Colombia. Come un temporale improvviso, una insurrezione civile ha attraversato l’area centro-meridionale di Los Angeles, lasciando dietro di sé, oltre che una notevole quantità di proprietà devastate, anche l’illusione americana che i cambiamenti violenti e forzati interessassero esclusivamente altre nazioni. In Germania, l’incendio di edifici residenziali popolari ha portato a disordini che esprimono ancora una volta tutta la fragilità della società civile, anche nella più ordinata tra le società. Anche se nessuno sano di mente lo avrebbe mai auspicato, sta accadendo che, il mondo, in seguito al disgelo tra USA e blocco sovietico, continua sempre più a frammentarsi, incrinandosi come una grande lastra di ghiaccio, tracciando linee nuove ed inaspettate. È un quadro spaventoso e desolante, soprattutto alla fine di un secolo in cui orribili guerre ci hanno dato lezioni da non dimenticare sulla follia della violenza organizzata. È proprio questa immagine, che emerge dalla forza più crudele ed inquietante, ad essere quella che ha la possibilità di lenire il dolore della guerra. Solo attraverso il confronto con essa, con la violenza, ci potrà essere una qualche speranza di cambiare il suo tragico contenuto. Solo di fronte alla follia della distruzione premeditata si potrà ricominciare a riflettere, credendo di nuovo in sé stessi.
New York City
27 giugno 1993