Nel bar di Li

Ogni alba scopre i deboli sipari

delle vite che recitano inganni

pensando vuote ai propri grigi affari

o naufragando nel caffè gli affanni

 

Barista dipinge solitudini

socchiudendo i neri occhi da orientale

oscuri e morti gorghi di acquitrini

dove il corallo prospera abissale.

 

Più di Hopper può la sua immaginazione

narrare vite infinite e lente storie

accennando parvenze d’abiezione

che finta redenzione sfuma e accoglie

 

Qualcuno paga il suo conto salato

rimpiange il sogno stanco di fuggire

dalle rovine di un lavoro odiato

la cupa percezione di morire

Concerto Grosso

caravaggio-concerto

 

Qualche goccia svogliata
ignara di modelli e integrali
cade sul traffico romano
schiavo di enigmi e ingorghi
che nessuno attrattore strano
può mai interpretare.

Rimbalza sui vetri e lamiere
con il ritmo
di un batterista alle prime armi
perdendosi nel gorgo
di sistemi non lineari.

La luce del lampo è un ostinato assolo
perso tra i riflessi di semafori
sbrecciati e deliri
di biscrome impazzite

Il riff dei motori prova a spiccare
spacciandosi per l’improvvisazione virtuosa
di un solista imbarazzato.

Nessuno lo nota, fuggendo
tra pensiline scrostate e il proprio vuoto.

Nel bar osservo la parodia del silenzio
inseguendo la mia voce e un verso.

 

La figlia del poeta

balthus_012_pazienza_1943

 

E’ il silenzio
dell’estate amara
interrotto dalle lagne
di grilli e cicale

E’ la solitudine
di un padre assente
schiavo di libri
e troppe parole

Non gli chiedo
che un gioco
o un poco
dell’attenzione
che regala
ai suoi versi

Non ottengo
che uno sbadiglio
o un gesto sgarbato

Lo invito
a liberarsi dai fogli
per scoprire
il fiore e il vento
ma nei suoi occhi
non leggo che vuoto

Dimentica biglie
nelle buche del Tempo.

In Egitto
l’Angelo della morte
non uccise i figli
ma i cuori dei padri

Non so se ho più paura
Della morte o della vita
Che mi resta

Il Messaggero

Mi mandò mio padre
ascoltando
il grido d’arsura
e lo stagno ferito
dal sole di bronzo
che l’onda muta in sasso

Affogavano sabbia
i mie passi
prore spezzate
dai capricci del vento

Naufrago m’aggrappavo
alle rare ombre

Stendendo bracci,
Cristo sulla croce
ruppi moltitudini del nulla,
per giungere ai rifiuti
del palazzo imperiale

Mi persi, tra cortili
e scalinate, incrociando
messaggeri o inganni

Sogna mio padre,
guardando
la terra desolata