In una Roma che ama trasformare i cinema in centri commerciali e in cui teatri liberty di proprietà comunale giacciono abbandonati a se stessi, nel degrado più completo, senza diventare una risorsa per la città, si discute oziosamente sul Teatro Valle e su i suoi occupanti.
Ora, da persona cresciuta a pane e Karl Marx, cercherò di dimostrare come, vista da sinistra, la questione sia abbastanza buffa, un gioco di specchi e ipocrisie.
Il concetto di base è quello di Bene Comune: dato che quando se ne discute, le persone tendono a darvi ognuna un’interpretazione differente, specifico subito la mia definizione, discutibile e personale, ma che parte da la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico.
Il Bene Comune è così caratterizzato:
1) Libero Accesso
2) Gestione globale e rappresentativa da parte dell’intero corpo comunitario
3) Eventuali profitti generati messi a disposizione della collettività
Il Teatro Valle, nell’attuale gestione, non rispetta nessuno di questi requisiti: se non appartieni a una determinata lobby culturale, in relazione più o meno diretta con gli occupanti, puoi presentare progetti capaci di vincere progetti internazionali, ma riceverai sempre risposte stizzite (riferimenti ad eventi di cui sono stato testimone, sono puramente casuali :D)
La Città, o per lo meno quello strano zoo che chiamiamo mondo culturale, non ha poteri di nomina, controllo e revoca su chi gestisce la struttura, né di indirizzo sulla sua politica culturale.
Sull’ultimo punto, il poco plusvalore generato, sospetto che nell’occupazione del Valle vi sia più la spesa che l’impresa, si può discutere: in ogni caso il flusso di cassa non crea valore collettivo, come ad esempio finanziando i grossi lavori di restauro di cui il teatro avrebbe bisogno.
Tra l’altro, in questo caso, non vale neppure l’analisi di Miely sull’occupazione degli spazi abitativi: è ridicolo vedere questa esperienza come “ridistribuzione al sottoproletariato delle rendite immobiliari parassitarie”
Quindi se il Teatro Valle non è attualmente configurabile come Bene Comune, allora cosa è ?
Se volessi usare ancora la terminologia di zio Karl, sarebbe l’appropriazione a fini egoistici, da parte di un ceto minoritario, di un bene collettivo, ciò che Lukács identificherebbe come tratto distintivo del fascismo.
Però, essendo in Italia, non me la sento di usare questi termini: è invece l’ennesimo esempio di furberia locale, in cui una minoranza approfitta dell’inefficienza statale per garantire il proprio “particolare”, ammantando tutto dietro alti motivi ideali.
Ma una gestione statale o una fondazione privata muterebbe questo stato di cose, come si predica a destra e manca ?
Personalmente, ho forti dubbi: per rendere il Valle un vero bene comune, dovremmo replicare a Roma le esperienze dei teatri anarchici, come quelli di Riga e Dublino, con i comitati di gestione eletti dai cittadini e commissioni partecipate per la valutazione delle opere messe in scene… Il problema è se siamo pronti a questo cambio di paradigma