Mercurion

Basilio I il Macedone, uomo dalla vita avventurosa, che dal nulla salì alla porpora imperiale, a differenza di tanti suoi predecessori, non ignorò le regioni occidentali dei suoi domini. Dopo anni di abbandono, sotto il suo regno Bisanzio tornò ad essere protagonista: nell’868 la sua flotta liberò dall’assedio saraceno la città di Ragusa in Dalmazia, le città e le isole della regione vennero unite nel Tema di Dalmazia con capitale Spalato.

Nell’871 venne eliminato l’emirato di Bari con l’aiuto dell’imperatore Ludovico, nell’875 il principe Adelchi di Benevento divenne tributario di Bisanzio, nell’880 per vendicare la caduta di Siracusa nelle mani arabi l’ammiraglio Nasar sconfisse gli arabi alle Lipari e la sua flotta operò nel Tirreno, nell’881 venne riconquistata Taranto e il duca di Salerno diviene tributario dei Bizantini. Nell’883 lo stratego Stefano Massenzio sbarcò in Italia e cominciò a cacciare gli arabi dalla Calabria, con mediocri risultati. tanto nell’885 il suo posto fu preso da Niceforo Foca il Vecchio che alla testa di una legione di Pauliciani convertiti occupò le ultime piazzaforti in Calabria di Santa Severina e Amantea e diviene padrone della costa del golfo di Taranto unendo così i possedimenti della Puglia e della Calabria.

La riconquista bizantina della Calabria, se aumentò di molto l’importanza politica ed economica di Rhegion e della sua chora, che erano sempre rimaste di lingua e cultura greca, ha anche una grande ricaduta nel suo nord. Con la nascita del thema, il territori di Scalea, della valle del Lao, della Calabria nord-occidentale e della Basilicata meridionale, furono soggetti a una sorta di “colonizzazione”, per ripopolare e difendere tale area.

Il diradamento della popolazione non era un fatto recente: al contrario, era un fenomeno che aveva origini remote. Fin dall’antichità la regione aveva conosciuto solo un modello di popolamento sparso. I Brettii, infatti, erano organizzati su base cantonale e di pagì. Nella tarda antichità, a causa della necessità di sostituire le forniture di grano provenienti dall’Egitto, dirottate a Costantinopoli, si svilupparono una serie di villae, il cui tessuto economico e sociale però collassa al seguito della guerra gotica e all’invasione longobarda.

I pochi abitanti rimasti si ritirano nell’interno, sulle colline o sui monti, dove tuttavia non costituiscono grandi centri abitati, ma solo piccoli insediamenti sparsi: si trattava, come spesso accadeva in epoca altomedievale, di piccoli villaggi di capanne di legno con tetto di paglia, difesi dalla natura o fortificati da recinzioni più frequentemente in legno che in pietra. Infatti, in quest’epoca l’unico centro abitato di una certa importanza sembra fosse fortezza di Laino. Per la sua ottima posizione, a dominio dell’alta valle del Lao e del tracciato dell’antica via Popilia, che per secoli era stata l’unico accesso alla Calabria, i Longobardi vi costituirono un gastaldato: nell’atto di divisione del principato di Benevento dell’849, infatti, Laino, Cassano e Cosenza erano gli unici gastaldati attestati per la Calabria.

I Bizantini si trovarono quindi davanti a una sorta di selvaggio west: bisognava lasciarci delle guarnigioni, per evitare che a longobardi e arabi venissero strani grilli, per la testa, che bisognava però nutrire. Per questo era necessario strappare la terra coltivabile alla foresta, costituire nell’interno degli agglomerati urbani e difenderli dalle aggressioni provenienti dal mare, ma anche creare approdi per imbarcazioni di piccole dimensioni per mantenere i contatti con gli altri territori bizantini. Per via di terra, infatti, le comunicazioni con le regioni circostanti erano sempre state difficili. La valle del Lao, separata dal resto della Calabria da alte catene montuose, aveva poche vie di comunicazione con l’esterno ed anche queste spesso erano solo mulattiere pericolose, mentre al contrario, la linea di costa era molto arretrata rispetto ad oggi e il Lao, risultava essere navigabile.

Per cui, Niceforo Foca lasciò che una parte dei suoi veterani (Greci, Armeni, Slavi e forse anche Arabi siriani) colonizzasse le terre di nuova conquista, in modo da creare delle comunità di stratioti,liberi contadini, che in cambio della cessione di un fondo, avrebbero pagato le tasse e fornito un regolare ed ereditario servizio militare.

Mercurion

In parallelo a questa colonizzazione laica, arrivò anche quella religiosa: come spesso è accaduto nella storia religiosa, attorno ai primi eremiti, che si erano trasferiti tra i boschi ed i dirupi delle sue montagne in cerca di pace, nascono e si sviluppano una serie di monasteri, che spesso si organizzano in una sorta di federazione, l’eptarchia. Nel caso specifico, abbiamo il Mercurion, che si sviluppò una zona che si può circoscrivere tra Laino, il castello di Mercurio, sito alla confluenza del fiume Lao con l’Argentino, e il borgo di San Nicola dei Greci (corrispondente all’attuale San Nicola Arcella).

Di difficile interpretazione è l’origine del toponimo. Tre sono le ipotesi più accreditate a riguardo. La prima è quella sostenuta dal Binon, il quale farebbe risalire il nome di quest’area al culto di san Mercurio di Cappadocia, professato dai monaci bizantini. Secondo altri studiosi, tra i quali Schluberger, l’origine del nome deriverebbe da un tempio pagano nel quale si adorava il dio Mercurio. Una terza soluzione è stato proposta dal Pandolfi e dal Cappelli. Secondo questi due storici sarebbe il fiume Mercure, che scorre attraverso i territori di Rotonda, Viggianello e Laino, a denominare la zona.

Essendo un’area di frontiera, sia politica, sia ecclesiastica, godeva sia un’enorme autonomia, diventando l’equivalente medioevale del nostro Monte Athos, sia un luogo di enorme fervore spirituale: fu definito nuova Tebaide, e divenne uno dei maggiori centri del misticismo dell’Italia meridionale e della Sicilia, in tale periodo infatti vissero o studiarono, presso i monasteri locali, un gran numero di personalità che saranno venerate come santi dalla chiesa, tra cui: San Fantino il giovane, San Nicodemo da Cirò, San Zaccaria del Mercurion, San Saba del Mercurion, San Luca di Demenna o d’Armento, San Macario Abate e, probabilmente il più importante, San Nilo da Rossano.

Tutto ciò fu cancellato dalla conquista normanna e dal loro tentativo di estirpare ogni traccia di grecità dalla Calabria: i monasteri di rito greco furono assoggettati ad abbazie latine, nello specifico alla Badia di Cava quelli ricadenti in territorio longobardo e alla Badia di Santa Maria della Matina quelli in territorio bizantino, cosa che porò. alla liquidazione dell’eparchia.

Eppure, molte sono le tracce di quel periodo: il santuario di Santuario Madonna della Grotta a Praia a Mare, fondato da Fantino il Giovane, la grotta dell’Angelo a Orsomarso, dove in cui trascorse i suoi anni di eremitaggio e di dura ascesi San Nilo, la grotta di San Ciriaco a Buonvicino, dove il santo si ritirava a pregare, la cappella della Madonna delle Nevi a Verbicaro, un vero gioiello dell’arte bizantina calabrese, la chiesa di Madonna di Mercure a Orsomarso.

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