
L’area a valle dell’acropoli nella prima fase della vita di Cuma ebbe una destinazione puramente residenziale: solo dalla metà del VI sec. a.C. comincia una progressiva trasformazione dello spazio urbano, spostando gli impianti abitativi in altri luoghi e riorganizzando gli spazi secondo una destinazione pubblica e sacra. Si avvia, quindi, una pianificazione urbanistica orientata secondo uno schema preordinato che stabilisce un nuovo assetto per la città. Il processo di revisione di architettura urbana sarà poi completato da Aristodemo, che oltre alle fortificazioni provvide tra l’altro alla realizzazione della principale rete fognaria, per contrastare la tendenza all’impaludamento della città bassa.
Monumentalizzazione che porta alla nascita dell’agorà, la piazza principale, che si ipotizza avere avuto una pianta quadrata: dopo la conquista di Cuma da parte dei Sanniti (421 a.C.) la città bassa subisce un’ulteriore trasformazione: da una parte, i nuovi arrivati demoliscono i vecchi edifici greci, arrivando addirittura a sotterrare le loro decorazioni architettoniche, dall’altra ampliano l’ex agorà, dandole una pianta rettangolare, e la sacralizzano, con la costruzione di almeno due aree di culto.
La prima, risalente al primo quarto del IV sec. a.C. consiste in un complesso sacro incentrato intorno ad un altare in tufo modanato ed intonacato con pilastrino ed un focolare, destinato alla cottura delle offerte agli dei ed è posta dove poi sorgerà il cosiddetto Tempio con Portico. La seconda, in un monumentale tempio su podio, che sorge proprio dove i romani costruiranno il Capitolium, adornato da pregevoli metope affrescate che raffigurano una centauromachia.
Questa evoluzione viene ulteriormente accentuata con la trasformazione di Cuma in un “Civitas sine suffragio” nel 334 a.C.: progressivamente, l’agorà greca si trasforma in un Foro vero e proprio. Il primo passo, nei decenni iniziali del III secolo a.C. consiste nell’ampliare ulteriormente la piazza, che raggiunge le dimensioni di m 39,90 x m 112,0 (135×379 piedi romani) e circondarla con portici realizzati in tufo giallo. L’altare monumentale sannita è demolito e al suo posto è costruito muro in opera quadrata con funzione di sostegno e recinzione: il relativo portico sarà destinato a uso commerciale, dato che vi sorgeranno diversi ambienti adibiti a tabernae. Lo stesso avviene sui lati sud ed est, mentre i locali del portico nord sono probabilmente destinati agli uffici amministrativi. L’unica struttura precedente che rimane inalterata è quella del Tempio su Podio
Questa “laicizzazione” continuerà, nonostante una serie di restauri e ricostruzioni, sino all’età sillana, quando comincia una nuova fase di monumentalizzazione del Foro, che porta alla riedificazione dei portici su due ordini in ignimbrite campana e il rifacimento in opus reticulatum delle strutture in alzato delle tabernae sui lati orientale e sud-orientale. Il primo edificio a essere ricostruito è il Portico delle maschere, nell’angolo sud-est del Foro, a due ordini, dorico quello inferiore e ionico quello superiore, che tra il nome dalla sua originale decorazione, con fregi di armi e mascheroni a rilievo in tufo grigio.
A seguito dell’eliminazione di alcune tabernae sul lato meridionale del Foro si ricava lo spazio per la costruzione della Aula Sillana, la cui funzione di aula basilicale è ipotizzata per la presenza di un’abside che accoglie un podio sopraelevato accessibile attraverso una scaletta che potrebbe corrispondere al tribunal. La facciata monumentale dell’edificio, avanzando verso il centro della piazza, interrompe l’allineamento dei portici con una fronte a pilastri colossali rivestiti con lastre di marmo scanalate.
La ristrutturazione augustea di Cuma, ispirata propagandisticamente dall’Eneide, non risparmia neppure il Foro, con la costruzione, dove era l’altare monumentale sannita, del cosiddetto Tempio con Portico, chiamato così Tempio con Portico, chiamato così perché la cella del tempio, posta su un alto podio, si trova al centro di un cortile rettangolare scoperto circondato su tre lati da un portico, a cui si accede dal Foro mediante tre ingressi con scalette, probabilmente dedicato al culto della gens Iulio Claudia, discendente di Venere e di Enea
Questo tempio sarà fiancheggiato da due nuovi portici, a due ordini, corinzio quello inferiore e ionico quello superiore, che celebrano con i fregi continui di cataste di armi la conclusione delle vicende militari che vanno dalla lotta contro Sesto Pompeo alla battaglia di Azio.
Gli interventi edilizi imperiali sono affiancati da quelli di una famiglia di ricchi cumani molto amici di Augusto, i Luccei: la porta meridionale del Foro viene restaurata e adornata con un’iscrizione di dedica, una taberna viene trasformata in piccolo ninfeo, con decorazioni a mosaico e a finta roccia e una fontana di marmo con testa di medusa a rilievo, che simboleggiava l’arrivo dell’acqua in città dovuta alla costruzione dell’acquedotto del Serino.
In età flavia si registra un nuovo coordinato quadro d’interventi che testimonia un rinnovato interesse da parte degli imperatori flavi, in particolare di Domiziano, per l’area flegrea; l’intera città di Cuma, come è noto, conosce una nuova fase di sviluppo in concomitanza con l’apertura della Via Domitiana. Sul lato orientale del foro viene costruito un nuovo edificio templare, ipoteticamente identificato con il Tempio del Divus Vespasianus, ricordato in un’iscrizione del 289 d.C. Allo stesso complesso va probabilmente ricondotto l’importante frammento, trovato nei pressi, di una nuova redazione dei Fasti imperiali. Si assiste alla ricostruzione del vecchio Tempio Sannita, danneggiato da un incendio, che diventa il Capitolium, dedicato alla triade capitolina Giove, Giunone e Minerva, che assume la forma di un prostilo esastilo del Capitolium urbano; il muro posteriore del podio viene arretrato e sulla fronte viene costruita una terrazza che avanza verso il foro. La cella, divisa in tre navate, accoglie le tre statue di culto acrolitiche.
Al contempo, viene costruito il cosiddetto Tempio del Gigante, unedificio in opera mista di fine I-inizio II sec. d.C., di cui oggi sono visibili una grande aula a volta con abside sul fondo e due ambienti minori ai lati. Nel corso del tempo l’edificio subì diverse modifiche fino ad essere utilizzato come casa colonica. Incerta ne è l’interpretazione: per la struttura tripartita e la collocazione forense di fronte al Capitolium si potrebbe pensare, come nel Foro di Pompei, a sale destinate agli organi dirigenti della città (magistrati e decurioni). Il nome di Tempio del Gigante, assegnatogli dalla tradizione antiquaria, è legato al ritrovamento, nelle vicinanze, della colossale statua acrolita di Giove, sita in origine nella cella del Capitolium.
Ta il II e il III sec. d.C. sembra attenuarsi la dinamica edilizia del Foro. Viene realizzato un grande basamento rettangolare in muratura, eretto contro il portico meridionale, forse il monumento cum biga che viene decretato in onore di un ignoto cittadino del III sec. d.C.. L’apparato marmoreo degli edifici comincia ad essere smontato e immagazzinato, per essere poi riutilizzato.
In età tardo antica, il Foro cittadino tende progressivamente a trasformarsi in una palude, per due cause: da una parte, vi è la mancata manutenzione dei condotti fognari, che cadono progressivamente in disuso, perché riempiti di detriti, impedendo così lo smaltimento delle acque. Dall’altra, vi è sempre una maggiore frequenza delle alluvioni, dovute all’incremento delle piogge, conseguenza della Piccola Età glaciale Altomedievale.
A peggiorare il tutto, la Campania, nel 346 e nel 369 d.C. fu flagellata da due terremoti del X grado della scala Mercalli, con epicentro nel Sannio e a Benevento: crollarono i tetti dei templi e buona parte dei portici. Subito dopo, la decorazione marmorea degli edifici è smontata, immagazzinata e riutilizzata, mentre sepolture isolate sono documentate in diverse aree del Foro.
Successivamente, sui alluvionali che avevano invaso la piazza si imposta un asse stradale, la cosiddetta strada bizantina, che l’attraversa in senso est-ovest, parallelamente al suo portico settentrionale che mette in comunicazione il foro e la parte orientale della città con la Crypta Romana. La strada presenta almeno tre innalzamenti sugli strati colluviali, l’ultimo dei quali si colloca cronologicamente alla metà ca. del VI sec., in significativa coincidenza con la presa della città da parte di Narsete nel 553 d.C. . Subito la fine della guerra gotica, nel Foro si impianta un’attività industriale di produzione di calce, con la costruzione di numerose fornaci, che sfruttavano come materia prima i marmi romani. Tale attività sembra obbedire a una logica di pianificazione delle attività e risponderebbe ad una riorganizzazione economica dell’abitato. A una gestione centralizzata delle calcare induce a credere anche la consistenza di una produzione che, finalizzata all’attività edilizia, doveva prevedere una distribuzione non solo locale, ma un’attività commerciale che probabilmente rappresentava una voce importante dell’economia regionale. Nel corso del VII sec. le attività produttive e l’asse stradale vengono defunzionalizzati e un possente strato di interro investe buona parte dell’area del Foro.
Nonostante l’abbandono di Cuma, il Foro è stato oggetto di interessi archeologici eruditi già dal medioevo. Gli avanzi degli antichi edifici disseminati nella campagna palustre sono state più volte riprese in stampe di vedutisti quando la moda del Gran Tour diffuse l’apprezzamento per il paesaggio con rovine.
Testimonianze letterarie fanno risalire al 1600 l’avvio di attività di scavo programmate nell’intento di recuperare materiali antichi di pregio. L’accurata descrizione delle architetture intraviste all’epoca, comparate con quelle attualmente messe in luce, fanno ritenere che questi interventi debbano localizzarsi nei pressi del Foro. Intorno alla metà del XIX secolo Leopoldo di Borbone, conte di Siracusa perlustrò la zona. Al secolo scorso risale la scoperta del Capitolium, di parte della piazza antistante e della Aula Sillana, e del Tempio con Portico. Le ultime indagini sistematiche sono state condotte dal 1994 al 2008 da membri e collaboratori del Dipartimento di Storia “Ettore Lepore” dell’Università di Napoli.
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