Una mia vecchia amica, scherzando, mi prende sempre in giro, dicendo che sono fissato per la street art.
E non ha mica tutti i torti: perché, come raccontato altre volte, la street art mi ha costretto, anche dal punto di vista intellettuale, a ripensare il mio legame con l’estetica. Nel Novecento, se ci pensiamo bene, è avvenuta una forte segregazione dei linguaggi artistici: alcuni, tramite il design e la comunicazione di massa, sono diventati talmente parte della nostra vita, che quasi non li notiamo più.
Altri invece, confinati nei musei e nelle gallerie d’arte, sono stata “sacralizzati”, resi degli incomprensibili totem da adorare, posti in una dimensione lontana e aliena dall’esperienza quotidiana,
La street art rompe questa artificiale divisione, non solo riportando l’Arte nella vita di ogni giorno, dando un nuovo senso ai non luoghi delle nostre città, ma, con il suo continuo dialogo tra Reale e Virtuale, anche recuperando un rapporto globale e trasversale con la Cultura.
L’Arte così non è più un gioco per intellettuali annoiati, ma come nel muralismo messicano, uno strumento concreto per riscoprire la propria identità e rendere migliore il mondo che ci circonda.
Un esempio concreto di tutto ciò è l’esperienza Street Art Per Amatrice, creato dall’Associazione culturale Up2Artists (Up2A), ideato dallo street artist Mauro Sgarbi e curato dalla storica dell’arte Simona Capodimonti, con il patrocinio del Comune di Amatrice e del Club de I Borghi più belli d’Italia (e spero di non essermi scordato nessuno, da rincitrullito quale sono…)
5 artisti, Mauro Sgarbi e Beetroot, che noi dell’Esquilino conosciamo assai bene, Giusy e Moby Dick, che questa estate sono stati in prima linea nella difesa del lago di Bracciano, e Maupal, l’autore di Street Pope, hanno accettato la sfida, in un luogo ferito dalla Natura e dell’Uomo, che preferisce cincischiare invece che risolvere i problemi concreti, di ricordare come l’Arte e la Bellezza siano in grado di contribuire alla ricostruzione dei valori di un territorio.
Non lo hanno fatto solo dipingendo un muro: lo hanno fatto dando speranza, costrendo una memoria condivisa con un video-documentario dal premiato videomaker Mauro Pagliai e con laboratori per familiarizzare con i diversi stili e tecniche della street art, facendo trascorrere ai bambini dei momenti ludici spensierati.
A loro va il mio applauso… Detto questo, concedetemi un piccolo momento di polemica, sempre relativo alla street art. Ho apprezzato molto l’intervento dell’associazione Arco di Gallieno davanti San Vito.
Dal mio punto di vista, più street art c’è nel Rione, meglio è. Anzi il fatto che chi mi ha fatto pubbliche piazzate in occasione della realizzazione dei murales di via Giolitti o ha firmato lettere aperte contro l’opera di Mauro Sgarbi al Mercato Esquilino, alla fine mi abbia imitato e nei fatti dato ragione, non può che riempirmi d’orgoglio.
E dato tutti i loro continui richiami alla legalità, lungi da pensare che nel realizzare il loro intervento, non abbiano tutti i permessi e i nulla osta necessari. Però, nella lontana e improbabile ipotesi che non sia così, permettetemi qualche domanda.
Perché ciò che è lecito su una facciata del Seicento, non può esserlo per una umbertina ? Il tanto invocato rispetto per i vincoli della Sovrintendenza quindi varia a seconda di chi realizza un intervento artistico ?