Distrutta Adranone, completamente rasa al suolo nel 250-240 a.C. dai Romani, gli abitanti superstiti si spostarono più a valle dove fondarono il Borgo rurale di Adragnus che, durante il periodo paleocristiano, si elevò a Casale di Adragna, a testimonianza del processo di ruralizzazione della Sicilia bizantina, che portò, ad esempio, allo svuotamento di Panormos. Le cose cambiano con la conquista araba, quando l’emiro Zabuth fortifica il borgo. Sambuca conserva ancora le tracce di questa sua matrice islamica nel “quartiere arabo”, costruito da un impianto urbano che si sviluppò attorno a sette “vicoli saraceni” (li setti vaneddi), trasformati in un museo vivente di storia arabo-sicula e nella fortezza di Mazzallakkar, A ridosso delle acque del lago Arancio, nel territorio di Sciacca.
Si trova nella zona dei Mulini, chiamata così per la presenza di diversi mulini funzionanti grazie alle acque di Rincione, tra la collina Castellazzo e la Torre Cellaro che si estende nella parte bassa del territorio di Sambuca di Sicilia. Fino agli anni cinquanta, anche se adibito al ricovero di greggi e armenti, il fortino si trovava in ottime condizioni. In seguito alla costruzione della diga Carboj resta sommerso parzialmente dalle acque del lago Arancio per almeno sei mesi all’anno. Il fortino ha una forma quadrangolare; in ogni angolo si eleva un torrione di forma circolare, coperto da una cupoletta in pietra calcarea con un ornato cuspidale che forse fu a forma di fiamma o di mezza luna. i torrioni sono dotati di feritoie e l’altezza delle mura raggiunge circa 4 metri.
Tornando a Sambuca, scrive il solito Tommaso Fazello nel 1558 :
“Soprastà al castello della Sambuca, lontano un miglio, il castel di Adragna, il quale era anch’egli un casale di saraceni, ma poi fu abitato dai cristiani ed oggi è deserto e non è conosciuto per altro che per le rovine ….Castel della Sambuca secondo il parlar moderno; ma già anticamente era un borgo di saraceni chiamato Zabut…”
Il Castello di Zabut con il suo Casale dall’alto della collina dominava tutte le contrade del territorio così descritto alla metà del Settecento
dall’abate Vito Amico:
“abbonda d’ogni parte di grandi fiumare che in varie direzioni vi scorrono, è d’aria salubre, ricchissimo in ogni genere”
Vincenzo Navarro scrive:
” Sambuca, ricca ed industriosa comune di Sicilia, nella provincia di Girgenti, vuolsi derivata da Zabut, nome di un emiro saraceno, dato ad un castello che torreggia la sommità orientale di detto comune, il quale or non è più; esistette il detto castello fino al 1819 ridotto a carcere comunale”.
Il Castello di Zabut, con l’attiguo casale, era difeso e fortificato da due torri che, in epoche successive, furono adattate come torri campanarie nella Chiesa di S. Giorgio e in quella della Matrice. Dall’età normanna a quella federiciana, attraverso la stagione dei vicariati, si giunge alla guerra per la successione al regno di Sicilia che comportò la distruzione del casale di Adragna. Nel 1411, finito il conflitto, i superstiti di Adragna insieme agli abitanti di Comicchio Senurio e Terrusio si rifugiarono nella fortezza di Zabut.Successivamente, attraverso una serie di vendite e di investiture, il casale di Zabut divenne Baronia sotto i Peralta, i Ventimiglia e gli Abbatellis, mentre a partire dal 1574 fu Marchesato con i Baldi Centelles e vi rimase con i Marchesi Beccadelli di Bologna fino al XIX secolo.
Dal XV secolo, l’abitato cominciò ad espandersi tanto che Sambuca si elevò da casale ad “Università della Sambuca”, in seguito divenne Comune di Sambuca, a cui fu aggiunto il secondo nome Zabut”. Il nome Sambuca è stato accompagnato da tale appellativo fino al 1923 quando con regio decreto il Consiglio Comunale lo fece sostituire con la specificazione regionale “di Sicilia”.
L’Abate Vito Amico, nel “Dizionario Topografico della Sicilia” descrive con chiarezza la struttura urbana della moderna Sambuca:
“Solide sono le fabbriche, una via grande e diritta stendesi in mezzo all’abitato e s’appella del Corso, le altre più o meno regolari, tranne quelle vicine al castello tortuose e meandriche”;
ed ancora, riferendosi alla nuova via maestra, aggiunge:
“Un’ampia via del tutto retta divide da capo a fondo Sambuca situata ad un declivio ad occidente, e divisa ad angoli retti da un’altra più breve a mezzogiorno. Quattro contrade dunque, come quadrati, costituiscono l’intiera città divisa dalle minori vie rette”
Fra il XV e il XVI secolo si registra una significativa espansione edilizia verso Sud. A quest’epoca risale l’edificazione del torrione d’avamposto del castello di Zabut, che, nel secolo successivo, si troverà al centro dell’abitato. Il massiccio torrione del castello venne poi trasformato in palazzo per civile abitazione adattando la struttura quadrangolare alle tipologie edilizie ed esigenze abitative signorili : atrio e cortile interno con scala addossata di antica tradizione catalana. Si ricorda come primo proprietario, fra il XVI e il XVII secolo, il sacerdote Don Bartolo Truncali. Successivamente appartenne ai Panitteri, poi agli Amodei.
Il nome del palazzo si lega a Don Giuseppe Panitteri (1767-1828) Ciantro della Cattedrale di Agrigento, procuratore generale del Marchese della Sambuca, antiquario e collezionista, da Goethe a Schinkel, al Politi, a von Klenze, la sua residenza-museo presso San Nicola ad Agrigento, fu meta di intellettuali, cultori, viaggiatori al tempo del Grand Tour, alla fine del Settecento. Il fronte del palazzo Panitteri si apre sulla strada con il modulo del portale sormontato dal balcone, ricorrente nella architettura palaziale del XVIII secolo. Al piano superiore la facciata è scandita dalla sequenza di finestre con mostre plasticamente decorate. All’opera di maestranze locali si deve la ricca ornamentazione fitomorfa a intaglio lapideo di repertorio tardo barocco come preludio al gusto rococò, sensibile alla decorazione minuta e e ricca di preziosismi.
Gli ambienti interni del piano nobile si snodano ai lati del vano centrale e presentano volte a crociera; di particolare interesse la raffigurazione della volta nel salone delle feste raffigurante l’Allegoria della musica e della danza, databile alla seconda metà del XIX secolo e partecipe di quel gusto eclettico ereditato dalla temperie neoclassica e preludente al liberty, nel simbolismo articolato delle figure femminili (le muse, le maschere teatrali), e nel trionfo della decorazione floreale a corredo degli strumenti musicali e degli angeli musicanti; una teoria di fregi decorativi neo-cinquecenteschi nella cornice alla base della volta, molto probabilmente databile al XVIII secolo e creata sulla traccia di una preesistenza, ripropone inoltre le grottesche, i grifoni affrontati e le ricche rocailles che rimandano alla originaria vocazione tardo-rinascimentale e barocca dell’edificio. Nel salone l’illusionistica decorazione della volta, seppur lacunosa, rivela un impegnativo impianto scenografico che rimanda alle decorazioni a fresco del tardo-barocco palazzo Nicolaci a Noto.
Oggi il secentesco palazzo è di proprietà del comune ed ospita l’ammirevole museo archeologico “Palazzo Panitteri” che accoglie i reperti dell’insediamento greco-punico di Monte Adranone. Inoltre sono presenti anche una sala conferenze, la Taberna, sala attrezzata con cucina per degustazioni e manifestazioni enogastronomiche, ideata da Strade del vino “Terre Sicane”, la mostra dei vini del territorio belicino, un cortile interno con la scala di stile catalano che conduce al museo e un giardino interno con le piante ornamentali mediterranee.
Il percorso di visita del museo archeologico comprende due settori dedicati rispettivamente ai contesti abitativi, cultuali e d’interesse pubblico e alla Necropoli.Dopo l’inquadramento topografico e storico-archeologico del sito (Sala introduttiva), nella sala “Fortificazioni e Acropoli” (Sala 1), vengono esposti i materiali provenienti dai saggi effettuati lungo il circuito murario e quelli rinvenuti sul pianoro sommitale dell’acropoli. I frammenti ceramici e i manufatti esposti si riferiscono soprattutto alle fasi relative all’insediamento indigeno e alla città greca (metà VII-V sec. a.C.) ma non mancano evidenze da mettere in relazione con la ricostruzione punica del IV sec. a.C. (cornice a gola egizia dal Tempio sull’Acropoli) e con l’assedio romano della prima metà del III sec. a.C. (proiettili in pietra dall’Acropoli). Seguono le sale dedicate ai contesti abitativi (sale 2-3), di uso pubblico e cultuali rinvenuti nel I e II terrazzo sotto l’Acropoli e databili tra il IV e la prima metà del III sec. a.C.; in particolare, nella sala 2, vengono presentati i materiali rinvenuti in un complesso (blocco V) per il quale è stata ipotizzata una destinazione pubblica (Pritaneo?). Viene inoltre esposto materiale (utensili di uso domestico, oggetti votivi e rituali) che offre elementi concreti per ricostruire non solo la vita quotidiana ma anche quella religiosa che si esplicava, oltre che nei santuari veri e propri come, ad esempio, il cosiddetto Tempio punico del Terrazzo II (sala 3), anche in forme private e domestiche come documentano alcune suppellettili (louteria, arule, statuette fittili) provenienti da alcuni vani dei blocchi I e III del Terrazzo I (sala 2). L’importanza economica del centro e la portata della presenza punica è rivelata, infine, dalla selezione dei rinvenimenti monetali esposti nella stessa sala 2. Nella sala, dedicata, al cosiddetto “settore centrale” (sala 4) continua l’esposizione di materiali provenienti dai contesti abitativi e da edifici pubblici. Questa prima parte del percorso prosegue con l’esposizione dei materiali rinvenuti nel complesso artigianale detto “Fattoria” e nel Santuario (sala 5), per concludersi nella sala 6 dedicata agli elementi architettonici portati alla luce nel sito. L’ala destra del complesso museale è dedicata alla necropoli con corredi del VI e V sec. a.C. (sale 7-8) e del IV-III sec. a.C. (sala 9). In questa ultima sala vengono infine proposte al visitatore alcune suggestioni di ordine etno/antropologico.